L’articolo analizza gli aspetti fiscali del patto di famiglia, evidenziando l’assenza di una normativa tributaria chiara e le diverse interpretazioni sull’imposizione diretta e indiretta. Si discute la neutralità fiscale per il donante e le possibili implicazioni per l’assegnatario.
Nel precedente intervento (“Il patto di famiglia a confronto con la donazione di azienda”) ho trattato l’istituto del patto di famiglia e la correlazione esistente tra lo stesso e l’istituto della donazione. In questo articolo proverò a delinearne i risvolti fiscali, sia per quanto riguarda la fiscalità diretta che indiretta.
L’esatta qualificazione del patto di famiglia
Per delineare i profili fiscali dell’istituto è necessario provvedere all’esatta qualificazione giuridica dello stesso.
La legge del 55/2006 che ha introdotto il patto di famiglia non ha regolamentato gli aspetti fiscali. In particolare, le diverse scelte di inquadramento dell’istituto influenzano le modalità di tassazione dello stesso a causa della mancanza di una disciplina organica di natura tributaria, almeno sotto il profilo della imposizione diretta.
Il legislatore si è limitato ad introdurre una norma di esenzione, ai fini delle imposte indirette, che opera unicamente al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie. Il vuoto normativo che si è creato va colmato, riconducendo la fattispecie a modelli interpretativi già esistenti.
Quanto al comparto delle imposte dirette, la dottrina si è dibattuta molto sul fatto che l’istituto possa qualificarsi come liberalità piuttosto che come donazione modale.
Pochi dubbi sul fatto che il patto di famiglia è considerato liberalità non realizzativa, almeno per quanto riguarda il regime impositivo in capo al soggetto donante. L’operazione, per lui, è fiscalmente neutrale, in ossequio a quanto stabilito dall