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Secondo i giudici di legittimità, il contribuente non deve mai trarre vantaggi fiscali indebiti dall’utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale.
Anche se questi strumento non contrastano con alcuna specifica disposizione. In sostanza, viene ribadito il principio del divieto assoluto dell’abuso del diritto, evidenziato anche in sede comunitaria, a meno che il contribuente non dimostri che sussistono valide ragioni economiche, alternative o concorrenti, di carattere non meramente marginale o teorico.
Dimostrazione, questa, alquanto difficile, soprattutto nell’attuale processo tributario, con forti limitazioni al diritto di difesa, in quanto sono vietati la testimonianza ed il giuramento.
In sostanza, secondo la giurisprudenza sopracitata, non hanno efficacia nei confronti del fisco quegli atti che si traducono in operazioni compiute essenzialmente per il perseguimento di un vantaggio fiscale; e questo divieto, valido sia per le imposte dirette che per quelle indirette, non solo può essere rilevato d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo ma, cosa ancora più grave, il suddetto principio ha valore retroattivo, potendo essere applicato anche per operazioni economiche fatte negli anni scorsi quando mancavano le suddette certezze giuridiche.
E’ facile rilevare che una situazione del genere non solo spaventa l’investitore nazionale ma, soprattutto, quello internazionale, che deve operare al buio, senza alcuna certezza giuridica, in quanto tutta la questione è rimessa alla discrezionalità degli uffici fiscali e dei giudici tributari.
E’, quindi, necessario ed urgente un intervento legislativo sul tema che stabilisca il principio, valido per il futuro e non per il passato, che si ha abuso del diritto solo quando l’operazione è posta in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo (non essenziale) di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta, peraltro in operazioni tassativamente stabilite.
Inoltre, in caso di abuso del diritto, il legislatore dovrebbe prevedere la non applicazione di sanzioni amministrative e penali, perché l’elusione fiscale è cosa ben diversa e distinta dall’evasione fiscale.
Infatti, il comportamento abusivo consiste proprio nel fatto che, a differenza delle ipotesi di frode e di evasione vera e propria, il soggetto ha posto in essere operazioni reali, assolutamente conformi a modelli legali, senza immutazioni del vero o rappresentazioni infedeli ed incomplete della realtà.
Pertanto, non possono essere messi sullo stesso piano il contribuente evasore e quello che tra due legittime operazioni preferisce quella dove si pagano meno tasse.
Infine, il legislatore dovrebbe chiarire, un volta per tutte, che il principio di abuso del diritto deve valere anche per il fisco, nel senso che gli uffici non devono costringere il contribuente a pagare due volte.
Oggi, invece, assistiamo a casi in cui gli uffici fiscali notificano avvisi di accertamento a contribuenti che hanno dichiarato un reddito in un periodo d’imposta invece di un altro, sbagliando, involontariamente, il principio di competenza o di cassa.
Oppure, gli stessi uffici pretendono da professionisti il pagamento di ritenute fiscali operate dai sostituti, che, in seguito, per colpa di questi ultimi, non le hanno riservate allo Stato.
Di conseguenza, sull’onda del nuovo corso, è da sperare che il legislatore regoli una volta per tutte la questione eliminando l’iniquo fenomeno della doppia imposizione, per dare certezze e tranquillità ai contribuenti onesti, in ossequio al principio del legittimo affidamento previsto dallo Statuto dei Diritti del Contribuente.
AVV. MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione
www.studiotributariovillani.it
e-mail
15 Gennaio 2009
avvocato@studiotributariovillani.it