Con sentenza n. 25713 del 9 dicembre 2009 (ud. del 27 ottobre 2009) la Corte di Cassazione ha ammesso la prova testimoniale nel processo tributario.
Analizziamo la sentenza.
Il processo
Sulla base di un p.v.c. redatto da un proprio nucleo operativo, l'allora Ufficio Provinciale IVA di Caserta emetteva un avviso di rettifica nei confronti della soc. Donatab Srl, nel frattempo fallita, per l'anno 1993.
Venivano formulati i seguenti rilievi:
a) utilizzazione di fatture recanti un'aliquota IVA inferiore a quella applicabile;
b) emissione di fatture con l'aliquota agevolata anzichè con l'aliquota normale applicabile, con conseguente maggiore IVA dovuta;
c) indebita detrazione di IVA relativa a fatture risultate mancanti al momento della verifica.
Avverso tale avviso, il curatore fallimentare proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, deducendo la legittimità dell'applicazione dell'aliquota IVA agevolata al 4% sia sugli acquisti che sulle vendite in contestazione, trattandosi di tabacchi grezzi. Inoltre, imputava la mancanza delle fatture ad un furto subito nel febbraio 1994, considerando, in ogni caso, sufficienti le registrazioni effettuate sul libro giornale, regolarmente vidimato.
La Commissione adita, con la sentenza n. 730/14/99, accoglieva il ricorso limitatamente agli acquisti effettuati con aliquota ridotta, mentre lo rigettava nel resto.
Avverso tale decisione, il Fallimento della società proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Napoli che, con la sentenza n. 353/52/02, pronunciata il 12 giugno 2002 e depositata il 25 novembre 2002, lo accoglieva annullando integralmente l'avviso di rettifica impugnato, sul presupposto della mancanza della prova dell'effettiva lavorazione del tabacco acquistato allo stato grezzo.
Avverso tale sentenza, l'Amministrazione delle Finanze proponeva ricorso per cassazione sorretto da due motivi. L'intimato fallimento resisteva con controricorso e ricorso incidentale.
La sentenza
Per quel che qui ci interessa, l’Amministrazione finanziaria ricorrente ha denunciato "violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e 25 e dell’art. 2697 c.c.., nonchè omessa ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1", atteso che la sentenza impugnata sarebbe viziata nella parte in cui annulla il disconoscimento delle detrazioni non giustificate dalle relative fatture.
Per le Entrate, nella motivazione, i secondi giudici non avrebbero affatto il spiegato per quale ragione un fallimento potrebbe giustificare l'annullamento della rettifica su tale punto. Lo stesso fallimento della società D. Srl, poi, in sede di appello, non avrebbe affatto sostenuto la possibilità di riconoscere la detrazione senza addurre la relativa documentazione giustificativa, riservandosi semplicemente di fornirla in corso di causa. In concreto, tale prova non risulterebbe essere stata fornita e, pertanto, la Commissione napoletana si sarebbe pronunciata oltre i limiti dell'impugnazione, in violazione dell'art. 112 c.p.c.. In ogni caso, la sentenza sarebbe manifestamente errata nel merito, laddove riconoscerebbe implicitamente il diritto alla detrazione nel caso in cui la mancanza della prescritta documentazione probatoria sia determinata da un giustificato motivo. In realtà, il giustificato impedimento a produrre la necessaria documentazione sarebbe stato riconosciuto dai giudici dell'appello senza il supporto di validi elementi di prova. Infatti, ai sensi dal D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 25 la detrazione dell'imposta pagata per l'acquisto di beni e servizi inerenti all'esercizio dell'attività postulerebbe che il contribuente riceva le relative fatture, le annoti nell'apposito registro e le conservi e nessuna norma permetterebbe di derogare, per asserite ragioni di forza maggiore, a tali oneri probatori.
La Corte ha accolto tale doglianza.
Il dictum impugnato, ovvero l'aver addotto in relazione al mancato rinvenimento della documentazione che "la verifica venne effettuata allorquando la società era fallita e ciò giustifica lo smarrimento delle fatture" è censurabile sotto vari profili. Infatti, Il subentro della procedura fallimentare non giustifica lo smarrimento della documentazione.
“Aggiungasi che è giurisprudenza consolidata di questa Corte che, in tema di IVA, la deducibilità dell'imposta pagata dal contribuente per l'acquisizione di beni o servizi inerenti all'esercizio dell'impresa è subordinata, in caso di contestazione da parte dell'Ufficio, alla relativa prova, che deve essere fornita dallo stesso contribuente mediante la produzione delle fatture e del registro in cui vanno annotate; nel caso in cui il contribuente dimostri di trovarsi nell'incolpevole impossibilità di produrre tali documenti (nella specie, a causa di furto) e di non essere neppure in grado di acquisire copia delle fatture presso i fornitori dei beni o dei servizi, trova applicazione la regola generale prevista dall'art.2724 c.c., n. 3, secondo cui la perdita incolpevole del documento occorrente alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole non costituisce motivo di esenzione dall'onere della prova, nè trasferisce lo stesso a carico dell'Ufficio, ma autorizza soltanto il ricorso alla prova per testimoni o per presunzioni, in deroga ai limiti per essa stabiliti (ex multis, Cass. 21233/06)”.
Brevi riflessioni
Il contribuente impossibilitato - a seguito del subito furto - ad esibire, in sede di verifica e di accertamento, i documenti contabili (registri e fatture) la cui tenuta è obbligatoria non è ipso facto esonerato dall'onere della prova della sussistenza dei crediti esposti in dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto.
Soccorre, in tale ipotesi, la regola generale di cui all'art. 2724 n. 3 del codice civile secondo la quale la parte è autorizzata alla deduzione di prova testimoniale o per presunzioni. La mancata manifestazione di volersi avvalere di ulteriori mezzi istruttori comporta il mancato assolvimento degli oneri probatori ed il rigetto del ricorso.
La sentenza conferma quindi un indirizzo giurisprudenziale che va ormai consolidandosi, pur se il quarto comma dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/92 prevede che la prova testimoniale non costituisce un mezzo istruttorio ammesso nel processo tributario. Tale esclusione, già vigente nel vecchio processo, trae giustificazione nella natura documentale del processo tributario, pur se è di diverso avviso larga parte della dottrina, che ritiene processualmente incongrua la posizione delle parti in un processo che prevede a favore dell'Erario l'utilizzabilità di innumerevoli presunzioni cui non è possibile contrapporre la prova testimoniale.
Sul punto cfr. la sentenza della Corte Costituzionale che ritenuto insussistente la questione di costituzionalità in merito al divieto di prova testimoniale (n. 18 del 21 gennaio 2000).
In pratica la Corte supera tale divieto attraverso la norma del codice civile che ammette la prova per testimoni in tutti i casi in cui il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.
Francesco Buetto
4 gennaio 2010