La cd. Manovra di luglio, in sede di conversione del D.L. n.223/2006 – legge n.248/2006 – , è intervenuta per apportare significative modifiche al procedimento sanzionatorio in materia di utilizzazione di lavoratori neri, oggetto di censura da parte della giurisprudenza della Corte Costituzionale (1), e di esame e analisi da parte della giurisprudenza di merito (2) e della Cassazione (3).
Facciamo il punto della situazione alla luce dell’intervento di prassi delle Entrate – circolare n. 35 del 30 maggio 2007 – contestato però dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale che ha diramanto in risposta, il 1° giugno 2007, la nota prot.n.25/I/0006980, e delle ulteriori indicazioni diramate al personale ispettivo – sempre dal Ministero del lavoro e della Previdenza sociale -, con la nota prot. n. 25/I/8906 del 4 luglio 2007.
Il dettato normativo nero
In materia di lavoro nero, il procedimento di irrogazione delle sanzioni, disciplinato dall’art. 16 del D.Lgs 18.12.1997, n. 472 ha subito un travaglio normativo.
Infatti, dapprima, per effetto del D.L n. 12 del 22.2.2002, convertito dalla L. 23.4.2002, n. 73, è stato introdotto l’art. 3, commi 3, 4 e 5, secondo cui :
· “ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie, è altresì punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione” (comma 3) (4);
· “alla constatazione della violazione procedono gli organi preposti ai controlli in materia fiscale, contributiva e del lavoro” (comma 4);
· “competente alla irrogazione della sanzione amministrativa di cui al comma 3 è l’Agenzia delle Entrate. Si applicano le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, ad eccezione del comma 2 dell’art. 16” (comma 5) (5).
Lo scorso anno, l’art. 36-bis, del D.L.n.223/2006, inserito dalla legge di conversione, n.248/2006, al comma 7, lettere a) e b), ha modificato, a far data dal 12 agosto 2006, data di entrata in vigore della legge di conversione, rispettivamente, i commi 3 e 5 dell’art. 3 del D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2002, n.73.
Le modifiche apportate interessano le sanzioni in materia di utilizzazione di lavoratori irregolari e quelle concernenti gli organi competenti alla loro applicazione.
In ordine alla misura della sanzione, per effetto della modifica apportata, la sanzione prevista dal citato comma 3 per l’utilizzo di lavoro irregolare non è più fissata in misura proporzionale (“… dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione”), ma quantificata in un una somma fissa che varia “… da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo“.
La modifica introdotta, in pratica, si adegua al principio stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 12 aprile 2005, n.144 che – come abbiamo visto – aveva dichiarato incostituzionale l’art.3, comma 3, del D.L. n. 12 del 2002, nella parte in cui non ammetteva la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare avesse avuto inizio successivamente al 1° gennaio dell’anno nel quale è stata constatata la violazione.
La successiva lettera b) del comma 7 dell’art. 36-bis ha invece modificato il comma 5 dell’art.3 del D.L. n. 12 del 2002, norma che affidava l’irrogazione della sanzione amministrativa all’Agenzia delle Entrate, con il particolare procedimento sanzionatorio già ricordato.
Come rilevato dalle Entrate nella circolare n. 28 diffusa il 4 agosto 2006 “ non è stato modificato, invece, il comma 4 dell’art. 3 del D.L. n. 12 del 2002, in base alla quale alla constatazione della violazione procedono gli organi preposti ai controlli in materia fiscale, contributiva e del lavoro”.
Il parere dell’Agenzia delle Entrate
Con circolare n. 35 del 30 maggio 2007, l’Agenzia delle Entrate ha diramato le necessarie indicazioni in ordine alle rilevanti modifiche apportate alla disciplina delle sanzioni in materia di utilizzazione di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, sulla base del parere reso dall’Avvocatura generale dello Stato con nota prot. n. 30494 dell’8 marzo 2007, Cs. 40697/06.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate si sofferma sulla seconda modifica – lettera b) del comma 7 dell’art. 36-bis – con la quale l’organo deputato all’irrogazione delle sanzioni è la Direzione provinciale del lavoro.
Evidenziamo i punti di maggiore interesse:
VIOLAZIONI CONSTATATE PRIMA DEL 12 AGOSTO 2006 |
La competenza ad irrogare la sanzione in argomento spetta comunque alla Direzione provinciale del lavoro, non rilevando al riguardo la provenienza né la data della constatazione. In altri termini, dal combinato disposto del comma 4 e del nuovo comma 5 dell’art.3 del D.L. n. 12 del 2002, risulta che, a decorrere dal 12 agosto 2006, alla Direzione provinciale del lavoro è demandato il compito di contestare la violazione e di irrogare la sanzione, senza che, tuttavia, le sia riservato in esclusiva il compito di constatare il fatto suscettibile di integrare gli estremi della violazione. Alle Entrate spetta ancora la constatazione dei fatti illeciti. |
TRASFERIMENTO DELLA COMPETENZA PER L’IRROGAZIONE DELLA SANZIONE |
Il trasferimento della competenza all’irrogazione della sanzione in capo alla Direzione provinciale del lavoro ed il venir meno del rinvio alle disposizioni del D.Lgs. n. 472 del 1997 comportano che, nelle ipotesi in cui la sanzione non sia stata ancora irrogata in data antecedente al 12 agosto 2006, trovano applicazione le disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689. In particolare, il primo e secondo comma dell’art. 14 della citata L. n. 689 del 1981 prevedono che: “La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa. Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentossessanta giorni dall’accertamento“. Al riguardo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione ha osservato che “qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, l’accertamento al cui termine collocare, ai sensi dell’art. 14, comma 2, L. n. 689 del 1981, il dies a quo per il computo dei novanta giorni entro i quali può utilmente avvenire la contestazione mediante notifica non può essere fatto coincidere con la mera notizia del fatto materiale, bensì con l’epoca in cui la piena conoscenza dell’illecito è idonea a giustificare la redazione del rapporto previsto dall’art. 17 della legge citata” (Cass., Sez. lav., n. 3115 del 17 febbraio 2004; cfr. anche: Cass., Sez. lav., n. 539 del 13 gennaio 2006; Cass., Sez. I, n. 3388 del 18 febbraio 2005). Pertanto, il dies a quo per la decorrenza del termine di novanta giorni di cui al predetto secondo comma dell’art. 14 va individuato non già nel momento della violazione, ma in quello della conclusione del procedimento di accertamento, ovvero quando l’ente od organo competente ad irrogare la sanzione ha a disposizione non soltanto i risultati dell’indagine svolta dai verificatori ma anche i risultati delle ulteriori indagini che esso abbia ritenuto utile compiere (cfr., in particolare, Cass., Sez. V, n. 8257 del 18 giugno 2001). In definitiva, il termine in questione inizia a decorrere soltanto allorché l’amministrazione ora competente all’irrogazione della sanzione abbia a disposizione i risultati delle verifiche svolte, in quanto “L’attitudine della constatazione del fatto ad integrare accertamento, e quindi a segnare l’inizio del decorso del termine per la contestazione … presuppone … che la constatazione e l’accertamento medesimi rientrino nelle attribuzioni dello stesso soggetto” (Cass., Sez. V, n. 7143 del 25 maggio 2001, conforme: Cass., Sez. I, n. 16608 del 5 novembre 2003). |
RISCOSSIONE COATTIVA DELLE SANZIONI |
La riscossione coattiva delle sanzioni è effettuata mediante ruoli ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, secondo cui “si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici“. In ordine all’individuazione dell’organo competente alla formazione dei ruoli conseguenti ai provvedimenti di irrogazione delle sanzioni emessi prima del 12 agosto 2006 dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate, “per le sanzioni irrogate dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate, la competenza ad essi conferita riguarda l’intero procedimento di irrogazione della sanzione e di riscossione della stessa. Ne deriva che, nelle ipotesi di sanzione irrogata prima del 12 agosto 2006, in applicazione del previgente testo dell’art. 3 del D.L. n. 12 del 2002, gli uffici dell’Agenzia delle entrate restano competenti ad effettuare l’iscrizione a ruolo anche successivamente alle modifiche normative in commento”. |
L’APPLICAZIONE DELLA L. N. 689/1981. |
La Direzione provinciale del lavoro provvede all’irrogazione delle sanzioni in esame mediante ordinanza-ingiunzione ai sensi dell’art. 18 della L. n. 689 del 1981. Tali modifiche normative comportano rilevanti conseguenze in merito alla giurisdizione cui è attribuita la cognizione delle relative controversie, tenuto conto che avverso l’ordinanza-ingiunzione è proponibile l’opposizione di cui all’art. 22 della L. n. 689 del 1981, da esperire innanzi al giudice ordinario, individuato ai sensi del successivo art. 22-bis. Il testo vigente fino all’11 agosto 2002 – art. 3, comma 5, del D.L. n. 12 del 2002 – rinviava espressamente alle disposizioni del D.Lgs. n. 472 del 1997. In base al suddetto rinvio e in considerazione della circostanza che le sanzioni in parola erano “comunque irrogate da uffici finanziari“, la giurisdizione in materia spettava alle commissioni tributarie ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992. Al punto 9 della menzionata circolare interamministrativa n. 56/E del 2002 è stato infatti precisato che “Contro il provvedimento di irrogazione è ammessa la tutela giurisdizionale mediante ricorso alle Commissioni tributarie …”. In tal senso si sono poi espresse anche le sezioni unite della Suprema Corte con l’ordinanza n. 2888 del 2006. Alla luce di ciò, le Entrate ritengono che “ continui a rientrare nella giurisdizione delle commissioni tributarie l’impugnazione, solo per vizi propri, delle cartelle di pagamento relative a sanzioni irrogate dagli uffici dell’Agenzia delle entrate in data antecedente al 12 agosto 2006, in quanto le stesse si riferiscono a sanzioni riconducibili all’oggetto della giurisdizione tributaria, individuato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992”. |
LE CONTROVERSIE PENDENTI A SEGUITO DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE |
Gli effetti della sentenza n. 144 del 2005 della Corte Costituzionale – sentenza cosiddetta additiva, caratterizzate dalla circostanza che, attraverso di esse, il giudice delle leggi non si limita a riconoscere la non conformità alla Costituzione della norma sottoposta al suo sindacato, ma provvede di fatto anche a riscriverne il contenuto, rendendolo aderente ai dettami costituzionali – decorrono dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, e si producono ex tunc, vale a dire anche relativamente ai rapporti sorti in data anteriore alla declaratoria di illegittimità. Unico limite alla retroattività degli effetti della pronuncia è quello inerente ai rapporti esauriti, con cui si intendono “ quelle situazioni che sul piano processuale hanno trovato definitiva conclusione mediante sentenza passata in giudicato, i cui effetti non sono intaccati dalla successiva pronuncia di incostituzionalità, ovvero i rapporti rispetto ai quali sia già decorso il termine di prescrizione o di decadenza stabilito dalla legge per l’esercizio dei diritti ad essi relativi (cfr. risoluzione n. 2/E del 3 gennaio 2005)”. In ordine all’incidenza delle sentenze di incostituzionalità sui procedimenti giurisdizionali in corso, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che ” il principio di cui all’art. 136 della Costituzione, secondo cui una norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza che la dichiari incostituzionale, va coordinato con le regole fondamentali che governano il processo, in seno al quale, all’esito del progressivo verificarsi di effetti preclusivi derivanti dal comportamento delle parti, la materia del contendere viene via via a ridursi, con la conseguenza che tutto quanto risulti non più dibattuto (o mai dibattuto) nel corso del processo resta insensibile alla pronuncia di incostituzionalità (cfr., in tal senso Cass. 26 luglio 2002, n. 11077; e 14 novembre 2000, n. 14744) … Ne consegue l’inammissibilità di un motivo di opposizione … formulato per la prima volta …, quando thema decidendum e thema probandum della causa sono ormai da tempo definitivamente fissati” (Cass., Sez. I, n. 394 dell’11 gennaio 2006; cfr., inoltre, Cass., Sez. V, n. 4549 del 1° marzo 2006). |
LE ECCEZIONI FATTE VALERE IN GIUDIZIO |
In ordine alla gestione del contenzioso pendente in materia, le Entrate rappresentano la necessità di effettuare una sistematica ricognizione delle controversie, al fine di verificare che i soggetti interessati abbiano eccepito o comunque dedotto concrete circostanze di fatto, idonee a dimostrare l’effettivo periodo di utilizzazione dei lavoratori irregolari. In conformità all’indicato orientamento della Suprema Corte, l’Agenzia delle Entrate afferma che “la deduzione secondo cui il periodo nel quale è stato utilizzato il lavoro irregolare sia iniziato successivamente al primo gennaio dell’anno di constatazione della violazione deve essere contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e non può essere introdotta mediante una memoria successiva”. Si rileva che l’art. 24, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992 prevede che l’integrazione dei motivi del ricorso è consentita solo allorquando sia “resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione” e che la stessa debba avvenire entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha avuto notizia di tale deposito (in tal senso, Cass., Sez. trib., n. 24970 del 25 novembre 2005; n.6416 del 22 aprile 2003). Ne consegue, pertanto, l’impossibilità da parte del ricorrente di modificare la domanda mediante la proposizione di motivi integrativi di quelli già esposti nel ricorso introduttivo del giudizio. Inoltre, la deduzione in argomento costituisce domanda nuova, improponibile nel giudizio d’appello ai sensi dell’art. 57 del D.Lgs. n. 546 del 1992. Le Entrate richiamano principi espressi dalla Corte Suprema: in particolare, con la sentenza n. 3681 del 16 febbraio 2007 la Corte di cassazione ha infatti affermato che “non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio“. Più specificamente, “come questa Corte ha più volte chiarito (cfr. la sentenza n. 10864 del 2005), si ha domanda nuova, improponibile nel giudizio d’appello ex art. 57 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 …, quando il contribuente, nell’atto di appello, introduce, al fine di ottenere l’eliminazione … dell’atto impugnato, una causa petendi diversa, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, sicché risulti inserito nel processo un nuovo tema di indagine“. Il processo tributario ha natura dispositiva quanto all’allegazione dei fatti e pertanto spetta esclusivamente alle parti la delimitazione del thema decidendum della controversia. In presenza di specifiche eccezioni sollevate nel ricorso di primo grado, va verificato che la controparte abbia adeguatamente assolto all’onere della prova, escludendo la validità di mere dichiarazioni di parte che, qualora non supportate da elementi oggettivi, non possono costituire di per sé sufficienti mezzi di prova. Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 144 del 2005, il puntuale ed esaustivo assolvimento dell’onere della prova costituisce, infatti, elemento fondamentale ai fini dell’esito della controversia. Gli uffici dell’Agenzia, pertanto, dovranno riesaminare caso per caso, secondo i criteri esposti nella circolare n. 35/2007, il contenzioso pendente nella materia in esame e, soltanto qualora ne ricorrano i presupposti, a rideterminare la sanzione in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 144 del 2005. |
Il pensiero del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale
La circolare diffusa dall’Agenzia delle Entrate è stata criticata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale che, con nota prot.n.25/I/0006980 del 1° giugno 2007, ha richiamato l’attenzione delle DD.PP. su alcune questioni di rilievo che attengono all’aspetto sanzionatorio e procedimentale:
· ha declinato la competenza per l’irrogazione della sanzione, ritenendo che per le violazioni consumate anteriormente al 12 agosto 2006 e non ancora notificate ai trasgressori “ricadono integralmente nell’ambito della previgente disciplina del D.L.12/2002, continuando per le stesse a trovare applicazione il regime procedimentale e sanzionatorio che individua nell’Agenzia delle Entrate il soggetto competente alla irrogazione della sanzione, commisurata al costo del lavoro e assoggettato al regime procedimentale del D.Lgs.n.472/1997”, sulla base del principio del
antico-conigliaro
luglio 2007