Ruling internazionale: cos'è e come funziona

Di fronte ai fenomeni elusivi consistenti nella strumentalizzazione dei differenziali tra i vari sistemi impositivi, in un contesto transnazionale, i Governi e le Autorità fiscali elaborano specifiche strategie normative di contrasto, adattano le sanzioni e orientano i controlli fiscali in sede di programmazione.

Il ruling di standard internazionale

transfer pricingIn Italia, accanto alle disposizioni sulle società controllate estere (CFC), ai vincoli posti alla deducibilità dei costi connessi a transazioni con Stati e territori a fiscalità ridotta, alle norme anti-esterovestizione, etc., è stato introdotto dal legislatore il «ruling di standard internazionale», nell’ambito del quale è possibile adire una speciale procedura di interpello finalizzata alla stima puntuale e condivisa dei valori che entrano in gioco negli scambi con l’estero.

Si tratta di una procedura relativamente poco conosciuta nella prassi, finalizzata alla ricerca di una versione concordata in merito al quantum ovvero alla qualificazione di determinati componenti di reddito, allo scopo di evitare talune vertenze tra imprese e Amministrazione, fondate su argomenti particolarmente difficili da comprovare e stimare (sia per i contribuenti, sia per la parte pubblica).

Transfer pricing e costi esteri

Il transfer pricing rappresenta un’ipotesi di elusione fiscale che sfrutta la dimensione internazionale dei gruppi societari e dei rapporti negoziali per fini di «pianificazione fiscale».

Una situazione tipica è quella dei gruppi con società «madri» italiane che controllano le «figlie» residenti in vari Stati esteri, e per esse sostengono una serie di spese generali (di coordinamento, di direzione, etc.), poi ribaltate alle società beneficiarie.

In tale ipotesi, l’Amministrazione può:

  • «azionare» l’art. 110, co, 7, del TUIR, sempreché si tratti di costi relativi ad operazioni con società controllate, controllanti o collegate, ciò che comporta la valutazione in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, se ne deriva aumento del reddito (la medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali «procedure amichevoli» previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi);
  • utilizzare la disposizione del co. 10 dello stesso art. 110, per effetto della quale i «costi esteri» sono resi indeducibili se non è dimostrato che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione, mediante lo speciale interpello previsto (in via preventiva) oppure in sede di contraddittorio con l’ufficio fiscale (in via successiva).

Quanto alla nozione di controllo accolta nel menzionato co. 7 dell’art. 110, si evidenzia che – per quanto stabilito dal secondo periodo del medesimo comma – l’operatività della disposizione si estende ai «beni ceduti» e ai

«servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l’impresa esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti».

I presupposti soggettivi sono i seguenti (1):

  • il soggetto italiano dev’essere un’impresa;
  • il soggetto estero dev’essere una società;
  • la società estera ha il controllo diretto o indiretto sull’impresa italiana;
  • l’impresa italiana ha il controllo diretto o indiretto sulla società estera;
  • l’impresa italiana e la società estera sono controllate dalla stessa società.
  • Alla luce di ciò, il rapporto di controllo (2) si deve ritenere sussistente quando:
  • l’impresa italiana è controllata, direttamente o indirettamente, da una società non residente;
  • l’impresa italiana controlla, direttamente o indirettamente, la società non residente;
  • l’impresa italiana e la società non residente sono sottoposte, direttamente o indirettamente, al controllo da parte della stessa controllante.

Avvalendosi del richiamato art. 110, co. 10, del TUIR, il Fisco italiano può negare, come sopra accennato, la deduzione fiscale di

«spese e (…) altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati».

I contribuenti possono tuttavia:
  • fornire in sede di controllo, nella sostanza, la prova che le imprese estere non sono finalizzate alla sottrazione di risorse all’Erario italiano (3);
  • in via preventiva, evitare il disconoscimento dei «costi esteri» ottenendo una risposta positiva da parte dell’Agenzia delle Entrate, ovvero del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive, proponendo interpello nelle forme di cui al sopra menzionato art. 21, L. 413/1991 (interpello antielusivo).

Dev’essere rammentato che, per espresso disposto del co. 12 dell’art. 110, «le disposizioni di cui ai commi 10 e 11 non si applicano per le operazioni intercorse con soggetti non residenti cui risulti applicabile gli articoli 167 o 168, concernente disposizioni in materia di imprese estere partecipate».

Pertanto, nel caso in cui sussista un rapporto di controllo o collegamento con l’impresa estera, nei termini stabiliti dal Testo Unico, tale circostanza prevale sulla presenza di «costi esteri», anche ai fini dell’interpello «esimente» più avanti menzionato.

In definitiva, l’imponibilità sul 100% del reddito della partecipata estera prevale sulle preoccupazioni relative alla deducibilità dei costi derivanti da transazioni con la stessa, perché – evidentemente – i costi dedotti in capo al soggetto italiano controllante o collegato dovrebbero «normalmente» trasformarsi in ricavi in capo, appunto, al soggetto estero.

Il ruling internazionale: aspetti generali

Il ruling internazionale è stato introdotto mediante l’art. 8, co. 5, D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, ed è stato concretamente attuato nell’ordinamento con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 23.7.2004 (4).

L’istituto in esame ha comportato l’introduzione in Italia di una procedura intesa a raggiungere una soluzione concordata tra le due parti (imprese con attività internazionale ed Erario italiano), sul modello degli «APA’s» (Advanced Pricing Agreements) già noti a molti ordinamenti esteri (5).

L’adozione di tali strumenti è raccomandata dall’OCSE nelle direttive sul transfer pricing («OECD Transfer Pricing Guidelines for multinational enterprises and tax administration»), come soluzione alle problematiche derivanti dai prezzi di trasferimento (6).

 Soggetti ammessi

L’accesso alla procedura è circoscritto al novero delle imprese con attività internazionale, così definite alla luce del provvedimento direttoriale del 2004:

  • soggetti residenti → la qualifica di impresa con attività internazionale è riconosciuta alle imprese che, in alternativa o congiuntamente:
    • rientrano in una o più delle condizioni di cui all’art. 110, co. 7, TUIR;
    • abbiano il patrimonio, fondo o capitale, partecipato da soggetti non residenti, ovvero partecipino al patrimonio, fondo, capitale, di soggetti non residenti;
    • abbiano corrisposto o percepito da soggetti non residenti, dividendi, interessi o royalties;

Per approfondire: L’istituto della Stabile Organizzazione nell’ordinamento tributario italiano

Oggetto dell’istanza

Il ruling internazionale può applicarsi principalmente al regime di prezzi di trasferimento, nonché alle corresponsioni di interessi, dividendi e royalties.

Tale strumento può però essere utilizzato, secondo il provvedimento attuativo, anche per disciplinare eventuali altri componenti di reddito di carattere internazionale, riguardanti l’applicazione ad un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, concernenti:

  • l’erogazione o la percezione di “altri componenti reddituali” a o da soggetti non residenti;
  • l’attribuzione di utili o perdite alla stabile organizzazione in un altro Stato di un’impresa residente ovvero alla stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente.

Applicazione in materia di prezzi di trasferimento

La procedura di ruling in esame consente la preventiva definizione, in contraddittorio, dei metodi di calcolo del  valore  normale delle operazioni.  

L’istanza deve:

  • fornire l’indicazione dettagliata dei beni o dei servizi oggetto delle operazioni infragruppo e la tipologia delle operazioni;
  • indicare le controparti non residenti, nonché le ragioni per le quali tali operazioni sono riconducibili a una delle situazioni di cui all’art. 110, co, 7, TUIR;
  • illustrare i criteri e i metodi di determinazione del valore normale delle operazioni e le ragioni per cui si ritengono conformi alla legge;
  • produrre l’eventuale documentazione illustrativa ritenuta opportuna.

Le operazioni rientranti nell’ambito applicativo del transfer pricing possono generalmente riguardare, sempre nei rapporti infragruppo, cessioni di beni, materiali e immateriali, prestazioni di servizi, accordi di ripartizione di costi («cost sharing agreements»), spese di regia, cioè l’addebito alle varie branches di quote di spese generali sostenute dalla casa madre («management fees»), etc.

La nozione di «valore normale»

Il valore normale si presenta come un sistema per la determinazione dei corrispettivi fondato sulla «registrazione» dei valori consueti delle transazioni che avvengono in normali condizioni di mercato, tra soggetti indipendenti.

Tale concetto non sembra differenziarsi molto, a livello generale, in ragione del settore impositivo (IVA o imposte sui redditi).

Nel settore delle imposte sui redditi, la nozione di valore normale si ricava dall’art. 9, co. 3, del D.P.R. 917/1986, ove è affermato che si tratta – salvo quanto stabilito nel co. 4 per azioni, obbligazioni e altri titoli – del prezzo o del corrispettivo

«…mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi».

È inoltre stabilito che

«per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore».

Relativamente all’IVA, l’art. 14, co. 3, del D.P.R. 633/1972, dispone che

“per valore normale dei beni e dei servizi si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi”.

Il successivo co. 4 stabilisce – in termini del tutto analoghi a quanto previsto per le imposte sui redditi – che

“per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe dell’impresa che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini della Camera di commercio più vicina, alle tariffe professionali e ai listini di borsa”.

Nella R.M. 21.12.1979, n. 363705, è stato precisato che

«il valore normale, ai sensi dell’ art. 14 del medesimo D.P.R. n. 633, è costituito dal prezzo mediamente praticato per i beni della stessa specie al medesimo stadio di commercializzazione, prezzo che si individua in quello praticato nella fase di produzione, qualora i beni ceduti a titolo di sconto siano prodotti dallo stesso soggetto e in quello praticato nella fase all’ingrosso qualora i cennati beni siano stati acquistati presso altri operatori».

Applicazione in materia di interessi, dividendi, royalties, etc.

In tali ipotesi, il ruling è  finalizzato  alla  determinazione  della qualificazione giuridica del reddito (ad esempio, dividendi o interessi) e non alla determinazione del quantum dello stesso.

Per tali componenti di reddito, l’istanza deve indicare:

  • il caso in relazione al quale si è prodotta  l’istanza,  in  modo dettagliato;
  • i  soggetti  non  residenti  destinati  a  percepire  o   erogare dividendi, interessi, royalties o altri componenti reddituali;
  • la  soluzione  applicabile  sulla   base   della   normativa   di riferimento e le ragioni per cui si ritiene che sia conforme alla legge.

L’istanza può inoltre essere  corredata  dalla documentazione  illustrativa  ritenuta  opportuna  per  il  raggiungimento dell’accordo.

Applicazione in materia di erogazione o percezione di altri componenti reddituali

Se verte sull’applicazione in concreto di norme,   anche   di   origine convenzionale, concernenti l’erogazione o la percezione di altri componenti reddituali a o da soggetti non residenti, l’istanza:

  • deve indicare dettagliatamente il caso in relazione al  quale  essa è proposta;
  • deve indicare i soggetti  non  residenti  destinati  a  percepire  o erogare i componenti reddituali;
  • deve illustrare  la  soluzione  che  intende  adottare sul piano applicativo della normativa di riferimento e le ragioni per cui ritiene che essa sia conforme alla legge;
  • può essere  corredata  dalla  documentazione  illustrativa  ritenuta opportuna.

Applicazione in materia di attribuzione di utili o perdite alle stabili organizzazioni

Un’ulteriore ipotesi di applicazione del ruling internazionale è quella nella quale si tratti di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l’attribuzione di utili o perdite alla stabile organizzazione  in  un  altro  Stato  di  un’impresa residente, ovvero alla stabile organizzazione in Italia di un  soggetto  non residente.

In tale ipotesi, oltre all’indicazione dettagliata del caso concreto, all’allegazione (eventuale, ma evidentemente raccomandabile) della documentazione utile all’istruttoria, e all’illustrazione della soluzione prospettata, l’istanza deve   indicare   gli   elementi   identificativi   della   stabile organizzazione in un altro Stato dell’impresa residente istante ovvero,  in caso di presentazione dell’istanza da parte dell’impresa non residente, gli elementi di cui all’art. 2, co. 1, lett. a), secondo periodo, del provvedimento (indirizzo della stabile  organizzazione  nel  territorio dello Stato, e generalità e indirizzo in Italia del rappresentante per i rapporti tributari di cui all’art. 4, co. 2, D.P.R. 600/1973, che, salvo diversa ed espressa indicazione, è identificato quale domiciliatario nazionale ai fini della procedura).

Inammissibilità dell’istanza

Secondo il provvedimento attuativo, il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate comunica all’impresa l’inammissibilità della domanda, entro 30 giorni dal suo ricevimento, quando ravvisi carenza degli elementi essenziali indicati all’art. 2.

L’istanza non può però essere dichiarata inammissibile se è possibile desumere, con ulteriore attività istruttoria, la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1, co. 1, lett. a) (ove è definita l’«impresa con attività internazionale»).

In presenza di ulteriore attività istruttoria, il termine utile per la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza rimane sospeso per il periodo necessario al completamento della stessa.

La procedura del ruling

Entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, ovvero dall’ultimazione dell’attività istruttoria, l’ufficio competente invita l’impresa a comparire per mezzo del suo legale rappresentante o di un suo procuratore, al fine di verificare la completezza delle informazioni fornite, di formulare eventuale richiesta di ulteriore documentazione ritenuta necessaria e di definire i termini di svolgimento del procedimento in contraddittorio.

Tale fase, che potrà articolarsi in più incontri, deve concludersi entro 180 giorni dal ricevimento dell’istanza.

Nel corso del procedimento, funzionari ed impiegati dell’Agenzia possono accedere presso le sedi di svolgimento dell’attività dell’impresa o della stabile organizzazione, nei tempi con questa concordati, allo scopo di prendere diretta cognizione di elementi informativi utili ai fini istruttori.

Di ogni attività svolta in contraddittorio è redatto processo verbale, copia del quale è rilasciata al soggetto istante.

Se il completamento dell’attività istruttoria richiede l’attivazione di strumenti di cooperazione internazionale tra Amministrazioni di diversi paesi, il termine di conclusione della procedura è ampliato per un periodo di tempo pari a quello necessario per l’ottenimento delle informazioni richieste all’Amministrazione estera.

La procedura si perfeziona con la sottoscrizione congiunta del responsabile dell’ufficio competente e del legale rappresentante o di altra persona munita dei poteri di rappresentanza dell’impresa, di un accordo nel quale:

  • sono definiti i criteri ed i metodi di calcolo del valore normale delle transazioni dedotte nell’istanza;
  • sono definiti i criteri di applicazione della normativa di riferimento, in tutti gli altri casi.

L’accordo acquista efficacia vincolante per entrambe le parti che lo hanno sottoscritto e rimane in vigore per il periodo di tempo stabilito dall’art. 8, co. 2, D.L. 269/2003 (ossia per il periodo d’imposta nel corso del quale l’accordo è stipulato e per i due periodi d’imposta successivi, salvo che intervengano rilevanti mutamenti nelle circostanze di fatto o di diritto prospettate).

L’eventuale mancato raggiungimento dell’accordo è fatto constare mediante processo verbale.

La verifica dell’accordo

L’accordo prevede la possibilità, per il personale dell’Agenzia delle Entrate, di accedere presso la sede dell’attività al fine di:

  • verificare il rispetto dei termini dell’accordo sottoscritto;
  • accertare di iniziativa il sopravvenuto mutamento delle condizioni di fatto o di diritto costituenti presupposto delle conclusioni raggiunte in sede di accordo.

È altresì previsto dall’accordo, a carico dell’impresa, l’onere di:

  • predisporre e mettere a disposizione dei competenti uffici dell’Agenzia delle Entrate, periodicamente o dietro specifica richiesta, documentazione ed elementi informativi;
  • consentire ai medesimi uffici, previo accordo con l’impresa, di disporre l’accesso di propri funzionari ed impiegati presso la sede di svolgimento delle attività, allo scopo di prendere visione di documenti e in generale di apprendere elementi informativi utili.
La violazione dell’accordo

Se, a seguito dei controlli effettuati, l’Agenzia delle Entrate rileva che l’accordo non è stato rispettato, è fornita comunicazione all’impresa con atto motivato da notificare con raccomandata, contenente l’invito, entro 30 giorni dalla notifica, a trasmettere eventuali memorie a difesa del proprio operato.

Se le memorie presentate dall’impresa sono ritenute inidonee a smentire la denunciata violazione dell’accordo, o quando sia inutilmente decorso il termine di 30 giorni per la presentazione delle memorie stesse, l’accordo si considera risolto, eventualmente anche parzialmente, a decorrere dalla data in cui risulta accertato il comportamento che integri violazione dell’accordo, ovvero, se non è possibile accertare tale data, a decorrere dalla data di efficacia originaria dell’accordo medesimo.

La modifica dell’accordo

Qualora a seguito dell’esame della documentazione e degli elementi informativi acquisiti sia stato accertato che sono mutate le condizioni di fatto o di diritto su cui è fondato l’accordo, il competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate invita l’impresa a sottoscrivere la modifica dell’accordo.

Se, a seguito della successiva fase di contraddittorio, non si giunge a una comune decisione sulla revisione dell’accordo, l’accordo medesimo si intenderà privo di efficacia a partire dalla data in cui il mutamento delle condizioni di fatto e/o di diritto risulta essere intervenuto ovvero, qualora non sia possibile accertare tale data, da quella di notifica dell’invito dell’Agenzia.

La modificazione dell’accordo può essere altresì richiesta dall’Agenzia in presenza di circostanze impreviste, ovvero di sostanziali e imprevisti mutamenti rispetto alle condizioni iniziali.

La modifica dell’accordo deve essere siglata entro 180 giorni dalla data di notifica dell’invito o della richiesta dell’Agenzia.

Il rinnovo dell’accordo

Almeno 90 giorni prima della scadenza dell’accordo, con domanda in carta libera da inoltrarsi in plico raccomandato a/r, l’impresa può richiedere il rinnovo dei termini dello stesso al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate. A

lmeno 15 giorni anteriormente alla scadenza dell’accordo, l’ufficio comunica per iscritto il proprio assenso, ovvero rigetta la richiesta con provvedimento motivato.

Al fine di valutare l’opportunità di acconsentire al rinnovo dell’accordo, l’ufficio dell’Agenzia può:

  • procedere alla richiesta di documentazione, dati ed informazioni;
  • invitare la parte istante a presentarsi a mezzo del suo legale rappresentante o di un suo procuratore allo scopo di ottenere documentazione, dati ed informazioni ovvero chiarimenti relativi agli stessi;
  • procedere ad accessi presso la sede dell’impresa.

Leggi anche: CFC – Controlled Foreign Companies – e informazioni da fornire in sede di interpello

Fabio Carrirolo

Maggio 2007

NOTE

(1) Prospetto evidenziato da MOCCI-CINTOLESI, Commercio elettronico – Sindacabilità da parte del Fisco del corrispettivo pattuito – Problematiche di Transfer pricing, in ” il fisco “, n. 9/2001, pagg. 3521 e seguenti.

(2) Per una mappa delle società assoggettate al controllo del transfer price, cfr. DEZZANI, L. n. 331/90 – Il transfer price entra nel gruppo multinazionale, in ” il fisco “, n. 48/1990, pagg. 7652 e seguenti.

(3) In particolare, il co. 11 dell’art. 110 del TUIR stabilisce che «le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano, quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.  Le spese e gli altri elementi negativi deducibili ai sensi del primo periodo sono separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi.  L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso d’accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove  predette. Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento».

(4) Il testo del provvedimento è pubblicato sulla banca dati «Fisconline».

(5) Sul ruling internazionale, con interessanti considerazioni in ordine agli effetti della procedura, cfr. S. Capolupo, «Ruling internazionale: timori (infondati) di responsabilità penale», Il Fisco n. 27 del 4.7.2005, p. 1-4141.

(6) Cfr. anche S. D’Ippolito – S. Di Vaia, «Ruling internazionale, le ragioni di fondo dell’introduzione nell’ordinamento tributario italiano», FiscoOggi, 24.5.2004.