Il fondo patrimoniale: aspetti civilistici, penali e fiscali

l’istituto del fondo patrimoniale, a tutela del patrimonio familiare riscuote molto interesse: presentiamo un’analisi approfondita di tale complesso istituto giuridico e sui suoi rapporti con la disciplina tributaria (a cura Network Consulenti – www.networkconsulenti.it)

Gli aspetti civilistici del fondo patrimoniale

L’istituto del fondo patrimoniale

L’istituto del fondo patrimoniale, introdotto nel nostro ordinamento con la riforma del diritto di famiglia nel 1975, secondo la più accreditata dottrina è il semplice adeguamento del vecchio patrimonio familiare al nuovo spirito introdotto con la riforma.

In estrema sintesi il fondo patrimoniale è un complesso di beni determinati, costituito da uno o da entrambi i coniugi o da un terzo, destinato a far fronte ai bisogni della famiglia.

E’ bene specificare che attraverso tale istituto si dà origine ad un patrimonio autonomo di scopo e non ad un autonomo soggetto di diritto.

Il fondo patrimoniale è disciplinato dagli artt. 167 e seguenti del C.C..

“Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.

La costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi, effettuata dal terzo, si perfeziona con l’accettazione dei coniugi. L’accettazione può essere fatta con atto pubblico posteriore.

La costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio.

I titoli di credito devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo”.

Se ne deduce che il fondo patrimoniale può costituire un valido mezzo per tutelare i beni familiari dalla possibile aggressione dei creditori nei casi di difficoltà economica o di fallimento dell’attività esercitata da uno dei coniugi.

I beni compresi nel fondo in esame infatti, essendo sottoposti ad un vincolo di destinazione, ossia potendo essere utilizzati esclusivamente per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, non possono essere aggrediti per coprire debiti maturati nell’attività imprenditoriale/professionale e conseguentemente non possono essere assoggettati ad azioni esecutive da parte dei creditori.

A tal proposito si riporta il dettato normativo dell’art. 170 c.c.:

“L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

Il fondo patrimoniale rappresenta un’eccezione a due norme di rilevante valore individuabili negli articoli 2640 e 1379 C.C. che rispettivamente recitano:

“Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”.

“Il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti”.

I due articoli sopra riportati sanciscono in primis la responsabilità di un soggetto per le proprie obbligazioni con tutti i propri beni e in secundis il divieto di creare vincoli assoluti di inalienabilità dei beni.

Ciò sta a significare che se da una parte l’ordinamento garantisce il creditore imponendo al debitore di mettere a disposizione tutti i propri beni presenti (art. 2640 C.C.) dall’altra in caso di costituzione di un fondo patrimoniale impedisce, anche se a certe condizioni, l’esecuzione sui beni appartenenti al fondo medesimo.

Inoltre se viene sancito per un verso il divieto di porre vincoli stringenti all’alienabilità di beni (art. 1379 C.C.) per l’altro viene individuato un obbligo di rispetto di un parziale vincolo di inalienabilità sui beni facenti parte del fondo (art. 169 C.C.).

In riferimento a tale ultimo norma si riporta il dettato normativo dell’art. 169 C.C.

Se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare,  ipotecare,  dare  in  pegno  o  comunque  vincolare  beni  del  fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente.”

Infine, preme sottolineare che secondo quanto stabilito dall’art. 168 C.C. i coniugi non possono utilizzare i beni del fondo allo stesso modo e con la stessa libertà con cui dispongono degli altri beni propri ma devono sempre rispettare il vincolo di destinazione e cioè “i bisogni della famiglia”

Non appare sempre agevole determinare quali siano “ i bisogni della famiglia” anche se autorevole giurisprudenza ha accolto una interpretazione abbastanza ampia.

Riguardo ad essi, la Corte di Cassazione con la sentenza del 7.1.1984 n. 314 ha descritto i bisogni di famiglia come

“esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi”.

FONDO PATRIMONIALE
Vincolo di destinazione ai bisogni della famiglia (in senso ampio) Disposizione dei beni solo nel rispetto delle finalità familiari

La condizione del matrimonio

Il    fondo    patrimoniale è riservato     esclusivamente     alla famiglia    per     cui indispensabile è la presenza dell’atto di matrimonio.

Per famiglia si intende un nucleo ristretto e cioè genitori, figli legittimi, legittimati e adottivi, minorenni o maggiorenni con diritto di mantenimento.

Si ritiene che la costituzione del fondo possa avvenire anche precedentemente al matrimonio, tuttavia gli effetti di tutela possono decorrere solamente al sorgere del suddetto vincolo.

Di fondamentale importanza è ricordare che il fondo viene ad esistenza per effetto della redazione di un atto pubblico e deve essere annotato a margine dell’atto di matrimonio. Ciò al fine di rendere opponibile a terzi (art. 162 C.C.) l’atto costitutivo del fondo e si palesa nella indicazione sull’atto di matrimonio della data di costituzione del fondo, del nominativo del notaio rogante e delle generalità dei contraenti.

Non è possibile fissare un termine temporale di durata del fondo, né prevedere clausole di risoluzione dello stesso, che può verificarsi esclusivamente a seguito dello scioglimento del matrimonio per divorzio, annullamento, cessazione o morte di uno dei due coniugi ovvero, in presenza di figli minori, non prima del compimento della maggiore età dell’ultimo figlio.

FONDO PATRIMONIALE
E’ fondamentale la presenza del vincolo matrimoniale (annotazione su atto di matrimonio) Non costituisce soggetto giuridico autonomo

L’oggetto e i soggetti del fondo patrimoniale

Possono essere oggetto del fondo patrimoniale:

  • beni immobili;
  • beni mobili iscritti in pubblici registri;
  • titoli di credito nominativi

Sono esclusi tutti i beni che, anche se di elevato valore economico, non rientrano tra i beni che devono essere iscritti in pubblici registri quali ad esempio, gioielli, oggetti d’arte e somme di denaro.

L’azienda non può mai essere oggetto di conferimento in un fondo patrimoniale. L’esclusione di alcuni beni dal fondo patrimoniale va senz’altro ricercata nel regime di pubblicità assicurato garantito solo a certe categorie di beni.

Soltanto i beni per i quali è previsto un adeguato regime di pubblicità possono dunque essere inclusi nel fondo così che il vincolo che grava su di essi sia reso pubblico.

I soggetti che possono costituire il fondo sono i seguenti:

  • il coniuge;
  • i coniugi congiuntamente;
  • un

Come già accennato in premessa, con la costituzione del fondo patrimoniale non nasce un autonomo soggetto giuridicamente rilevante, in quanto lo stesso non diventa proprietario dei beni.

Pertanto l’istituzione del fondo non comporta necessariamente la ripartizione della proprietà dei beni tra i coniugi o, se creato su iniziativa di un terzo, un suo trasferimento a favore degli stessi.

I beni possono infatti appartenere ad uno solo dei coniugi o al terzo che ha inteso mantenere la proprietà, concedendo solo il godimento e l’amministrazione dei beni conferiti.

Un’ ipotesi, peraltro diffusa, è quella di destinare beni di proprietà personale dei coniugi al fondo costituendo in tal modo un patrimonio separato.

Senonchè è anche possibile che uno dei coniugi includa in un fondo patrimoniale già costituito propri beni personali affinché questi siano destinati a far fronte ai bisogni del nucleo familiare.

Nel momento in cui uno dei due coniugi decida di far confluire parte dei propri beni nel fondo può decidere sia che la proprietà dei beni spetti ad entrambi i coniugi sia che la nuda proprietà dei beni “conferiti” resti in capo al disponente (art. 168 c.c.).

In tal modo solamente un diritto reale di godimento, nel caso specifico il diritto di usufrutto, viene attribuito al fondo patrimoniale, mentre la nuda proprietà resta in capo al coniuge.

Se ne deduce che risulta possibile che costituiscano il fondo diritti reali di godimento quali ad esempio il diritto di abitazione o di usufrutto e non solo il diritto di proprietà.

L’amministrazione del fondo e quindi dei beni e degli utili da essi derivanti spetta equamente ad entrambi i coniugi, che sono obbligati a gestirlo nell’interesse della famiglia.

Gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti dal singolo coniuge indipendentemente dall’altro, mentre gli atti di straordinaria amministrazione devono essere eseguiti da entrambi congiuntamente.

L’istituzione del fondo patrimoniale
non comporta necessariamente la ripartizione della proprietà dei beni fra i coniugi

Rapporti con i creditori: rischi di revocatoria

I beni che costituiscono il fondo sono soggetti ad un vincolo di destinazione in forza del quale gli stessi beni e i relativi frutti possono essere utilizzati esclusivamente per soddisfare i bisogni della famiglia e non per adempiere ad obbligazioni createsi nell’ambito di attività estranee alla famiglia, quali l’attività d’impresa o professionale svolta da uno dei due coniugi.

I beni che fanno parte del fondo patrimoniale rappresentano un patrimonio separato rispetto ai beni sui quali i creditori possono rivalersi per far rispettare le obbligazioni che uno dei due coniugi ha contratto nell’esercizio della propria attività professionale o di impresa.

Infatti se il debito è contratto per i bisogni della famiglia il creditore può rivalersi anche sui beni del fondo, diversamente se il debito deriva dall’esercizio dell’attività imprenditoriale/professionale il creditore non potrà vedere soddisfatte le sue pretese tramite, ad esempio, la vendita forzosa dei beni facenti parte del fondo patrimoniale.

Ne consegue che eventuali esecuzioni coattive nei casi di inadempienza o fallimento dell’imprenditore o di insolvenza del lavoratore autonomo non possono, nella generalità dei casi, avere effetti sul patrimonio destinato al fondo immobiliare.

Occorre però a questo punto effettuare una ulteriore distinzione all’interno dell’ipotesi in cui il debito risulti contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Infatti, secondo quanto disposto dall’art. 170 C.C., se il creditore al momento dell’operazione è a conoscenza dell’estraneità del debito rispetto ai bisogni della famiglia sarà per questo impossibile escutere i beni facenti parte del fondo.

Qualora invece il creditore non sia a conoscenza della suddetta estraneità, potrà senz’altro portare a compimento azioni esecutive anche sui beni del fondo.

Diviene pertanto di rilevanza fondamentale l’elemento della “conoscenza” da parte del creditore delle ragioni che hanno portato a contrarre il debito e, specificamente, dell’inerenza o meno di quest’ultimo ai bisogni della famiglia.

Non risulta semplice, soprattutto in certi circostanze, portare prove concrete a dimostrazione dell’inerenza o meno del debito all’attività professionale o d’impresa piuttosto che alle reali esigenze di mantenimento familiare.

Ai fini dell’applicazione dell’art. 170 c.c. sono rilevanti tanto i debiti antecedenti quanto quelli successivi alla costituzione del fondo patrimoniale, come da insegnamento giurisprudenziale consolidato della Suprema Corte di cassazione.

In molte sentenze, il Supremo Collegio ha, infatti, ribadito l’opponibilità del fondo patrimoniale anche ai debiti precedenti alla sua costituzione, in conformità alla norma civilistica suddetta, che non introduce alcuna distinzione temporale dei debiti per cui si procede.

A sostegno di quanto detto la Corte di Cassazione, Sez. III, con la sentenza 9 aprile 1996, n. 3251, ha affermato che

“con riguardo ai beni conferiti in fondo patrimoniale, l’art. 170 c.c. – secondo cui la esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia – non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo.

Ne consegue che detto divieto estende la sua efficacia anche ai crediti sorti prima di tale data, ferma restando in questo caso la possibilità per il creditore di agire in revocatoria ordinaria, qualora ne ricorrano i presupposti, al fine di far dichiarare l’inefficacia nei propri confronti dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale”.

Inoltre, con la recente sentenza n. 27117 del 04/12/2013 della sezione I, la Corte di Cassazione, con riguardo alla problematica della posizione del fideiussore, ha ribadito il principio secondo cui “l’acquisto della qualità del debitore nei confronti del creditore risale al momento della nascita stessa del credito (e non anche a quello della scadenza dell’obbligazione del debitore principale), sì che è a tale momento che occorre far riferimento al fine di stabilire se la costituzione di un fondo patrimoniale sia anteriore o successivo al sorgere del credito, onde predicare, conseguentemente, la necessità o meno della prova della c.d. dolosa preordinazione” (si veda Cassazione, sentenza n. 3676 del 15/02/2013).

Proprio su queste considerazioni troverà terreno più o meno fertile l’utilizzo da parte del creditore dell’azione revocatoria (ordinaria o fallimentare).

Infatti visto che la costituzione del fondo può essere ricondotta allo scopo di non ottemperare agli obblighi verso i creditori, arrecando alle pretese di questi un palese pregiudizio l’ordinamento consente di esperire azioni finalizzate a riportare nel patrimonio del debitore quei beni che sono stati dolosamente “ celati” da quest’ultimo.

Si riporta a tal proposito stralcio dell’art. 2901 C.C. titolato “Dell’azione revocatoria”:

“Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:

1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;”

Conforme alla più recente giurisprudenza di merito e legittimità, la sentenza n. 64/2013 della sezione XXIX della Commissione Tributaria Regionale di Firenze, pronunziandosi sull’opponibilità dell’iscrizione di beni in un fondo patrimoniale alla procedura di esecuzione iniziata dall’agente della riscossione per debiti tributari, ha respinto l’eccezione di invalidità della costituzione del fondo patrimoniale per simulazione in quanto non sarebbe stato provato che i coniugi avevano formato l’accordo al fine di sottrarre i propri beni all’esecuzione.

Al riguardo, secondo i Giudici, la sola circostanza che il rogito fosse avvenuto in prossimità dell’esecuzione non poteva costituire, di per sé, la prova dell’avvenuta simulazione.

Ferma l’assoggettabilità ad azione revocatoria ordinaria ex articolo 2901 c.c.

qualora sia dimostrata la consapevolezza del debitore di arrecare un pregiudizio al creditore, la Corte di Cassazione Sez. III con la sentenza n. 7250/13 ha precisato che “l’azione revocatoria presuppone, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità. Pertanto, prestata fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse ad un’apertura di credito, gli atti dispositivi del fideiussore successivi all’apertura di credito e alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art.2901, n.1, parte prima c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore e al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento”.

Si ritiene inoltre utile segnalare la sentenza della Corte di Cassazione n. 19332 del 21/08/2013, che ha affermato che la sentenza che dichiara l’inefficacia dell’atto di costituzione di un fondo patrimoniale deve essere pronunciata anche nei confronti del coniuge non proprietario dei beni, che deve pertanto essere messo nella condizione di partecipare al relativo giudizio, pena la nullità della relativa pronuncia (si veda anche Cassazione, sentenza n. 21494 del 18/11/2011).

In riferimento invece alla revocatoria fallimentare è da rilevare che l’art. 64 R.D. n. 267/1942, dispone che “sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito” ed il successivo art. 66, senza porre limitazioni temporali, prevede che

“il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori secondo le norme del codice civile”.

Sempre in materia di revocatoria fallimentare, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19209 dell’08/08/2013, ha posto ulteriori paletti in materia di efficacia, precisando che, qualora non venga documentata la specifica ed univoca destinazione del bene confluito nel fondo patrimoniale all’adempimento di un dovere morale nei confronti della famiglia, l’atto di costituzione risulta inefficace a fronte della suddetta domanda di revoca.

In numerose circostanze si riscontra un copioso utilizzo di azioni revocatorie al fine di annullare atti di costituzione di fondi patrimoniali.

E’ tuttavia difficile indicare l’orientamento della giurisprudenza in merito all’efficacia o meno di tali azioni.

Infatti ogni caso va valutato separatamente, ricordando pur sempre che tutte le caratteristiche e le specificità del fondo patrimoniale devono essere riscontrate e verificate preventivamente alla costituzione, affinché anche nei casi di assoluta mancanza di dolo nell’utilizzo dell’istituto in esame una semplice azione revocatoria non possa inficiare la validità  dell’atto.

In tema di onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., invece, la Cassazione, con sentenza n. 5974/13, ha stabilito che essa grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale.

Nel caso dell’opposizione proposta dal debitore avverso l’esecuzione avente a oggetto tali beni, al fine di contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente ex art. 615 c.p.c., l’onere della prova grava sul debitore opponente; questi non deve provare soltanto, come sostenuto dai ricorrenti, la regolare costituzione del fondo patrimoniale, e la sua opponibilità nei confronti del creditore pignorante, ma anche che il debito per cui si procede venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Inoltre, la prova, alla stregua dei principi generali, ben può essere fornita avvalendosi di presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c., gravando comunque sull’opponente l’onere di allegare e dimostrare i fatti noti, da cui desumere in via presuntiva i fatti oggetto di prova.

Gli aspetti fiscali del fondo patrimoniale

Il rischio di reato

fondo patrimoniale e debiti tributari cassazione 2019La costituzione di un fondo patrimoniale deve essere attentamente valutata per quanto concerne sia le motivazioni ma soprattutto il momento in cui si desidera porre in essere l’atto.

Occorre infatti tenere in considerazione che la costituzione di un fondo patrimoniale potrebbe celare la volontà di sottrarre beni alle pretese dei creditori.

A tal proposito oltre i rischi di revocatoria sopra riportati esistono profili di rischio ben più ampi quali quelli che derivano dall’applicazione dell’art. 11 D.lgs 74/2000 titolato “Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” e che punisce chi aliena beni in modo fraudolento al fine di sottrarsi alle pretese del fisco.

Tale articolo dispone:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a lire cento milioni (51.645 €), aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”.

Il reato di sottrazione fraudolenta richiede la presenza di:

  • dolo specifico inteso come volontà di sottrarsi al pagamento del debito tributario;
  • condotta fraudolenta intesa come l’intenzione di vanificare l’esito dell’esecuzione

In riferimento a questa fattispecie di reato è intervenuta una recente Cassazione penale che con sentenza n. 38295 del 7 ottobre 2009 ha rigettato il ricorso di un contribuente che al fine di cautelare i beni della propria società soggetta a controllo da parte dell’Agenzia delle entrate aveva alienato alcuni immobili ed aveva costituito un fondo patrimoniale nel quale aveva fatto confluire i beni in questione.

La Cassazione ricorda che l’art. 11 D.lgs n. 74/2000 analizza un reato di pericolo poiché punisce la sola potenzialità di un atto a rendere inefficace la procedura di riscossione. La Corte afferma che la sola idoneità ad impedire il soddisfacimento delle pretese del fisco è sufficiente perché il delitto sia commesso.

Al contrario, la vecchia fattispecie di reato contenuta nell’ art. 97 D.P.R. 602/73 e sostituita dall’art. 11 D.lgs. 74/2000, richiedeva che l’atto fraudolento fosse commesso dopo l’inizio di una verifica fiscale o dopo la notifica di un accertamento o una iscrizione a ruolo.

La modifica legislativa ha fatto sì che da “reato di danno” si passasse a “reato di pericolo” al fine di rafforzare o meglio conservare le garanzie patrimoniali a favore del fisco nel momento stesso in cui questo doveva recuperare somme con procedure coattive.

Inoltre si può ora ritenere superato anche il precedente orientamento giurisprudenziale che, a seguito della modifica legislativa sopra citata, riteneva necessario ai fini della commissione del reato l’inizio della procedura esecutiva.

Infatti varie recenti sentenze della Cassazione (n. 17071/2006, n. 7913/2007, n. 14720/2008, n. 38925/2009) si sono dimostrate in linea con quanto affermato dalla sentenza in commento:

“non è necessario che sussista una procedura di riscossione in atto ma che è sufficiente l’idoneità dell’atto simulato o ritenuto fraudolento a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato”.

Il fatto che i soggetti coinvolti nell’azione penale abbiano posto in essere la costituzione del fondo a seguito dell’inizio di verifiche da parte della polizia tributaria e che l’alienazione sia stata effettuata a favore di persone vicine alla famiglia senza adeguate garanzie per l’adempimento della obbligazione, rende la stipulazione dell’atto “ chiaramente sospetta” .

Inoltre la Corte eccepisce che nell’atto di costituzione del fondo mancano i motivi e le ragioni che hanno portato i soggetti ad avvalersi dell’istituto in esame.

L’assenza di motivazione costituisce dunque grave indizio affinché la stipula dell’atto sia ricondotta alla volontà di impedire la riscossione coattiva.

La Cassazione, inoltre, con ordinanza n. 40561/12, ha affermato che la costituzione di un fondo patrimoniale non integra di per sé la fattispecie penale in commento. Occorre, infatti, individuare quali siano gli aspetti dell’operazione economica che dimostrino la strumentalizzazione della causa tipica negoziale ovvero l’abuso dello strumento giuridico posto in essere al solo scopo di evitare il pagamento del debito tributario.

Il “compimento di atti fraudolenti” indica una condotta non necessariamente istantanea, né singolare, ma suscettibile di essere realizzata in tempi e con modi ed atti diversi e plurimi, i quali solo nella loro lettura complessiva mostrano quella idoneità necessaria alla loro rilevanza penale.

Ciò rileva con riguardo al “tempus commissi delicti” e, di conseguenza, in relazione alla decorrenza del termine di prescrizione, per il quale occorre riferirsi al momento conclusivo dell’attività procedimentale volta alla paralisi dell’azione esecutiva del Fisco.

Il sequestro preventivo per la confisca per equivalente

Come confermato dalla Cassazione, è da ritenere legittimo, a fronte della contestazione di reati tributari, il sequestro per equivalente su beni conferiti nel fondo patrimoniale.

Con la sentenza n. 18527/2011, la Cassazione ha poi affermato che il sequestro può avere ad oggetto beni cointestati con terzi estranei ma comunque nella disponibilità dell’indagato, in quanto la confisca è ammessa anche per i beni dei quali il reo abbia la disponibilità senza che assumano rilevanza eventuali presunzioni o vincoli regolanti i rapporti interni tra creditori e debitori solidali.

Tuttavia, il giudice del merito ha l’obbligo di motivare in punto di disponibilità del bene da parte dell’indagato, laddove sia stata addotta la cessione a titolo gratuito della quota del 50% del valore dell’immobile destinato alla costituzione di fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., non essendo sufficiente un mero richiamo alla contitolarità del bene stesso.

Disciplina fiscale del fondo patrimoniale

Cenni Imposte dirette

Dal punto di vista delle imposte dirette, i redditi dei beni facenti parte del fondo patrimoniale in base all’art. 4, co. 1, lett. b), TUIR, “sono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascun coniuge”.

Come già accennato, il fondo non costituisce un autonomo soggetto di diritto e dunque non matura una propria soggettività passiva d’imposta.

Ne consegue che non ha alcuna rilevanza l’effettiva ripartizione della proprietà dei beni che costituiscono il fondo.

E’ importante sottolineare come operi infatti una presunzione assoluta che impone un’equa ripartizione fra i coniugi dei redditi derivanti dai beni del fondo indipendentemente dunque dalla differente percentuale di proprietà in capo ai coniugi.

Secondo quanto affermato dal manuale “Le imposte sui redditi nel Testo unico” Ed. 2006:

“Correlando l’art. 167 C.C. con il successivo art. 168 ne deriva che la titolarità giuridica dei beni che formano oggetto del fondo patrimoniale può essere ripartita (anche per quote differenziate) tra i coniugi ovvero spettare per intero ad uno dei due coniugi o al terzo che ha effettuato il conferimento, fermo restando in ogni caso il vincolo di appartenenza al fondo dei frutti che da detti beni derivano.”

La predetta modalità di ripartizione della tassazione tra i coniugi trova applicazione anche relativamente alle plusvalenze derivanti dalla vendita dei beni ex art. 67, TUIR.

Nel caso di cessazione del fondo (art. 171 C.C.) i redditi dei beni che rimangono destinati al fondo sono imputati per l’intero ammontare al coniuge superstite o al coniuge cui sia stata esclusivamente attribuita l’amministrazione del fondo.

Imposta di registro

Per quanto riguarda l’imposta di registro, assume rilevanza il fatto che la costituzione del fondo comporti o meno il trasferimento della proprietà dei beni conferiti.

In particolare, come hanno precisato la C.M. 30.11.2000, n. 221/E e dalla C.M. 22.01.2008 n. 3/E e come confermato più volte dalla Corte di Cassazione (Sentenze 6.6.2002 n. 8162 e 2.4.2003 n. 10666), quando la costituzione del fondo non comporta il trasferimento della proprietà dell’immobile ma il solo vincolo di destinazione dello stesso, è dovuta l’imposta di registro in misura fissa (€ 168) in quanto l’atto è riconducibile alla categoria degli atti residuali ex art. 11, D.P.R. n. 131/86.

Conferimento beni senza passaggio della proprietà
Imposta di registro fissa (€ 168)

Merita a tal proposito di essere segnalata la sentenza della Corte di Cassazione 26/5/2003 n. 8289.

La Suprema corte affronta il tema della tassazione, ai fini dell’imposta di registro, dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale nella particolare ipotesi in cui il soggetto conferente si riservi la proprietà dei beni con cui il fondo stesso viene costituito; in tale caso viene ribadito che l’atto di costituzione sconta l’imposta di registro in misura fissa.

Infatti alla citata fattispecie non si applicano gli articoli 1, 3 e 9 della tariffa, parte prima, del D.P.R. 131/1986, bensì l’articolo 11. Le principali motivazioni a sostegno di tale tesi sono:

  • l’articolo 1 è relativo agli atti traslativi di ricchezza a titolo oneroso e pertanto esula da quelli a titolo gratuito.
  • lo scopo della costituzione del fondo patrimoniale è quello di assicurare il soddisfacimento di tutte le esigenze del nucleo familiare, e lo si raggiunge vincolando i coniugi a devolvere tutti gli utili dei beni ivi compresi a vantaggio dell’intera famiglia e prevedendone la relativa indisponibilità. Pertanto i beni  costituenti il fondo non vengono attribuiti ad altri non incidendo così sulla titolarità della proprietà dei beni stessi, presupposto per l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale in base all’articolo 9.

Imposte successioni/donazioni

Ai fini di valutare il trattamento tributario del fondo patrimoniale occorre tener conto del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 che ha introdotto una nuova tassazione per le dichiarazioni di trasferimento di beni a causa di morte e per le donazioni.

In particolare, l’art. 6 del decreto in esame include nella categoria degli atti a titolo gratuito anche atti che comportano “la costituzione di vincoli di destinazione”.

La C.M. n. 3/E del 22 gennaio 2008 ha tuttavia chiarito che la costituzione di un vincolo di destinazione può avere o meno effetto traslativi della proprietà.

Nel caso in cui il fondo patrimoniale dunque comporti anche il trasferimento della proprietà perché, ad esempio viene costituito con i beni dei due coniugi ed uno di questi non se ne riservi la proprietà, si applica l’imposta sulle donazioni con riferimento al vincolo di parentela o di coniugio intercorrente tra il disponente e il destinatario .

Si sottolinea come, qualora invece il fondo patrimoniale non comporti anche effetti traslativi, come peraltro spesso accade, non risulta dovuta l’imposta sulle successioni/donazioni.

Con la C.M. n. 28/E del 27 marzo 2008 l’Agenzia ha ribadito il concetto espresso dalla circolare precedente affermando che:

“ per vincoli di destinazione si intendono tutti i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi”. In alcuni casi, unitamente all’effetto segregativo, il vincolo implica anche il trasferimento di beni ad un soggetto diverso dal disponente”.

Questa distinzione non è priva di rilievo ai fini fiscali, in quanto “Le diverse modalità (traslativa e non) con cui l’effetto segregativo viene conseguito rilevano ai fini dell’applicazione delle imposte indirette.”.

Applicazione imposta successione/ donazione
al fondo patrimoniale
Solo se si verifica trasferimento della proprietà del bene

L’iscrizione ipotecaria sui beni conferiti in fondo patrimoniale

La Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, con sentenza del 25.9.2013 n. 177/3/13 ha legittimato l’iscrizione ipotecaria effettuata dall’agente della riscossione su beni immobili conferiti in un fondo patrimoniale se non è provata l’attinenza delle imposte ai redditi prodotti dai beni conferiti nel fondo.

Sono altresì favorevoli alla iscrivibilità dell’ipoteca sui beni immobili: CTR Venezia,

  1. 4/6/09, CTP Pisa, n. 74/6/09, CTP Treviso, n. 112/2/08, CTP Treviso, n. 94/3/08, CTP Bari, n. 373/09.

Sono invece contrari alla iscrivibilità dell’ipoteca sui beni immobili: CTP Milano, n. 437/221/10, Tribunale Grosseto, n. 208/2009, CTP Treviso, n. 22/3/09, CTP Mantova, n. 71/1/08, CTP Caserta, n. 429/07.

La Cassazione, con sentenza n. 7880/12, ha poi affermato che l’ipoteca esattoriale non può essere iscritta automaticamente su beni che fanno parte di un fondo patrimoniale, posto che essi non sono suscettibili di espropriazione immediata, ma solo se inerenti a debiti “della famiglia”. Non è sostenibile la tesi secondo cui l’ipoteca esattoriale non è ancora un atto dell’esecuzione forzata, siccome il divieto di esecuzione dei beni del fondo patrimoniale opera anche per gli atti preordinati all’espropriazione come l’ipoteca.

Infine, si segnala la sentenza della Cassazione, n. 5385/2013, in base alla quale l’ipoteca di cui all’art. 77 del DPR n. 602/73 soggiace alla disciplina prevista dall’art. 170 del codice civile, quindi non può essere iscritta in relazione a debiti che il creditore conosceva essere estranei ai bisogni della famiglia.

Di conseguenza, l’ipoteca iscritta dall’esattore è legittima se i debiti sono relativi ad esigenze familiari, oppure se il creditore non era a conoscenza che essi erano estranei ai bisogni familiari.

E’ il contribuente che deve dimostrare i fatti che possono condurre  alla illegittimità dell’ipoteca, quindi che il creditore era a conoscenza del fatto che i debiti erano stati contratti per esigenze extrafamiliari.

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4 febbraio 2014

Fabio Balestra e Danilo Sciuto

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