Approfondiamo il particolare caso del conferimento dell’impresa familiare in una società: puntiamo il mouse sulle plusvalenze da conferimento e le problematiche di imputazione del maggior reddito.
Tratti generali del regolamento civilistico e fiscale dell’impresa familiare
L’impresa familiare è disciplinata dall’art 230bis codice civile che la configura come un’impresa individuale la quale si avvale della collaborazione dei familiari, ossia del coniuge e dei parenti entro il terzo grado (genitori, nonni, bisnonni, figli, nipoti, bisnipoti, fratelli e loro figli) nonché degli affini entro il secondo grado (suoceri e cognati).
Fiscalmente l’art. 5, 4° comma Tuir dispone che il reddito dell’impresa familiare va imputato almeno nella misura del 51% al titolare ed è imputabile sino alla misura del 49% ai collaboratori che abbiano prestato in modo continuativo e prevalente la loro attività di lavoro nell’impresa, in proporzione alla loro quota di partecipazione agli utili.
Legittimità costituzionale dell’imputazione di utili e perdite ai collaboratori e principio della trasparenza fiscale
L’imputazione degli utili ai collaboratori, nella sussistenza degli indicati presupposti, ha conseguito l’avvallo della Corte Costituzionale che ne ha sancito la legittimità con le sentenze del 6 luglio 1987 n. 251 e del 17 dicembre 1987 n. 355, ed avviene in raccordo alla tecnica impositiva della trasparenza, indipendentemente, pertanto, dalla percezione degli utili medesimi, in modo ricalcante la dinamica impositiva delle società personali.
Proprio l’adozione della trasparenza nei confronti dei familiari ha portato l’Amministrazione finanziaria nella risposta all’istanza di interpello n. 85 del 4 marzo 2020 a chiarire che le agevolazioni concesse alle imprese nella forma di crediti d’imposta possono essere trasferite anche ai collaboratori delle imprese familiari.
Così testualmente l’Agenzia delle Entrate:
“Poiché la disciplina delle imprese familiari si basa sul medesimo principio di trasparenza fiscale previsto per le società di persone, il credito d’imposta dev’essere attribuito anche al collaboratore familiare in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili.
La ripartizione del credito d’imposta dovrà risultare dalla dichiarazione dei redditi del titolare dell’impresa familiare ed il collaboratore potrà utilizzare la quota di reddito assegnatagli solo dopo averla indicata nella propria dichiarazione dei redditi”.
Le perdite, invece, sulla base dell’orientamento valutativo sempre espresso dall’Amministrazione Finanziaria già con la C.M. n. 40 del 19 dicembre 1976, sono imputabili al solo titolare dell’impresa familiare.
Requisiti per l’imputazione fiscale degli utili
Ulteriore presupposto per l’imputazione fiscale dell’utile ai collaboratori è che i medesimi risultino nominativamente e con indicazione del relativo grado di parentela o di affinità, da apposito atto pubblico o scrittura privata autenticata in data anteriore all’inizio del periodo d’imposta recante la sottoscrizione sia dell’imprenditore e sia dei familiari.
In ordine alla particolare struttura civilistica dell’impresa familiare, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 23676 del 16 settembre 2014 ha chiarito che ciò che impedisce di configurare l’istituto dell’impresa familiare alla stregua di una qualsiasi tipologia societaria è la peculiarità della disciplina patrimoniale relativa agli utili e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, che spettano ai familiari non sulla base di una percentuale predefinita di utili, ma in esclusivo raccordo proporzionale con la qualità e la quantità del lavoro prestato anche al di fuori dell’impresa da ciascun fa