CFC – Controlled Foreign Companies – e informazioni da fornire in sede di interpello

Vediamo quali sono gli obblighi dichiarativi per i soggetti italiani che controllano società site nei cosiddetti paradisi fiscali.

Le Controlled Foreign Companies – Aspetti generali

Le disposizioni di contrasto ai fenomeni elusivi tramite CFC (società controllate e collegate estere) sono state messe a punto secondo uno schema imperniato sull’imputazione al soggetto controllante italiano dei redditi conseguiti dai soggetti controllati (in base a una nozione sostanziale, e non meramente formale, di controllo), ovvero delle società semplicemente collegate, residenti nei Paesi inclusi nella BLACK LIST di cui al D.M. 21.11.2001, pubblicata nella G.U. n. 273 del 23.11.2001 (artt. 167 e 168 del TUIR).

La normativa sulle CFC risulta applicabile anche nel caso in cui il soggetto residente detenga, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, una partecipazione non inferiore al 20% agli utili di un’impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori con regime fiscale privilegiato; tale percentuale di partecipazione si riduce al 10% se relativa agli utili di società quotate in borsa.

La norma non si applica invece per le partecipazioni in soggetti non residenti in tali Stati o territori relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati a regimi fiscali privilegiati (l’esclusione parziale riguarda la stabile organizzazione, la quale, ove presente, basta da sé ad escludere la presunzione di “strumentalità” in capo al soggetto partecipato, poiché essa – ove riconosciuta – comporta l’esercizio di un’attività effettiva nel «tax haven»).

Come avviene la tassazione della società CFC

Le disposizioni attuative di riferimento in materia di tassazione delle società CFC sono contenute nel D.M. 21.11.2001, n. 429, il cui art. 3 stabilisce che:

  • i redditi della CFC, convertiti secondo il cambio del giorno di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione dell’impresa, società o ente non residente, sono imputati al soggetto residente che esercita il controllo, in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili diretta o indiretta; tuttavia, in caso di partecipazione indiretta per il tramite di soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, i redditi sono ad essi imputati in proporzione alle rispettive quote di partecipazione;
  • i redditi così sono assoggettati a tassazione separata, da ciascun partecipante, nel periodo d’imposta in corso alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione dell’impresa, società o ente non residente, con l’aliquota media di tassazione del reddito complessivo netto e comunque non inferiore al 27%;
  • dall’imposta calcolata sono ammesse in detrazione le imposte sui redditi pagate all’estero a titolo definitivo;
  • gli utili distribuiti dall’impresa, società o ente non residente non concorrono a formare il reddito complessivo del soggetto partecipante per la quota corrispondente all’ammontare dei redditi assoggettati a tassazione separata; nel caso della partecipazione agli utili per il tramite di soggetti non residenti, tali disposizioni si applicano agli utili distribuiti dal soggetto non residente direttamente partecipato; a questi effetti, gli utili si presumono prioritariamente formati con quelli conseguiti dall’impresa, società o ente residente o localizzato nello Stato o territorio con regime fiscale privilegiato che risultino precedentemente posti in distribuzione. Le imposte pagate all’estero a titolo definitivo dal soggetto partecipante, riferibili agli utili che non concorrono alla formazione del reddito ai sensi dei precedenti periodi, costituiscono credito d’imposta nei limiti delle imposte complessivamente applicate a titolo di tassazione separata, ridotte delle somme ammesse in detrazione;
  • il costo delle partecipazioni nell’impresa, società o ente non residente è aumentato dei redditi imputati per trasparenza e diminuito, fino a concorrenza di tali redditi, degli utili distribuiti.
  • in caso di controllo esercitato da un soggetto non titolare di reddito di impresa i compensi ad esso spettanti a qualsiasi titolo concorrono a formare il reddito complessivo nel periodo d’imposta in corso alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione dell’impresa, società o ente non residente;
  • per i comportamenti posti in essere allo scopo del frazionamento del controllo o della perdita temporanea dello stesso, ovvero della riduzione dei redditi imputabili, risultano applicabili le disposizioni degli articoli 37, terzo comma (interposizione soggettiva), e 37-bis (elusione) del D.P.R. n. 600/1973.

Il regime di tassazione CFC e la procedura di interpello a esso riservata sono state oggetto di alcune pronunce dell’Amministrazione, tra le quali si rammentano le circolari n. 207/E del 16.11.2000, n. 9/E del 26.1.2001, e n. 18/E del 12.2.2002.

Per approfondire: CFC rules: redditi delle società estere controllate (2021)

Le innovazioni all’insegna del contrasto all’evasione/elusione di tipo transnazionale

Le innovazioni apportate dal legislatore nel 2009 in materia di contrasto ai «paradisi fiscali» (affiancato da un istituto agevolativo temporaneo come lo «scudo fiscale ter») originano da un ampio dibattito internazionale, all’interno del quale si inserisce l’incontro tra i rappresentanti dei Paesi del G20 tenutosi il 2.4.2009 a Londra; in tale occasione, ai fini dell’uniformità dei controlli da predisporre, è stata peraltro decisa la promozione di specifiche azioni contro gli Stati «non collaborativi».

La disposizione normativa di riferimento è costituita dall’art. 13 del D.L. 1.7.2009, n. 78, convertito dalla L. 3.8.2009, n. 102, il quale ha disposto, ai fini di evitare gli arbitraggi fiscali e nell’ottica del coordinamento con gli altri ordinamenti europei (con particolare riferimento ad operazioni infragruppo), le seguenti modificazioni all’art. 167 del TUIR:

  • la lettera a) del quinto comma, ove è prevista la dimostrazione dell’effettivo svolgimento di attività commerciale nello Stato estero, è stata integrata puntualizzando che l’attività deve anche svolgersi «nel mercato dello stato o territorio di insediamento», mentre per le attività bancarie, finanziarie e assicurative la medesima condizione si intende soddisfatta « … quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento»;
  • dopo il quinto comma, è stato aggiunto un nuovo comma 5-bis in forza del quale la previsione di cui alla lett. a) del quinto comma (relativa, appunto, alla dimostrazione del requisito dell’attività nello Stato o territorio estero) diviene inapplicabile «… qualora i proventi della società o altro ente non residente provengono per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari»;
  • dopo l’ultimo comma, sono stati aggiunti i nuovi commi 8-bis e 8-ter, per effetto dei quali – salva la facoltà di esercizio dell’interpello speciale a norma del quinto comma – i vincoli in materia di CFC vengono applicati anche se i soggetti controllati sono localizzati in Stati o territori diversi da quelli black list, qualora ricorrono congiuntamente le condizioni della soggezione a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti se residenti in Italia e del conseguimento di proventi derivanti per oltre il 50% «… dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari».

Le innovazione normative sopra menzionate condizionano in pratica l’applicazione del regime black list, rendendo non invocabile la c.d. «prima esimente» (attività nello Stato estero) in presenza prevalente di «passive income», cioè di redditi che non sono prodotti da una vera e propria attività, discendendo piuttosto da situazioni «contrattuali» intercorrenti tra la casa madre e la CFC (nonché tra questa e altri soggetti «correlati»).

Inoltre, sempre a causa della prevalenza di «passive income» nella partecipata, la normativa CFC diviene applicabile anche con riferimento a partecipazioni in società residenti in Stati o territori non «black list», mentre la dimostrazione della suddetta «prima esimente» deve comportare la dimostrazione dell’attività effettiva «nel mercato» estero.

Le controllate «white list»

Le modificazioni apportate nel 2009 alla disciplina CFC, che hanno previsto la rilevanza – in determinate ipotesi – anche delle partecipate (solo controllate, e non anche collegate) residenti in Stati e territori non inclusi nelle «black list» ministeriali ai fini della disciplina di tassazione per trasparenza in capo al soggetto controllante italiano (nuovo comma 8-bis dell’art. 167, TUIR), sono state esaminate nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 6.10.2010.

Si rammenta a tale riguardo che le condizioni che devono verificarsi sono, congiuntamente:

  • il livello di tassazione, inferiore, nello Stato estero, al 50% di quella italiana;
  • la fonte dei proventi conseguiti dal soggetto estero, che deve essere costituita per oltre il 50% dalla gestione dei c.d. passive income («gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie; cessione o concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica; prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari»).

Relativamente al primo aspetto, la circolare n. 51/E ha precisato che il confronto tra la tassazione effettiva estera e quella virtuale interna deve considerare le sole imposte sui redditi, escludendo l’IRAP e fondandosi per quanto possibile sulle convenzioni internazionali.

In tale contesto, la richiesta di disapplicazione presentata dal soggetto controllante residente, che riveste carattere di obbligatorietà (circolare n. 51/E/2010; circolare 14.6.2010, n. 32/E), deve dimostrare che la società estera non è una «costruzione di puro artificio» intesa a conseguire indebiti vantaggi fiscali, secondo i criteri enucleati dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza «Cadbury-Schweppes» del 12.9.2006 – causa C-196/04), e codificati dalla Commissione Europea [comunicazione COM(2007) 785 def del 10 dicembre 2007, riguardante «L’applicazione di misure antiabuso nel settore dell’imposizione diretta all’interno dell’UE e nei confronti dei Paesi terzi»].

L’effettivo insediamento del mercato estero

insediamento nel mercato esteroDopo le modificazioni apportate dal D.L. n. 78/2009, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E/2010, ha fornito importanti precisazioni relativamente alla c.d. «prima esimente» che può essere fornita dal soggetto controllante italiano in sede di interpello speciale, al fine di ottenere la disapplicazione della tassazione per trasparenza in Italia.

Si tratta, nello specifico, dell’esimente costituita dall’effettivo insediamento della società nello Stato o territorio estero (cioè della condizione costituita dallo svolgimento, da parte della società non residente, di «un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento»).

L’innovazione normativa è stata interpretata come rafforzativa dell’esimente già prevista (in coerenza, peraltro, con la posizione già assunta in via interpretativa dall’Agenzia delle Entrate nella propria risoluzione 18.11.2008, n. 427/E).

Nella sostanza, è necessario dimostrare, oltre allo svolgimento di un’effettiva attività industriale o commerciale, anche la presenza di una struttura organizzativa e funzionale autonoma radicata nello Stato o territorio di insediamento, capace di svolgere la propria attività con risorse adeguate.

Secondo l’Agenzia, peraltro, che la disponibilità nello Stato estero di una struttura organizzativa idonea è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della disapplicazione, giacché occorre dimostrare che la partecipata estera svolge effettivamente in loco un’attività industriale o commerciale.

In tale contesto, il riferimento al «mercato» deve intendersi come collegamento al mercato di sbocco o di approvvigionamento, mentre il mancato collegamento al mercato costituisce un indizio del mancato esercizio di un’effettiva attività commerciale nel Paese estero.

Ai fini della disapplicazione, occorre altresì evidenziare le ragioni economiche-imprenditoriali che hanno portato a effettuare l’investimento nello Stato o territorio «black list».

Senza costituire precludere di per sé la risposta positiva in sede di disapplicazione ex art. 167, c. 5, del TUIR (che potrebbe ad esempio supportarsi sulle ragioni economico-imprenditoriali per le quali la CFC è costituita e mantenuta), la circostanza che la società estera non si rivolge al mercato locale né in fase di approvvigionamento, né in fase di distribuzione,

«costituisce un indizio del mancato esercizio da parte della stessa di un’effettiva attività commerciale nel territorio di insediamento».

Il livello effettivo di tassazione

Alla luce del canone comunitario della libertà di stabilimento, occorre ben valutare il concetto di «costruzione artificiosa», particolarmente rilevante considerando che il regime CFC viene esteso alle controllate in Stati non black listed, se i proventi sono generati in prevalenza da passive income e il livello di tassazione effettiva è inferiore alla metà di quello italiano.

Secondo quanto è stato affermato nel tavolo interassociativo tra ABI, ANIA, Assonime e Confindustria (documento «note e studi» Assonime n. 15/2009),

« … la verifica in ordine alla tassazione effettiva va effettuata calcolando la base imponibile teorica della società estera e l’imposta teorica relativa. Il calcolo della base imponibile teorica dovrebbe richiedere, a stretto rigore, la riclassificazione del bilancio di esercizio della controllata estera secondo le regole applicabili in Italia. Sulle risultanze del conto economico così riclassificato andrebbero poi calcolate le variazioni in aumento e in diminuzione previste dalle norme tributarie italiane».

Si richiede a tale riguardo un processo di determinazione del livello impositivo estero, del quale il documento del tavolo interassociativo evidenzia la difficoltà, considerando che i gruppi multinazionali prevedono un’articolata struttura partecipativa a più livelli, con il rischio che

« .. i risultati possano variare di esercizio in esercizio, sopra o sotto la linea di confine di applicazione del regime di CFC, con la conseguenza che gli interpelli non avrebbero la capacità di produrre effetti pluriennali e dovrebbero essere reiterati di esercizio in esercizio».

Inoltre, l’individuazione analitica del livello di tassazione potrebbe indurre gli operatori a negoziare con le autorità estere un livello di tassazione appena superiore alla soglia ammessa, con esiti controproducenti per l’erario italiano.

Le modifiche apportate dal D.L. n. 78/2009 fronteggiano i

«… fenomeni di vera e propria distrazione dei profitti, tramite localizzazioni fittizie dei passive income o delle attività mobili»,

indirizzandosi quindi contro le pratiche di pianificazione fiscale dannosa.

Occorre tuttavia considerare che, per le localizzazioni in Paesi o territori diversi da quelli black listed, il vantaggio fiscale derivante dal minor livello impositivo dello Stato ospite incrementa la competitività delle imprese residenti sui mercati esteri (rendendosi in linea di principio meritevole di tutela).

Il livello effettivo di tassazione assume rilevanza anche per quanto riguarda la possibilità di far valere ai fini della disapplicazione la «seconda esimente» prevista dall’art. 167, c. 5, del TUIR (non-delocalizzazione dei redditi): in tale prospettiva occorre dare rilievo – secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E/2010 – alla tassazione effettiva che la CFC avrebbe subito se fosse stata localizzata in Italia, la quale per ipotesi (in presenza di redditi esenti o esclusi) potrebbe essere anch’essa inferiore alla tassazione ad aliquota nominale.

L’esistenza di un tax rate effettivo inferiore a quello italiano non preclude peraltro la possibilità di ottenere la disapplicazione producendo la «seconda esimente»: in tale prospettiva va considerata con attenzione la sistematica distribuzione di dividendi da parte della CFC alla «madre» italiana, la quale

«da un lato rafforza la dimostrazione della carenza di intenti elusivi, dall’altro immette l’utile prodotto dalla CFC in circuiti totalmente accessibili all’Amministrazione finanziaria italiana ai fini dell’acquisizione delle relative informazioni».

È a tale riguardo necessario comprovare – con idonea documentazione – la sistematica distribuzione verso l’Italia dell’utile proveniente dalla CFC,

«nel presupposto che risulti contemporaneamente verificata la precedente condizione, e cioè che l’imposizione effettiva complessivamente gravante sull’utile ante imposte della CFC sia congrua rispetto al livello di imposizione gravante in Italia, a prescindere dal luogo in cui il reddito si considera prodotto e dallo Stato (o dagli Stati) in cui avviene detta tassazione».

L’interpello CFC

Di fronte alle problematiche derivanti dalla presenza di complessi e articolati rapporti tra i soggetti fiscalmente domiciliati in Italia e le giurisdizioni estere, il legislatore ha scelto la strada del ruling piuttosto che quella del controllo sistematico: si tratta però di un ruling avente la specifica funzione di produrre un’«esimente», cioè di una procedura idonea a escludere l’applicazione del vincolo e della norma (di fatto) sanzionatoria, subordinatamente alla dimostrazione che l’attività svolta nello Stato «black list» è effettiva, ovvero che dal possesso della partecipazione non consegue l’effetto di spostare la tassazione dei redditi nelle giurisdizioni estere.

L’interpello in materia di CFC (di cui all’art. 167, quinto comma, del Testo Unico) presenta molti aspetti analoghi rispetto a quello in materia di «costi esteri» (ex art. 110, undicesimo comma, TUIR), non relativamente alla procedura, bensì rispetto alla tipologia di riscontri che devono essere forniti dagli interpellanti, imperniati sulla dimostrazione dell’«effettività» (e – si ritiene – necessarietà per il business) della struttura/partecipazione estera black list.

Può essere a tale riguardo puntualizzato che:

  • nel caso dell’art. 110, undicesimo comma, del TUIR, è consentito – con rinvio alla procedura dell’interpello antielusivo (ex art. 21, L. n. 413/1991) – di disapplicare la norma sull’indeducibilità dei costi derivanti da operazioni con Paesi «black list», di cui all’art. 110, decimo comma;
  • per la disapplicazione delle norme CFC, di cui all’art. 167, quinto comma, del TUIR, ora esteso anche alle società estere collegate, è invece esperibile una particolare forma di interpello ordinario (a norma dell’art. 11 dello Statuto del contribuente), con una soluzione analoga – dal punto di vista degli istituti di ruling accessibili – a quella adottata per la fruizione della “pex” con riferimento a partecipazioni in società estere [art. 87, primo comma, lett. c)] e per evitare la tassazione sul 100% degli utili di fonte estera (artt. 47, quarto comma, e 89, terzo comma).

Va altresì rimarcato che l’interpello in materia di costi esteri è finalizzato alla produzione, in via alternativa, delle dimostrazioni richieste al fine di disapplicare la norma che prevede la tassazione per trasparenza delle società estere in Italia, cioè delle condizioni dell’effettiva attività economica esercitata in via principale nello Stato o territorio di insediamento e della “non delocalizzazione” degli imponibili fiscali in giurisdizioni estere a bassa fiscalità.

Secondo il terzo comma dell’art. 5 del decreto attuativo 21.11.2001, n. 429, ai fini della risposta positiva rileva in particolare:

  • il fatto che l’impresa, la società o l’ente non residente svolge effettivamente un’attività commerciale, ai sensi dell’art. 2195 del c.c., come sua principale attività nello Stato o nel territorio con regime fiscale privilegiato nel quale ha sede, con una struttura organizzativa idonea allo svolgimento dell’attività stessa oppure alla sua autonoma preparazione e conclusione;
  • (ovvero) il fatto che i redditi conseguiti da tali soggetti sono prodotti in misura non inferiore al 75% in altri Stati o territori non black list, ed ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria;
  • in caso di stabile organizzazione estera, il fatto che i redditi da questa prodotti siano integralmente sottoposti a tassazione ordinaria nello Stato o territorio in cui ha sede l’impresa, la società o l’ente partecipato.

La successione tra gli interpelli CFC

Nel contesto della vigente normativa CFC, successiva alle modificazioni del 2009, assumono una nuova valenza anche gli interpelli finalizzati alla disapplicazione della tassazione per trasparenza in Italia

La sopra menzionata circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E/2010 fa richiamo alla precedente circolare 14.6.2010, n. 32/E, ove è stato affermato il carattere obbligatorio dell’interpello CFC, il quale è peraltro finalizzato «all’esigenza di consentire all’Amministrazione finanziaria un monitoraggio preventivo in merito a particolari situazioni considerate dal legislatore potenzialmente elusive».

In generale, gli interpelli indicati come obbligatori sono quelli:

  • finalizzati all’ottenimento «di un parere favorevole all’accesso ad un regime derogatorio (in talune ipotesi anche agevolativo) rispetto a quello legale, normalmente applicabile»;
  • resi necessarii dall’esigenza «di consentire all’Amministrazione finanziaria un monitoraggio preventivo in merito a particolari situazioni considerate dal legislatore potenzialmente elusive».

Secondo quanto è stato posto in luce nella circolare n. 32/E, l’eventuale esito negativo dell’interpello non impedisce di produrre le prove richieste dall’Amministrazione in sede contenziosa, dopo la notifica dell’accertamento da parte dell’ufficio fiscale.

La circolare n. 51/E riafferma tale orientamento, puntualizzando che la prova (relativa alle condizioni che giustificano l’accesso al regime derogatorio) può essere prodotta anche «successivamente» all’interpello.

La formulazione ampia dell’inciso consente di ritenere ammessa tale prova anche nel corso del contraddittorio con l’ufficio preposto all’accertamento.

Sempre secondo la circolare n. 51/E, il parere dell’Agenzia delle Entrate conserva la propria validità finché che restano immutate le circostanze di fatto e di diritto sulla base delle quali è stato reso (c.d. valenza ultrattiva).

È quindi opportuno presentare nuove istanze di interpello, in generale (secondo la circolare n. 51/E/2010), «per i redditi realizzati dalle partecipate estere a partire dall’esercizio o periodo di gestione che inizia successivamente a quello in corso al 1° luglio 2009», in relazione ai quali trovano applicazione le nuove disposizioni CFC e perdono di validità le disapplicazioni precedentemente riconosciute a seguito della dimostrazione della prima esimente, «essendosi modificati i presupposti di diritto in base ai quali le stesse sono state rese».

L’istanza per la disapplicazione della CFC rule dev’essere inoltrata all’Agenzia delle entrate preventivamente: anche a tale riguardo è fatto riferimento alla circolare n. 32/E, precisando che, ai fini della verifica della preventività, il comportamento (costituito dall’indicazione del reddito della società CFC) trova attuazione nella dichiarazione dei redditi, e dunque l’istanza dev’essere presentata – a pena di inammissibilità – in tempo utile per ottenere la risposta prima della scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione,

«a nulla rilevando la circostanza che l’inadempimento può essere sanato nei 90 giorni successivi ovvero che la dichiarazione originariamente presentata è integrabile, sia a favore del contribuente, sia a favore dell’erario».

«Pertanto, se un contribuente con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare intende chiedere la disapplicazione della CFC rule con riferimento ad una controllata estera per il periodo d’imposta 2010, la relativa istanza dovrà essere presentata entro il 1° giugno 2011, posto che il termine ordinario per l’invio della relativa dichiarazione dei redditi scade il 30 settembre 2011».

Gli ulteriori vincoli imposti alle CFC

Secondo le previsioni dell’art. 37 del D.L. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla L. 30.7.2010, n. 122, gli operatori economici aventi sede, residenza o domicilio nei paesi «black list» individuati nei decreti ministeriali del 4.5.1999 e del 21.11.2001 sono ammessi a partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al D.Lgs. 12.4.2006, n. 163, e s.m.i., previa autorizzazione rilasciata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Ciò, anche in deroga ad accordi bilaterali siglati con l’Italia, che consentano la partecipazione alle procedure per l’aggiudicazione dei contratti dei cui al citato D.Lgs. n. 163/2006 a condizioni di parità e reciprocità.

Il rilascio dell’autorizzazione è subordinato alla previa individuazione dell’operatore economico, individuale o collettivo, mediante la comunicazione dei dati che identificano gli effettivi titolari delle partecipazioni societarie, anche per il tramite di società controllanti e di fiduciarie, nonché all’identificazione del sistema di amministrazione, del nominativo degli amministratori e del possesso dei requisiti di eleggibilità previsti dalla normativa italiana.

La revisione delle black list

Il DM 27.7.2010 ha aggiornato le 3 black list relative agli Stati o territori considerati a fiscalità privilegiata attualmente in vigore:

  • la lista di cui al D.M. 4.5.1999, che si applica alla disciplina della residenza delle persone fisiche (art. 2, c. 2-bis, del TUIR);
  • quella del D.M. 21.11.2001, valida ai fini del regime CFC ed ai fini dell’imponibilità integrale delle plusvalenze su partecipazioni e dei dividendi percepiti;
  • quella contenuta nel D.M. 23.1.2002, da utilizzare per il regime di indeducibilità dei costi sostenuti dalle imprese che effettuano operazioni con soggetti residenti in «paradisi fiscali» (art. 110, commi decimo e s.s., del TUIR).

Si registra, in particolare, l’espunzione di Cipro e Malta dalle black list, che si era resa opportuna in ragione dell’avvenuto ingresso di tali Paesi nella UE.

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Alcune puntualizzazioni fornite nell’ambito di Telefisco

Il 26.1.2011 ha avuto luogo l’annuale edizione della videoconferenza «Telefisco», che è servita a chiarire, con il supporto dei rappresentanti dell’Agenzia delle Entrate, alcuni aspetti problematici delle norme CFC.

In particolare, l’Agenzia ha osservato che rientrano nella tipologia delle prestazioni di servizi infragruppo con riferimento alle quali sussiste l’obbligo di presentazione dell’istanza di interpello, per la valutazione delle possibili situazioni elusive:

  • le operazioni di compravendita di merci e prodotti finiti effettuate da «trading company» in nome e per conto di controparti appar­tenenti al medesimo gruppo;
  • i servizi produttivi (come ad esempio la lavora­zione) svolti dalle partecipate estere a favore di società del gruppo.

Non è pertanto possibile escludere tali servizi dal calcolo dei servizi infra­gruppo ai fini della quantificazione dei c.d. «passive income» [art. 167, comma 8-bis, lett. b), TUIR].

È stato poi esaminato l’importante profilo dedicato al radicamento della società CFC nel mercato locale, relativamente al quale era stato chiesto all’Agenzia delle Entrate se tale requisito possa considerarsi sempre presente nel caso in cui la società svolga nel paese estero un’attività di produzione.

A tale riguardo, seguendo la linea interpretativa della circolare n. 51/E del 2010, è stato affermato che, se la CFC non si rivolge al mercato locale né in fase di approvvigionamento né in fase di distribuzione, sorge un indizio del mancato esercizio da parte della stessa di un’effettiva attività commerciale nel territorio di insediamento. Dovranno quindi essere esposte in sede di interpello, e adeguatamente valutate dall’Agenzia, le ragioni economiche e imprenditoriali che hanno indotto l’impresa a effettuare l’investimento all’estero.

In chiusura, può essere evidenziato incidentalmente che una tale incisività dell’interpello CFC, non più limitato alla dimostrazione dell’effettività della struttura estera o della non-delocalizzazione di imponibili in Stati a fiscalità privilegiata, ma esteso (come già avveniva per l’interpello sui costi esteri) alla valutazione del «merito» della vicenda, sotto il profilo della sussistenza delle valide ragioni economiche che giustificano l’esistenza della controllata estera.

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Il trust nella circolare Controlled Foreign Company (CFC) definitiva (2022)
Il trasferimento di sede della società CFC: i chiarimenti del Fisco (2022)

26 aprile 2011

Fabio Carrirolo