La Cassazione opera una rivoluzione interpretativa nel diritto penale societario: secondo una recente sentenza, ogni bilancio contenente dati non veritieri costituisce un reato autonomo di falso in bilancio, abbandonando definitivamente la teoria della “condotta unica continuata”. Secondo il nuovo paradigma della “serialità criminosa”, una falsità contabile che si protragga attraverso più esercizi genera una sequenza di reati istantanei, moltiplicando esponenzialmente le responsabilità penali.
Dalla condotta unica alla serialità criminosa: nuova lettura del falso in bilancio
Cassazione Penale: ogni bilancio falso è reato autonomo
La Quinta Sezione penale della Cassazione ha operato una significativa rivisitazione dell’approccio interpretativo al reato di falso in bilancio, introducendo un principio destinato a modificare profondamente la prassi applicativa in materia societaria.
La decisione, che merita un’analisi approfondita per le sue implicazioni sistematiche, afferma con chiarezza che ogni bilancio contenente dati contabili obbligatori non veritieri integra un autonomo reato di falso in bilancio, superando definitivamente l’orientamento che vedeva nella reiterazione della falsità una mera condotta continuata.
Il superamento della teoria della condotta unica: una rivoluzione interpretativa
Per comprendere appieno la portata innovativa della pronuncia in esame, è necessario partire dall’analisi del precedente orientamento giurisprudenziale, che aveva a lungo dibattuto sulla natura giuridica del falso in bilancio quando le informazioni mendaci si protraevano nel tempo attraverso più esercizi sociali.
Una parte consistente della giurisprudenza di legittimità aveva infatti sostenuto che il falso originario, una volta cristallizzato in un atto societario, continuasse a produrre i propri effetti anche negli anni successivi, senza tuttavia dar vita a nuove e autonome condotte penalmente rilevanti.
Secondo questa impostazione, la riproposizione di dati falsi nei bilanci degli esercizi successivi costituiva una mera conferma del dato originario, configurando al più una condotta unica protratta nel tempo, governata dalle regole del reato continuato.
La Suprema Corte abbandona decisamente questa prospettiva, operando una vera e propria rivoluzione interpretativa basata su una considerazione di carattere ontologico: lo stato patrimoniale non può essere concepito come una semplice riproposizione meccanica dei dati pregressi, ma rappresenta piuttosto la fotografia fedele e aggiornata della situazione societaria alla specifica data di bilancio.
Questa premessa, apparentemente tecnica, rivela invece una profonda valenza sistematica, poiché riconduce la disciplina del falso in bilancio alla sua funzione primaria di tutela dell’informazione societaria e dell’affidamento del mercato.
Il ragionamento della Corte si sviluppa attraverso un’argomentazione serrata che merita di essere analizzata nei suoi passaggi fondamentali. Il bilancio, osserva la Cassazione, deve riflettere fe