T.I.A.: illegittime le tariffe non deliberate dal Comune

di Commercialista Telematico

Pubblicato il 30 aprile 2010

l’approvazione della tariffa che determina la T.I.A. spetta all’ente locale detentore del potere impositivo, e non alla società d’ambito territoriale cui è stata demandata la concreta gestione dell’entrata comunale
 

L’approvazione della tariffa che determina la T.I.A., introdotta dall’art. 49 del d. lgs. 22/1997, spetta all’ente locale, detentore del potere impositivo, e non alla società d’ambito territoriale cui è stata demandata la concreta gestione dell’entrata comunale, ne’ è possibile trasferire a tale soggetto privato (nella specie, una società per azioni) il potere di determinare la tariffa relativa al pagamento di un tributo locale, estrinsecandosi tale attività nella tipica espressione del potere impositivo che “è espressione della sovranità dello Stato in generale, e della posizione di supremazia degli enti pubblici locali rispetto ai cittadini amministrati”.

Sulla base di tali motivazioni, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 8313 dell’8/04/2010) ha respinto il ricorso presentato da una società d’ambito territoriale(1) (A.T.O.), ritenendo illegittime le tariffe dalla stessa determinate (e non solo applicate) e, con l’occasione, riprendendo ed ulteriormente chiarendo alcuni temi già oggetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 24/07/2009(2) con la quale il giudice delle leggi si era definitivamente pronunciato sulla natura tributaria della T.I.A., sulla sua conseguente soggezione alla giurisdizione tributaria e sull’inapplicabilità dell’IVA alle richieste di pagamento del tributo.

La Corte di Cassazione, prima di decidere in ordine alla prospettata legittimità del trasferimento del potere di determinare la tariffa dal Comune alla società d’ambito, prende in esame due distinte, ma collegate eccezioni riguardanti:

  • la competenza giurisdizionale delle commissioni tributarie, anche sui rilievi che – almeno apparentemente – sembrerebbero investire “atti amministrativi di carattere generale”, riguardanti la determinazione dell’aliquota del prelievo (delibera tariffaria);

  • la presunta violazione del principio del contraddittorio processuale, eccepita in ordine al mancato litisconsorzio con l’ente impositore (il ricorrente è la società di ambito territoriale).

La questione della (in)competenza del giudice tributario era stata sollevata dal ricorrente nel quesito di diritto rivolto alla Corte, nel quale si riteneva che la decisione sulla controversia implicasse la disapplicazione della speciale normativa regionale in vigore(3), pur nell’ambito di un giudizio di impugnazione delle fatture emesse dalla società d’ambito per il pagamento della TIA. Per cui – osservava il ricorrente – “tale disapplicazione opererebbe in via principale …e, in ogni caso (essa) s’incentrerebbe su scelte discrezionali dell’Amministrazione”.

Avverso tale argomentazione il Collegio fa osservare che l’oggetto della controversia è costituito dalle impugnazioni degli atti (fatture emesse dall’A.T.O.) con i quali veniva chiesto alla parte resistente il pagamento della T.I.A. (acconto e conguaglio 2004): si tratta dunque “di una tipica lite fiscale, correttamente portata alla cognizione della competente commissione tributaria” perché la natura della pretesa è di tipo fiscale come – rammenta ancora la Corte – ha chiarito la Corte Costituzionale (sentenza n. 238/2009), considerato che la Tariffa di Igiene Ambientale, presentando tutte le caratteristiche del tributo (doverosità della prestazione, mancanza di rapporto sinallagmatico fra le parti, collegamento della prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante), non è inquadrabile tra le entrate non tributarie “ma costituisce una mera variante della T.A.R.S.U….conservando la qualifica di tributo proprio di quest’ultima”.

Ma il Supremo Collegio non trascura di rimarcare come rientri nella competenza delle Commissioni Tributarie il potere di risolvere in via incidentale “ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione e di disapplicare, limitatamente all’oggetto dedotto in giudizio, gli atti regolamentari o generali, rilevanti ai fini della decisione ritenuti illegittimi”. Pertanto, richiamandosi a pregressa recente giurisprudenza della stessa Corte (Cass. n. 16293/2007 e n. 14408/2009), viene precisato come spetti alle Commissioni Tributarie la giurisdizione in ordine al ricorso con cui il contribuente, nell’impugnare un atto relativo alla riscossione della tassa rifiuti “faccia valere vizi degli atti amministrativi concernenti la determinazione in via generale dei criteri attinenti alla formazione del ruolo” e ciò in quanto rientra fra le competenze del giudice tributario ex art. 7 del d. lgs. 546/1992 “valutare l’illegittimità degli atti amministrativi generali, al limitato fine di decidere la controversia relativa ad uno specifico rapporto tributario, senza poter procedere all’annullamento dell’atto generale”.


In ordine al quesito riguardante la presunta violazione del contraddittorio processuale che, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto essere integrato mediante la chiamata in giudizio dell’ente locale, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 546/1992, in difetto comportando la nullità della sentenza emessa dalla Commissione tributaria regionale, la Corte ritiene che esso meriti risposta negativa, facendo rilevare come il Comune sia rimasto estraneo alla procedura di formazione della pretesa impositiva e al rapporto tributario dedotto in giudizio, “tanto più che la stessa società assume di aver agito esercitando i poteri <delegati> del Comune”. Ne consegue l’insussistenza del litisconsorzio necessario “in quanto la controversia (poteva e) può essere utilmente decisa nei confronti della sola società convenuta, eretta a ente impositore, di riscossione e di gestione del tributo, con esclusione del Comune, che comunque avrebbe potuto essere chiamato in giudizio dalla società “delegata”, se avesse avuto interesse in tal senso”.


Così risolte le questioni preliminari, la Corte si concentra sull’ultimo quesito riguardante la competenza della società d’ambito territoriale a determinare la T.I.A. in luogo del Comune nel quale è effettuata la raccolta dei rifiuti, sul presupposto – afferma la società ricorrente – “della logica consequenzialità del trasferimento di tale potere con quello del potere di pianificazione in materia di gestione di rifiuti solidi urbani”, ma anche ritenendo sussistente e legittima la deroga al sistema ordinario delle competenze, conseguente all’applicazione della normativa emergenziale all’epoca vigente nella regione(4).

In altre parole, come efficacemente sintetizza Corte, il ricorrente domanda se, in base alla normativa vigente, un ente locale possa trasferire ad un soggetto privato, nella specie una S.p.A., il potere di determinare la tariffa relativa al pagamento di un tributo locale e la risposta è negativa sia in linea di principio che sul piano del diritto positivo.

Precisano infatti i massimi giudici di legittimità che il potere impositivo “è espressione della sovranità dello Stato, in generale, e della posizione di supremazia degli enti pubblici locali rispetto ai cittadini amministrati, nell’ambito di un rapporto giuridico di tipo pubblicistico, rispetto al quale il cittadino è garantito dalle procedure legali e democratiche in base alle quali il potere impositivo deve essere esercitato”. Diversamente dal Consiglio comunale (i cui componenti rispondono ai cittadini che li eleggono), una società per azioni delibera attraverso un consiglio di amministrazione che risponde ai propri soci, con la conseguenza che può essere delegato il servizio della riscossione dei tributi, ma non il potere impositivo sottostante(5) “che è connaturato allo statuto necessariamente pubblicistico dell’ente impositore”.

Dunque, il soggetto attivo del rapporto tributario non può che essere un ente pubblico dotato dello ius imperii che deve essere responsabilmente esercitato dagli organi elettivi secondo le regole democratiche e nel rispetto della riserva di legge posta dall’art. 23 della Costituzione, e non mediante delega a soggetti privati “politicamente irresponsabili”. Verso tali finalità muove anche la normativa dettata in materia di T.I.A. (art. 49 del d. lgs. 22/1997) e vigente ratione temporis, che al comma 8 dispone che la tariffa è determinata dagli enti locali mentre l’applicazione della stessa è lasciata ai soggetti gestori (comma 9).


Tale quadro normativo ed istituzionale non è derogabile neanche per ragioni di emergenza , considerato che la stessa norma esimente citata dal ricorrente (art. 5, comma 2, della L. 225/1992) prevede sì la possibilità di emanare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, ma sempre “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico” fra i quali si individua quello secondo il quale soltanto gli enti pubblici indicati dal legislatore possono imporre e quantificare i tributi, nel rispetto della riserva di legge di cui all’art. 23 della Cost..

Come ricorda il comma 8 della citata L. 225/1992, vanno comunque rispettati – anche nell’emergenza – i principi generali dell’ordinamento giuridico ai quali non può derogare neanche una successiva sanatoria (art. 1 ter, comma 2, del D.L. 15/2003, conv. L. n. 62/2003) alla quale – conclude infine la Corte – “non può attribuirsi l’effetto di aver investito, a posteriori, a una società di diritto privato un potere impositivo, che nemmeno ex ante poteva essere trasferito”.


NOTE

1) Istituita ai sensi dell’art. 23 del D. lgs. 22/1997. L'ambito territoriale ottimale (ATO), è un territorio su cui sono organizzati servizi pubblici integrati (idrico o quello dei rifiuti). Tali ambiti sono individuati dalle Regioni con apposita legge regionale e su di essi agiscono le Autorità d'Ambito, strutture con personalità giuridica che organizzano e controllano la gestione del Servizio Integrato.

2) Da me commentata su queste stesse pagine (“La T.I.A. è (finalmente) un tributo e non sconta l’IVA”, pubblicato a settembre 2009).

3) Trattasi della normativa emergenziale operante nella regione Sicilia, introdotta con l’Ordinanza Ministeriale n. 2983/1999 del 31 maggio 1999 e succ. mod. e integr.. Sul punto, si osserva che già il TAR Sicilia, sez. di Palermo, in due diversi pronunciamenti (n. 2290/2007 e n. 2295/2007) aveva ritenuto che “nell’ambito degli ampi poteri attribuiti ai Presidenti della Regione – Commissario Straordinario per l’Emergenza Rifiuti (O.M. 31 maggio 1999 n. 2983 e succ. mod. e int.) non è dato ricomprendere quello di apportare deroghe alle previsioni normative dell’art. 49 D. Lgs. 22/1997, malgrado la dettagliata normativa in tema di poteri derogatori attribuiti ex art. 15 ”. Nelle medesime sentenze e con riferimento alla normativa contenuta nell’art. 49 del D. Lgs. 22/1997 ed al c. 4 del D.P.R. n. 158/1999, il TAR aveva rimarcato che “il legislatore nazionale ha nettamente differenziato l’aspetto della gestione del servizio (affidato alla società d’ambito cui appartiene il potere di applicare e riscuotere la TIA) dalle altre competenze relative alla determinazione della tariffa che permangono all’Ente locale”.

4) Dopo l’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22/01/1999, con il quale è stato dichiarato lo stato di emergenza, il 31 maggio 1999 il Ministro dell’Interno ha emanato l’Ordinanza 2983 con la quale il Presidente della Regione Siciliana è stato nominato Commissario "... per la predisposizione di un piano di interventi di emergenza nel settore della gestione dei rifiuti e per la realizzazione degli interventi necessari per far fronte alla situazione di emergenza".

5) Precisa la Corte “sia in relazione all’an che in relazione al quantum”.


30 aprile 2010

Valeria Fusconi