Società di comodo e società in perdita sistemica: i cambiamenti in materia di interpello: dall’antielusione all’interpello probatorio

Esiste un diretto collegamento tra la riforma dell’abuso del diritto (concetto che prende il posto dell’elusione tributaria) e quella dell’istituto dell’interpello, con riflessi importanti sulla nota situazione delle società non operative e in perdita sistematica: le novità e le criticità dopo la delega fiscale tra cui le forme di interpello ordinario, qualificatorio, probatorio, anti-abuso, disapplicativo

Società non operative e in perdita sistemica, interpello e abuso del diritto – Aspetti generali

società in perdita sistemicaLa riforma fiscale con la quale viene attuata la legge delega n. 23/2014, si compone di diversi decreti legislativi incidenti su molti aspetti del rapporto tra contribuenti e fisco (accertamento, contenzioso, riscossione, sanzioni, interpello).

In particolare esiste un diretto collegamento tra la riforma dell‘abuso del diritto – concetto che prende il posto dell’elusione tributaria – e quella dell’istituto dell’interpello, con riflessi importanti sulla nota situazione delle società non operative («di comodo») e in perdita sistematica.

Si tratta di due discipline parallele che, sorte in un’epoca in cui non si avvertivano ancora avvisaglie di crisi e l’economia era florida (e soprattutto il settore immobiliare registrava elevati livelli di crescita), intendevano colpire i fenomeni di abuso in senso lato mediante i quali dei beni a utilizzo sostanzialmente privato / familiare venivano inseriti in regime d’impresa per i vantaggi connessi a quest’ultimo (ammortamenti; detrazione IVA).

Il successivo sfavorevole andamento dell’economia e dei mercati ha reso irrealistiche le percentuali di redditività collegate al possesso da parte delle società di determinati beni, così come ha reso normali le perdite fiscali protratte nel tempo.

Le nuove disposizioni normative che divengono applicabili a partire dal 2015 apportano notevoli cambiamenti al sistema fin qui adottato: in  particolare, da un sistema fondato sul c.d. interpello obbligatorio si passa a uno schema fondato sull’indicazione in dichiarazione della non operatività, in presenza della quale – prevedibilmente – si attiverà una particolare attenzione del fisco e conseguentemente i contribuenti potranno dimostrare in sede di contraddittorio la presenza di esimenti di tipo oggettivo.

Le innovazione del Decreto Interpello

Secondo quanto viene affermato nella relazione introduttiva del decreto interpello, in via di definitiva pubblicazione [Atto del Governo n. 184], il nuovo art. 11 eleva ai principi statutari (superprimari) l’intera gamma degli interpelli, e riconosce garanzie comuni a tutti i tipi di istanze, che così si allineano a quanto originariamente previsto per il solo interpello ordinario.

Da segnalare poi la nuova ripartizione degli interpelli per tipologie, in parte differenti rispetto a ciò che era previsto in base alla normativa previgente:

  • interpello ordinario: art. 11, c. 1, lett. a; richiesta volta a ottenere un parere quando sussistano obiettive condizioni di incertezza interpretativa, in relazione all’applicazione delle norme a casi concreti e personali;
  • interpello qualificatorio: art. 11, c. 1, lett. b; richiesta volta a ottenere un parere sulla corretta qualificazione delle fattispecie in presenza di obiettive condizioni di  incertezza alla luce delle disposizioni  tributarie applicabili;
  • interpello probatorio: art. 11, c. 1, lett. c; richiesta volta a ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente ai fini dell’adozione di un determinato regime fiscale;
  • interpello anti-abuso: art. 11, c. 1, lett. d; richiesta volta a ottenere un parere sul carattere abusivo/elusivo di un determinato comportamento;
  • interpello disapplicativo: art. 11, c. 2; richiesta volta a ottenere un parere in ordine alla sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di   norme tributarie  che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo.

A queste cinque tipologie, di seguito brevemente descritte, si affiancano forme ulteriori di interpello come quelli previsti nell’ambito della normativa CFC modificata a opera del decreto internazionalizzazione [D.Lgs. n. 147/2015], che introduce anche l’interpello per i nuovi investimenti.

Interpello ordinario

Questo istituto, originariamente l’unico a essere incardinato nello Statuto del contribuente, non subisce modifiche e quindi rimane la procedura tipica per provocare una risposta ufficiale dell’amministrazione finanziaria relativamente a un comportamento del quale sia dubbio, a causa di incertezza interpretativa, il trattamento fiscale.

Tale forma di interpello rappresenta l’espressione del dovere dell’amministrazione di chiarire ai contribuenti l’applicazione delle norme, e attua il diritto di questi ultimi alla conoscenza dei propri obblighi e diritti.

L’interpello ordinario conserva il carattere personale e specifico, così che la risposta resa a un determinato contribuente / istante non potrà automaticamente ritenersi applicabile a tutti gli altri contribuenti, fatta salva però la formazione di un «legittimo affidamento» nel caso in cui la situazione che è oggetto di interpello sia identica a quella di altri.

In tale ultima ipotesi, si ritiene, le risposte suscettibili di un’applicazione più vasta seguiteranno a essere trasfuse in risoluzioni ufficializzate verso l’esterno, nelle quali l’amministrazione generalizzerà la propria posizione in ordine al comportamento già oggetto di interpello.

Interpello qualificatorio

Questa nuova tipologia di interpello consente di valutare la fattispecie obiettivamente incerta, cioè alla qualificazione del comportamento da sottoporre a disposizioni normative tributarie.

Il nuovo interpello permetterà quindi all’amministrazione di decidere in ordine all’individuazione del comportamento, che nel quadro dell’interpello ante riforma fuoriusciva dall’ambito applicativo dell’istituto e veniva demandata al contribuente / istante.

Da questo tipo di interpello vengono escluse:

  • le ipotesi rientranti nell’ambito applicativo della nuova procedura di ruling internazionale prevista dall’art. 1 del decreto legislativo recante  misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese (decreto internazionalizzazione);
  • le ipotesi costituenti «nuovo investimento» nell’accezione prevista dall’art. 2 del medesimo decreto internazionalizzazione, per le quali è possibile attivare uno specifico interpello speciale.
    La possibilità di presentare validamente un’istanza di interpello qualificatorio presuppone l’esistenza di un’obiettiva incertezza sulla qualificazione delle fattispecie, sicché i comportamenti ricorrenti, se non caratterizzati da elementi di peculiarità o comunque di complessità non potranno costituire oggetto dell’istanza.
    In particolare rientrano nell’ambito applicativo della nuova ipotesi le fattispecie complesse e obiettivamente incerte – quali ad esempio la valutazione della sussistenza di un’azienda o di una stabile organizzazione ai fini dell’esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti di cui al nuovo art. 168-ter del TUIR («branch exemption»), o la riconducibilità di una determinata spesa alla categoria delle spese di pubblicità ovvero a quelle di rappresentanza1, sempre che l’istanza sia finalizzata a ottenere chiarimenti sull’applicazione di disposizioni tributarie.
    Il limite dell’interpello qualificatorio, così come dell’interpello ordinario, è di non poter comunque avere a oggetto accertamenti di tipo tecnico (ad esempio, le operazioni di classamento, di calcolo della consistenza e l’estimo catastale ovvero l’accertamento della natura illecita di un provento ai fini dell’applicazione della relativa disciplina), esperibili esclusivamente nelle sedi proprie.

Interpello probatorio

Questo tipo di interpello costituisce una categoria molto ampia, nel cui contesto sono riconducibili diverse tipologie di istanze già conosciute dall’ordinamento, e consiste in una richiesta all’amministrazione finalizzata a ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente ai fini dell’adozione di un determinato regime fiscale.

La procedura consente la valutazione dei requisiti di accesso a determinati regimi fiscali, con formula molto ampia, anticipando l’attività che ordinariamente l’amministrazione svolge in sede di accertamento (con più vasti poteri di acquisizione di dati ed elementi di prova).

Secondo quanto osserva la relazione illustrativa, il riferimento all’accesso a un determinato regime fiscale va interpretato in senso ampio, come comprensivo dei casi in cui si tratti della non operatività di determinate limitazioni o regole speciali.

Ecco quindi che talune tipologie di quesiti, che nel regime ante riforma rientravano tra gli interpelli «disapplicativi», vengono ora condotte al contesto «probatorio»: è il caso della normativa speciale relativa alle società non operative di cui all’art. 30 della L. n. 724/1994.

Sull’argomento: Interpello probatorio ovvero autovalutazione per la richiesta di rimborso IVA presentata dalla società di comodo 

Interpello antiabuso

Il nuovo comma 11 dello Statuto del contribuente prevede ora anche l’interpello di tipo antielusivo, o per meglio dire (secondo il nuovo lessico adottato) antiabuso, precedentemente incardinato nell’art. 21 della L. n. 413/1991, mediante il quale i contribuenti possono ricevere dall’amministrazione un parere preventivo in ordine al carattere potenzialmente elusivo di un comportamento, riferito a operazioni straordinarie di impresa ovvero alle ulteriori ipotesi già prevedute dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.

Il medesimo interpello – anche in considerazione del comune fondamento – può essere attivato dal contribuente per conoscere il parere dell’amministrazione in relazione alle ipotesi di interposizione soggettiva , ai sensi del terzo comma dell’art 37 del D.P.R. n. 600/1973.

Le società di comodo

società di comodoLe cosiddette società di comodo sono in realtà dei soggetti societari che non realizzano un risultato economico ritenuto sufficiente in base a un rapporto standardizzato con i valori contabili dei beni che ne compongono il patrimonio.

Ciò, nel contesto presuntivo – legale introdotto dall’art. 30 della L. n. 724/1994, equivale a manifestare un «segnale di evasione», o piuttosto di elusione in senso lato, dal momento che la società si riteneva finalizzata all’indebito accesso al regime di impresa (con i correlati vantaggi in termini di ammortamenti e di detrazione IVA) per la gestione di beni di interesse privato – familiare e non «commerciale».

Questa disciplina reca pesanti penalizzazioni alle società coinvolte e, nel contesto normativo antevigente rispetto ai decreti del 2015, poteva essere disapplicata solamente tramite una specifica istanza rivolta al competente direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate.

Alla disciplina speciale di svantaggio per le società di comodo è stata successivamente ricondotta e assimilata l’ipotesi delle società c.d. in perdita sistemica o sistematica.

A seguito del citato decreto interpello del 2015 la presentazione (già ritenuta obbligatoria) dell’istanza al direttore regionale diviene facoltativa potendo essere sostituita da una semplice indicazione nella dichiarazione fiscale. Se però il soggetto «non operativo» ometterà l’indicazione, si renderanno applicabili sanzioni amministrative tributarie rinforzate (oltre alla rettifica della situazione reddituale da parte dell’amministrazione in sede di accertamento).

Le società in perdita sistemica

I commi da 36-quinquies a 36-duodecies dell’articolo 2 del D.L. 13.8.2011, n. 138, convertito dalla L. 14.9.2011, n. 148:

  • hanno disposto per le società «di comodo» in assenza di parere po- sitivo dell’Agenzia delle Entrate una maggiorazione del 10,5% sull’IRES;
  • hanno estero l’applicazione della maggiorazione alle società che pre- sentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d’imposta consecu-

In dettaglio, il comma 36-decies specificava che, nei casi in cui non ricorressero i presupposti per considerare la società non operativa, le società e gli enti che presentavano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi di imposta consecutivi sono considerati non operativi a decorrere dal successivo quarto periodo di imposta.

Ai sensi del comma 36-undecies, la condizione di società non operativa ricorreva anche se per tre periodi di imposta consecutivi le società e gli enti si trovavano per due periodi di imposta in perdita fiscale e in uno avevano dichiarato un reddito inferiore all’ammontare determinato ai sensi dell’art. 30, terzo comma, della L. n. 724/1994 (c.d. reddito minimo presunto).

A seguito delle modificazioni normative apportate dall’art. 18 del D.Lgs. 21.11.2014, n. 175, la qualifica di società in perdita sistematica è ora ricollegata al riscontro di una situazione di perdita fiscale per cinque (anziché tre) periodi di imposta consecutivi, ovvero per quattro periodi se in uno dei periodi del quinquennio il reddito della società è inferiore rispetto a quello minimo presunto.

Guardando alla riforma degli interpelli attuata nel 2015, non si comprende quale potrebbe essere il destino dei quesiti riguardanti le società in perdita sistematica, mai menzionate dalla nuova normativa: se non si prefigurerà una revisione (o una soppressione) della disciplina di riferimento, sarebbe auspicabile un intervento sul testo normativo finalizzato a coordinare esplicitamente tale normativa le nuove disposizioni2.

Il tramonto dell’obbligatorietà

Nel qualificare talune tipologie di interpello come obbligatorie, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 2010 di fatto considerava questi interpelli come un preludio non incidentale, ma necessario, alle fasi successive del rapporto tra contribuenti e fisco.

Gli interpelli ritenuti obbligatori dall’amministrazione erano quelli:

  • finalizzati all’ottenimento «di un parere favorevole all’accesso ad un regime derogatorio (in talune ipotesi anche agevolativo) rispetto a quello legale, normalmente applicabile»;
  • resi necessari dall’esigenza «di consentire all’amministrazione finanziaria un monitoraggio preventivo in merito a particolari situazioni considerate dal legislatore potenzialmente elusive».

La circolare riteneva essere obbligatorie le istanze relative alle CFC, quelle riferite in generale alla disapplicazione specifica di norme antielusive [art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973] e quelle riguardanti la disapplicazione della normativa speciale in materia di società non operative [che rappresentavano una «sottospecie» delle istanze disapplicative, mentre attualmente vengono collocate tra le istanza «probatorie»].

Riguardo a queste ultime, l’Agenzia ha superato l’originario orientamento restrittivo relativamente alla possibilità per il contribuente di fornire le prove richieste anche in sede contenziosa.

In definitiva, quindi, anche se l’interpello ha esito negativo, e a esso segue l’attività di accertamento dell’ufficio, il contribuente ha la facoltà di produrre le dimostrazioni richieste avanti la CTP.

Gli interpelli probatori nell’ambito della riforma

Come già evidenziato sopra, l’interpello probatorio è quel particolare tipo di interpello che può essere attivato dai contribuenti per dimostrare, in un caso specifico, la presenza dei presupposti necessari per poter accedere a un certo regime fiscale.

Nella seguente tabella vengono ripresi gli interpelli, prima previsti come «sottospecie» di altre tipologie, che dovranno ritenersi inclusi tra i quesiti di tipo probatorio: si segnala in particolare il transito dell’interpello sui costi esteri dal campo in senso lato antielusivo a quello probatorio, nonché l’inclusione entro questa categoria degli interpelli CFC, che viene ad aggregare anche interpelli già ricondotti alla procedura dell’interpello ordinario (come nel caso della disciplina della conversione dei crediti in partecipazioni per le banche).

Infine, entrano in campo «probatorio» anche i già «disapplicativi / antielusivi» interpelli in materia di società non operative e di disposizioni antielusive ACE.

Si osserva che la riconduzione degli interpelli relativi alle società di comodo nell’ambito della tipologia degli interpelli probatori eleva il termine per la risposta a 120 giorni (rispetto ai precedenti 90 giorni) [art. 11, terzo comma, L. n. 212/2000], che ora la richiesta di documentazione, per una sola volta, abilita l’amministrazione (nel caso in cui gli elementi istruttorii forniti fossero insufficienti per fornire la risposta) a rispondere entro un termine di 90 giorni dalla ricezione della documentazione integrativa [art. 4, c. 2, decreto interpello].

Ipotesi di interpello probatorio
riferimenti normativi
interpello
Art. 11, comma 13, L. n. 413/1991

Art. 110 TUIR

istanze di interpello sui costi esteri «black list»
Art. 167 TUIR istanze di interpello CFC
Art. 113 TUIR

Art. 87 TUIR

istanze presentate dagli enti creditizi che scelgano di non applicare il regime di participation exemption (pex) partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria
Art. 124 TUIR istanze di interpello per la continuazione del consolidato fiscale nazionale a seguito di operazioni di riorganizzazione societaria
Art. 132 TUIR istanze di interpello per l’accesso al consolidato mondiale
Art.     30,    L.     n. 724/1994 istanze prodotte dalle società non operative e in perdita sistemica
D.M. 14.3.2012 istanze previste ai fini del riconoscimento dell’agevolazione ACE in presenza di operazioni potenzialmente elusive

Le novità in materia di snop e sanzioni

Il medesimo decreto interpello innova l’art. 30 della L. n. 724/1994, stabilendo che:

  • nel comma 4-bis, le parole «la società interessata può chiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600» sono sostituite dalle seguenti: «la società interessata può interpellare l’amministrazione ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera c) della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente»;
  • nel comma 4-ter, le parole «in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni del presente senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello di cui al comma 4-bis» sono sostituite dalle seguenti: «non trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi precedenti»;
  • il comma 4-quater è sostituito dal seguente: «4-quater. Il contribuente che ritiene sussistenti le condizioni di cui al comma 4-bis ma non ha presentato l’istanza di interpello prevista dal medesimo comma ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve dame separata indicazione nella dichiarazione dei redditi».

Come è facile riscontrare, il riferimento è ora chiaramente all’interpello di cui alla lettera c) del primo comma dell’art. 11, ossia ai quesiti che attengono alla

«sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti».

Secondo quanto è posto in luce nella relazione introduttiva al decreto,

«gli interpelli delle società di comodo, attualmente ricondotti nell’alveo degli interpelli disapplicativi, presentano caratteristiche che li rendono più correttamente assimilabili agli interpelli probatori (…).

Per le società e gli enti non operativi ai sensi dell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1994, n. 724, infatti, l’accesso al regime ordinario di tassazione è subordinato alla dimostrazione non già della assenza di effetti elusivi non altrimenti specificati dalla legge (come richiesto dal comma 2 del nuovo articolo 11, dello Statuto, che riprende sul punto la formulazione dell’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo certezza), ma alla sussistenza delle situazioni oggettive che, ai sensi del comma 4-bis del citato articolo 30, hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi, nonché del reddito determinati presuntivamente ai sensi del medesimo articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4».

Il nuovo quadro normativo è completato dal decreto sanzioni [Revisione del sistema sanzionatorio (Schema di D.Lgs. n. 183) (Artt. 1 e 8, co. 1, L. 23/2014) Luglio 2015 XVII Leg.]: in particolare il nuovo comma 3-ter dell’art. 8 individua, nel contesto delle disposizioni volte a punire le eventuali omissioni o incompletezze dei dati della dichiarazione, una sanzione fissa (da 2.000 a 21.000 euro) applicabile nei casi in cui il contribuente non abbia provveduto a effettuare le segnalazioni richieste da:

  • l’articolo 113, comma 6, del TUIR, in relazione alle partecipazioni acquisite per il recupero di crediti bancari;
  • l’articolo 124, comma 5-bis, del TUIR, in ordine alla continuazione del consolidato nazionale;
  • l’articolo 132, comma 5, del TUIR, relativo al consolidato mondiale;
  • l’articolo 30, comma 4-quater, della legge 30 dicembre 1994, n. 724 per le società di comodo;
  • l’articolo 1, comma 8 del decreto-legge 6 dicembre 2011, 201, in tema di Aiuto per la crescita economica (ACE).

Le ipotesi menzionate sono oggetto di modifica da parte dello schema di decreto delegato in materia di interpello, nel cui contesto la presentazione dell’istanza di interpello – fino ad oggi obbligatoria – è stata resa facoltativa ed è stata sostituita, in omaggio all’esigenza di monitoraggio da parte dell’amministrazione sulle predette situazioni, dalla introduzione di un obbligo di segnalazione.

Le innovazioni decorrenti dal 2015 mutano nella sostanza il meccanismo che intende dissuadere rispetto all’uso improprio dello schema societario. In estrema sintesi, l’intervento tocca i punti seguenti:

  • cessazione dell’obbligatorietà dell’istanza, che diviene meramente eventuale;
  • se non viene presentata istanza, in caso di non operatività obbligo di evidenziare tale situazione nella dichiarazione dei redditi, a pena di sanzioni amministrative tributarie maggiorate;
  • in tale ultima ipotesi, passaggio integrale della dimostrazione richiesta ai fini della disapplicazione nel momento del contraddittorio con l’ufficio.
Il problema del termine

La vigente normativa in materia di abuso del diritto – art. 10-bis, quinto comma, L. n. 212/2000 – fissa il termine ultimo per poter proporre istanza all’amministrazione finanziaria in corrispondenza della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima.

Si osserva che la posizione dell’amministrazione a partire dal 2010 [circolare n. 32/E/2010] prevedeva invece la presentazione delle istanze novanta o centoventi giorni prima della scadenza del termine ordinario per la presentazione dei dichiarativi, per poter lasciare agli uffici il tempo necessario a rendere la risposta.

L’art. 2 del decreto interpello – che costituisce ora la base normativa anche in materia di interpello probatorio, e quindi di quesiti relativi alle società non operative – reca ora precisazioni quanto alla legittimazione alla proposizione delle istanze e alle specifiche condizioni che devono ricorrere. Trattandosi tuttavia di una disciplina generale, queste prescrizioni normative possono essere tranquillamente trasposte sulle altre forme di interpello incardinate nel medesimo articolo.

Questa disposizione normativa esclude alla radice qualsiasi interpretazione restrittiva circa il termine per la proposizione dell’istanza, fissato – per i comportamenti dichiarativi – in corrispondenza del termine per la presentazione, appunto, del modello fiscale.

Rimane da capire se potrà esserci addirittura un’apertura alle ipotesi di dichiarazione correttiva / integrativa, nonché alla possibilità di rettificare la dichiarazione entro i termini per l’attività di accertamento con le modalità del c.d. ravvedimento lungo.

Considerazioni conclusive

Come si è visto, l’applicazione della normativa speciale in materia di società non operative può rivelarsi particolarmente penalizzante, specialmente in una situazione di crisi economica generalizzata, conducendo a esiti del tutto irrealistici.

Ugualmente pesante può divenire l’applicazione delle parallele disposizioni in materia di perdite sistematiche, introdotte in epoca più recente, anche se l’elevazione da tre a cinque dei periodi di imposta in perdita, necessari per rendere applicabili le norme di sfavore, ha attenuato la loro problematicità (riducendo la platea di riferimento).

In tale contesto, si ritiene che il venir meno dell’obbligo di interpello e la sua sostituzione con una semplice facoltà, fatto salvo l’obbligo di indicazione in dichiarazione in caso di non operatività, rappresenti un intervento di garanzia nei confronti dei contribuenti, che, se selezionati per i controlli fiscali, potranno fornire ogni dimostrazione nel contraddittorio con l’ufficio, con più vaste possibilità probatorie rispetto a quanto possibile in sede di interpello.

Più in generale, l’orientamento espresso nella legge delega e nei relativi decreti delegati è nel senso di un pieno recupero di quell’approccio partecipativo e paritetico tra cittadini e amministrazione che innervava le riforme degli anni novanta e lo Statuto del contribuente. In una breve massima: la fiscalità del XXI secolo dovrà essere pro e non anti sviluppo.

15 ottobre 2015

Fabio Carrirolo

NOTE

1 Finora queste ipotesi venivano ricondotte alla procedura di interpello antielusivo di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 21 della L. n. 413/1991.

2 È anche possibile, tuttavia, che le istanze «già disapplicative» in materia di società in perdita sistemica seguano il destino di quelle relative alle società di comodo, ossia alla disciplina principale rispetto alla quale quella sulle perdite si configura come «derivata».

Leggi anche:  Società di comodo: preventività degli interpelli
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