Accertamenti 2021: le opzioni a disposizione del contribuente

Sono in arrivo purtroppo le notifiche di tanti avvisi di accertamento e ciò metterà il contribuente in condizione di potere effettuare una, talvolta anche più di una, tra le scelte che la normativa vigente mette a sua disposizione: in tal senso, l’attività di consulenza del professionista è fondamentale nell’orientare le scelte in ragione della valutazione prognostica sull’avvio di un possibile contenzioso, che necessariamente consegue alla disamina dell’atto impositivo.
A prescindere dalle valutazioni che possono essere effettuate, molto spesso anche influenzate dal rapporto “costo-benefici” della lite in fieri, passiamo in sintetica rassegna il “crocevia” che si materializza al contribuente, peraltro soggetto ad “intersecazioni” del tutto fisiologiche.
In questo articolo illustriamo i tre possibili scenari principali per il contribuente accertato.

Notifica di avviso di accertamento: come difendersi 

Impugnazione

La prima opzione – ma verrebbe da dire “reazione” – è l’impugnazione, quindi l’opposizione totale alla pretesa contenuta nell’atto, visto che non è più possibile alcun intervento correttivo “sezionale”: in altre parole, in ragione del fatto che la notifica dell’atto fa perdere al contribuente la possibilità del ravvedimento – e con esso il suo possibile utilizzo “selettivo” – la partita proseguirà alla stregua del aut totum aut nihil.

A questo punto, il contribuente dovrà avere soltanto riguardo alle seguenti circostanze:

  1. accertamenti 2021 opzioni contribuenteentità della pretesa, atteso che se le maggiori imposte richieste con l’atto non superano i 50 mila euro la procedura da avviare è quella del “reclamo-mediazione”, di cui all’art. 17-bis del D. Lgs. n. 546/1992;
     
  2. obbligo di impugnazione “diretta”, ossia senza possibilità di esercitare la facoltà di presentare istanza di accertamento con adesione e a nulla rilevando che si tratti di un accertamento “reclamabile” o meno, in quanto l’atto è stato preceduto da un rituale contraddittorio formalizzato ai sensi degli articoli 5 o 5-ter del D. Lgs. n. 218/1997;
     
  3. possibilità di presentare istanza di accertamento con adesione, ex 6, comma 2, del D. Lgs. n. 218/1997.

Dalle ipotesi nn. 1) e 3) potranno derivare nuove tempistiche in ragione del procedimento da reclamo – 90 giorni a disposizione dell’ente impositore per valutare l’atto di opposizione proposto – e da accertamento con adesione – 90 giorni di sospensione dei termini di impugnazione.

 

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L’accertamento con adesione

A sovvertire il detto si vis pacem para bellum, soccorre l’accertamento con adesione, strumento di deflazione sempre più amato dai contribuenti italiani (le ultime statistiche dell’Agenzia delle Entrate, anno solare 2019, segnano definizioni per il 35% degli accertamenti riguardanti PMI e professionisti e per il 40% concernenti gli accertamenti notificati a soggetti diversi dalle “partite Iva”) che permette di sospendere il termine di impugnazione dell’atto per 90 giorni.

In ragione della sua spettanza, e dunque a nulla rilevando l’eventuale esito negativo dello stesso e, addirittura, anche la mancata partecipazione del contribuente, il termine di impugnazione “sale” a 150 giorni complessivi (60+90), ai quali aggiungere eventualmente anche la sospensione feriale del termini che, coi suoi 31 giorni, fa svettare il termine di impugnazione a ben 181 giorni dall’avvenuta notifica dell’atto.

Se l’atto impositivo, poi, è “reclamabile”, non ostando a tale tipologia di atto la “stratificazione” dell’accertamento con adesione e della procedura di reclamo-mediazione, seppure ai soli fini della costituzione in giudizio si dovranno aggiungere ulteriori 90 giorni, che portano il complessivo procedimento a 271 giorni prima che il contribuente abbia contezza di dover formare, entro i 30 giorni successivi, il fascicolo processuale presso il S.I.Gi.T.

 

Omessa impugnazione

La terza opzione si palesa quando, piaccia o meno, il fisco ha colto nel segno e non emergono ragioni valide per suggerire un’impugnazione avvero la pretesa formulata (al netto di suggerimenti di sistematica impugnazione in ragione di una vagheggiata futura definizione delle liti o di un provvedimento di “pacificazione fiscale” di ampia portata).

L’omessa impugnazione, o “acquiescenza”, consiste nella totale accettazione del contenuto dell’avviso di accertamento e nel pagamento delle somme dovute, sì da comportare la riduzione delle sanzioni amministrative irrogate ad un terzo.

Il tutto, a condizione che il contribuente:

  1. rinunci a impugnare l’avviso di accertamento;
     
  2. rinunci a presentare istanza di accertamento con adesione;
     
  3. provveda a pagare, entro il termine di proposizione del ricorso, le somme complessivamente dovute tenendo conto delle riduzioni (eventualmente beneficiando della rateizzazione appositamente prevista dal D. Lgs. n. 218/1997).

 

La definizione agevolata delle sole sanzioni

Ed eccoci giunti all’ultima delle opzioni possibili, una sorte di istituto “sincretico” tra l’impugnazione e la definizione, rappresentato dalla definizione agevolata delle sanzioni ex art. 17 del D. Lgs. n. 472/1997.

Pertanto, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso il contribuente può definire la controversia, limitatamente alle sole sanzioni irrogate contestualmente all’avviso di accertamento o di rettifica, con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.

È bene ricordare che l’eventuale definizione in commento non comporta alcun effetto “automatico” di riconoscimento in ordine alla bontà della pretesa avanzata dall’ufficio: per cui alla definizione agevolata delle sanzioni potrà tranquillamente conseguire l’impugnazione dell’atto di accertamento o di rettifica.

In un caso del genere, però, è bene sottolineare che nell’ipotesi in cui il contribuente ottenga ragione nei gradi di giudizio tributari, e anche definitivamente, non avrà diritto ad alcuna ripetizione delle somme pagate a titolo di definizione.

 

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