Analizziamo il contenuto di una sentenza della Corte di Cassazione, che ha ascritto la partecipazione al reato tributario anche al commercialista incaricato della tenuta delle scritture contabili e alla redazione della relativa dichiarazione dei redditi.
La Cassazione sulla responsabilità penale del commercialista
Nei giorni scorsi, è balzata agli occhi di tanti una sentenza della Corte di Cassazione, relativa alla responsabilità penale nell’attività professionale di un commercialista.
Tale sentenza è stata, su taluna stampa, etichettata come “scaricabarile”.
Ogni volta che si parla di Fisco – si legge – a chi tocca il “barile” di colpe? Al commercialista.
Perché il commercialista non poteva non sapere, perché è sicuramente colluso, perché addirittura è stato colui che – senza nemmeno dirlo al cliente – ha inventato l’elusione o addirittura l’evasione.
E allora vediamo il caso di cui alla sentenza incriminata…e ne riportiamo i tratti principali, più significativi.
Innanzitutto, una domanda: ma è vero che nella sentenza si da la colpa al commercialista? La risposta è negativa.
Un caso di concorso di colpa del commercialista per operazioni inesistenti
La sentenza infatti tratta di un “banale” caso di concorso di colpa – ex art. 110 codice penale – frequentissimamente applicato nella contestazione di reati dichiarativi, come avviene proprio nella vicenda da cui scaturisce il processo civile in commento.
“Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il commercialista di una società può concorrere nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, agendo a titolo di dolo eventuale.”
Si tratta quindi di una situazione più che verosimile, posto che nel compimento di un reato tributario, il commercialista, che per definizione riveste il ruolo di esperto, è davvero difficile che possa essere assolutamente esente da colpa.
D’altronde, la stessa sentenza è chiara nel dire:
“Risulta pacifica la configurabilità del concorso del commercialista con il contribuente, in generale, nei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e, più in particolare, nei reati connessi a dichiarazioni: si è affermato che il commercialista può concorrere, ex art. 110 codice penale, nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, con l’emittente di queste ultime; lo stesso principio, inoltre, è stato affermato in relazione al reato di indebita compensazione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater ed in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ove il commercialista è stato ritenuto concorrere con il legale rappresentante dell’ente”.
Ma andiamo avanti nell’esame. Si tratta di un commercialista, come detto, che teneva la contabilità dell’azienda.
Si dirà: “Vuoi vedere che adesso dobbiamo fare gli 007 del Fisco? Dobbiamo sostituirci ai controllori? E’ inaccettabile, questo!”.
In effetti, questo è sacrosanto: noi non dobbiamo fare controlli, ma non dimentichiamo che nell’espletamento del mandato occorre usare la diligenza del buon padre di famiglia (lo dice, oltre che il codice civile, anche il nostro codice deontologico).
Come si arriva alla denuncia penale…
Vediamo allora se quali sono state le situazioni che hanno dato luogo alla denuncia penale (del contribuente, e, a titolo di concorso, del commercialista).
In questo, riportiamo il passo più significativo della esposizione della sentenza, nella sua parte motiva, evidenziando alcune informazioni.
Si legge:
“il ricorrente era a conoscenza di varie anomalie concernenti la contabilità delle società, quali la presenza di numerose autofatture (con identità di nome tra cedente ed acquirente) per importi rilevanti e prelievi di somme in contanti dell’importo oscillante tra 10.000,00 e 30.000,00 Euro al giorno; tali anomalie gli erano state più volte segnalate dalla sua dipendente D.S., che, sotto le direttive del medesimo, curava la registrazione delle fatture; il L., pur rilevando tali anomalie ed essendo consapevole della necessità della presentazione delle autofatture all’Agenzia delle Entrate e della segnalazione alla Guardia di Finanza per i prelievi in contanti, non si attivava in tal senso, ma proseguiva nell’assistenza fiscale delle società per il timore di perdere clienti (come dallo stesso dichiarato in sede di esame), così contribuendo all’attuazione del meccanismo fraudolento che aveva consentito all’amministratore delle società di avvalersi di documentazione fittizia.
La Corte territoriale, poi, osservava, quanto al profilo soggettivo della condotta partecipativa, che plurimi elementi fattuali comprovavano la sussistenza del dolo eventuale; (….) in particolare, risultava rilevante sia il numero complessivo delle fatture, sia l’importo delle stesse, sia la non occasionalità dei fatti; inoltre, la circostanza delle eccessive movimentazioni di contanti effettuate costituiva un forte segnale di allarme per comprendere la natura di cartiere delle due società di cui curava la contabilità da più anni”.
Letto questo, resta pochissimo da aggiungere in merito alla legittimità della decisione della Corte.
L’esempio della sentenza in commento, per lamentare di uno scaricabarile dei Giudici verso i commercialisti è stato davvero fuori luogo.
Fonte: Corte di Cassazione, Sentenza n. 156/2022.
Abbiamo approfondito l’argomento anche nell’articolo: Reato di dichiarazione fraudolenta: responsabilità del professionista a titolo di dolo eventuale
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A cura di Danilo Sciuto
Lunedì 31 gennaio 2022