Criptovalute, NFT e altri assets digitali in attesa dell’inquadramento giuridico e fiscale

Vediamo quali sono le proposte legislative per inquadrare, soprattutto fiscalmente, il mondo grigio delle criptovalute.
Quando scatterebbe il momento impositivo sulle plusvalenze? Come si può effettuare il monitoraggio fiscale? Quali saranno gli obblighi di compilazione del quadro RW? A cura di Fabio Gallio e Giulia Giora.

Criptovalute: il contesto attuale

criptovalute inquadramento In un contesto economico e culturale caratterizzato dal progresso tecnologico, sono notevolmente cambiate le modalità di scambio di beni, servizi e attività finanziarie. Non è più un caso quello di avere la possibilità di pagare una prestazione o un bene con le c.d. valute virtuali, conosciute anche come criptovalute, tra le quali la più diffusa è sicuramente il bitcoin.

Le criptovalute rappresentano una nuova tappa dell’evoluzione economica e portano con sé non pochi pericoli e incertezze.

Infatti, nonostante la crescente diffusione in diversi settori economici e finanziari, le valute virtuali sono connesse, non solo a meccanismi di difficile comprensione, ma anche ad una certa incertezza giuridica, ad una mancanza di vigilanza e all’assenza di una normativa fiscale adeguata.

In generale, le criptovalute sono una rappresentazione di valore digitale che possono essere scambiate attraverso una rete di soggetti direttamente connessi fra loro.

Sono delle monete digitali sicure in quanto dotate di un sistema di sicurezza creato da una serie di calcoli complessi e si ispirano alla tecnologia blockchain, secondo cui, per esempio, un bitcoin non è altro che una serie numerica legata da un insieme di blocchi all’interno di una catena, la blockchain per l’appunto; chi possiede bitcoin detiene questa serie numerica in un indirizzo internet che utilizzerà per ricevere o fare pagamenti.

La rapida diffusione di questi beni digitali, non solo nell’ambito di operazioni finanziarie e di investimento, ma anche in operazioni economiche quotidiane tra soggetti privati, ha generato una forte esigenza di una regolamentazione adeguata ad evitare operazioni illecite o elusive a danno dei soggetti che utilizzano questi nuovi strumenti in modo talvolta inadeguato.

E questo soprattutto perché tali beni digitali possono essere utilizzati per commettere reati penalmente rilevanti, come viene dimostrato dalla pronuncia della la Corte di Cassazione n. 2868, depositata il 25 gennaio 2022, che ha sancito che può essere contestato il reato di autoriciclaggio in caso di acquisto “indiretto” di bitcoin.

Per cercare di rimediare a queste problematiche, a livello europeo, si sta prevedendo un Regolamento per rendere questo genere di operazioni più facilmente comprensibili, monitorabili e giuridicamente trattate.

Tale Regolamento c.d. MiCA (Markets in Crypto Asset) si propone di regolare le criptovalute all’interno di un quadro giuridico solido, di stabilire norme uniformi con riguardo alla trasparenza e all’informativa per l’emissione e l’ammissione alla negoziazione di cripto-asset, di sostenere l’innovazione e la concorrenza leale per promuovere lo sviluppo delle cripto-attività e un più ampio ricorso alla DLT e di garantire una certa stabilità finanziaria anche in vista dell’entrata di nuove valute virtuali.

Tuttavia, questo regolamento non è l’unica iniziativa in ambito comunitario per tentare di disciplinare le cripto-attività.

Il 29 aprile 2022 è terminata la consultazione pubblica per il report “Crypto-asset reporting framework and amendments to the common reporting standard”, pubblicato dall’OCSE il 22 marzo.

Tale documento, in estrema sintesi, propone un nuovo framework di trasparenza fiscale per le cripto-attività e delle modifiche al Common Reporting Standard (“Crs”), con la finalità di raggiungere un nuovo assetto globale di trasparenza fiscale che preveda obblighi di segnalazione e scambio di informazioni sulle transazioni con valute virtuali (ossia propone l’introduzione del cripto-asset reporting framework conosciuto anche come “Carf”).

In tale proposta l’Ocse, al fine di semplificare la fiscalità di tutti i paesi, ha definito i crypto-asset da ricoprire, gli intermediari soggetti alla raccolta dei dati e gli obblighi di segnalazione, le transazioni che devono essere segnalate e le procedure di due diligence che servono per identificare gli utenti di valute virtuali e le giurisdizioni fiscali pertinenti.

Tenendo conto dei commenti e dei contributi della consultazione, l’Ocse conta di emanare regole e commenti a Crs e Carf entro ottobre 2022.

Inoltre, anche la Commissione Europea, per ovviare al fenomeno della possibile evasione fiscale connessa all’utilizzo di valute virtuali, sta tentando di aggiornare la Direttiva sulla cooperazione amministrativa tra gli stati (Dac).

Questo progetto, conosciuto anche come “Dac 8”, vuole rafforzare, per l’appunto, la cooperazione tra stati a livello fiscale per garantire una giusta tassazione dei redditi e dei ricavi collegati ai nuovi mezzi di pagamento e di investimento ed in particolare le cripto-attività e la moneta elettronica, evitando allo stesso tempo oneri amministrativi esagerati e assicurando una disciplina comune per tutti i paesi dell’Unione Europea.

 

Il DDL presentato al Senato

Gli effetti di questa notevole attenzione verso i c.d. “crypto-asset” si riflettono anche a livello nazionale, dove non pochi sono i dubbi sulla tassazione di queste nuove modalità di pagamento e investimento.

In attesa del Regolamento Europeo MiCA, lo scorso 30 marzo 2022 è stato presentato al Senato il Disegno di Legge n. 2572 “Disposizioni fiscali in materia di valute virtuali e disciplina degli obblighi antiriciclaggio” contenente una serie di previsioni normative di natura fiscale con riferimento alle valute virtuali ai fini delle imposte sui redditi e della disciplina sul monitoraggio fiscale.

Tale disegno ha l’obiettivo di superare la situazione di incertezza sussistente sull’argomento in conseguenza della mancanza di norme specifiche, soprattutto in relazione al trattamento fiscale.

La proposta in oggetto, però, è solamente l’inizio dell’iter di formazione legislativo, durante il quale le disposizioni potrebbero subire modifiche o revisioni.

D’altra parte, le novità in tema di tassazione riguarderebbero (per ora) solo le persone fisiche, non essendo le medesime regole applicabili alle imprese.

Il DDL è composto da due articoli: il primo fornisce una definizione unitaria di valute virtuali, oltre a regolare alcuni aspetti della disciplina antiriciclaggio; il secondo introduce un’apposita normativa fiscale per gli operatori del settore ed i titolari di valute virtuali.

Le principali novità contenute nel DDL (presentato ma non ancora approvato) sono di seguito sintetizzate.

 

Definizione di valute virtuali

criptovalute inquadramento All’articolo 1, comma 1, viene dapprima fornita una definizione chiara di cosa si intenda con il termine valute virtuali, superando l’attuale confusione terminologica derivante da una tematica nuova e di difficile comprensione: nel linguaggio comune, infatti, vengono utilizzati in modo improprio e fungibile termini come ‘valute virtuali’, ‘criptovalute’, ‘cripto-attività’ o ‘token’.

La nuova norma individua quindi un termine generale ovvero definisce unità matematica “l’unità minima matematica crittografica, statica o dinamica, suscettibile di rappresentare diritti, con circolazione autonoma”.

Inoltre, richiamando la definizione fornita all’articolo 1, comma 2, lettera qq), del D. Lgs. 231/2007, viene specificato che per valuta virtuale si intende una rappresentazione di valore digitale che non è necessariamente emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, né è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita.

Essa non possiede lo status giuridico di valuta o moneta ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente.

Le criptovalute sono in questo modo assimilate alle valute ordinarie, rendendo applicabili i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali (così Risoluzione n. 72/E/2016).

 

Momento impositivo

La novità di maggior rilevanza è contenuta nell’articolo 2 del DDL con riguardo alle imposte dirette.

La nuova disposizione sembra seguire la tesi dell’Amministrazione finanziaria nell’assimilare le criptovalute alle valute estere seppure tale tesi è oggetto di dibattito in quanto viene constatato come questa non tenga conto della definizione contenuta nella V Direttiva (UE) 2018/843 in tema di antiriciclaggio, secondo cui le valute virtuali sono:

“una rappresentazione di valore digitale non emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non in possesso dello status giuridico di valuta o moneta, ma accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio.

Può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.

Ai fini delle imposte sul reddito, le persone fisiche che detengono valute virtuali al di fuori dell’attività d’impresa, per le operazioni di conversione di valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali.

Conseguentemente, le cessioni a pronti di valuta virtuale non danno origine a redditi imponibili mancando la finalità speculativa (in tal senso la risoluzione n. 72/E/2016 e la risposta all’interpello n. 788/2021).

La tassazione riguarderebbe la cessione di valute a titolo di “mero investimento” ossia la cessione a titolo oneroso di valute derivanti da depositi o conto correnti ovvero dalla cessione a termine delle stesse, seppur ad alcune condizioni (art. 67, comma 1 e comma 1-ter, TUIR). Il presupposto, quindi, può essere individuato con il prelievo delle valute da depositi e conti correnti (o wallet).

Nel DDL in fase di approvazione invece, emerge un’importante differenza rispetto alle valute tradizionali che riguarda appunto il momento impositivo.

Infatti, la definizione del momento impositivo non coincide con il momento del prelievo (come avviene per le valute estere) ma con “l’utilizzo della criptovaluta come mezzo di pagamento o la sua conversione in una valuta tradizionale”.

Pertanto, sembrerebbe essere chiarito che il cambio di una valuta virtuale in altra valuta virtuale (crypto-to-crypto) non genera base imponibile rilevante fiscalmente; l’eventuale tassazione avverrà solo al momento della conversione in valute tradizionali, realizzando in quel momento la plusvalenza imponibile.

Il DDL va poi ad integrare l’articolo 67 del TUIR in tema di plusvalenze derivanti da operazioni che comportano il pagamento o la conversione in euro o in valute estere di valute virtuali.

Tali plusvalenze concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta il controvalore in euro delle valute virtuali complessivamente possedute dal contribuente, calcolato avendo riguardo al costo o al valore di acquisto soggetto a tassazione, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui; presupponendo però che le plusvalenze derivanti da operazioni a termine siano sempre tassate.

È previsto che per il calcolo delle plusvalenze si debba utilizzare il costo di acquisto determinato sulla base di documentazione avente data certa, anche attingendo dalla contabilità degli exchanger e wallet provider: nel caso di acquisizione di valute virtuali a titolo gratuito, il costo di acquisto viene assunto pari a zero; nel caso in cui il contribuente non risulti in possesso della documentazione riguardante il costo di acquisto delle valute virtuali, il controvalore viene calcolato sulla base del valore di cambio utilizzato dal contribuente nell’ultima operazione eseguita o, in assenza, al cambio rilevato all’inizio del periodo d’imposta da documentazione raccolta dal contribuente; nell’ipotesi, invece, in cui non si riesca a determinare il costo di acquisto è previsto che si possa applicare il criterio forfettario, secondo cui la plusvalenza imponibile è quantificata al 25% dell’ammontare ricevuto in pagamento o in conversione.

Un importante chiarimento ribadito dal DDL (come già precedentemente affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 956-39/2018, DRE Lombardia e all’interpello n. 903-47/2018, DRE Liguria), è che il possesso di valute virtuali non comporta alcun obbligo ai fini dell’imposta sul valore delle attività finanziarie (IVAFE).

Le criptovalute, infatti, non sono soggette a tassazione IVAFE in quanto l’imposta si applica esclusivamente ai depositi e conti correnti di natura “bancaria” (C.M. n.28/e/2012).

Con la storica sentenza del 22.10.2015 (causa C-264/14), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sosteneva che essendo la valuta virtuale ‘bitcoin’ accettata e utilizzata come mezzo di pagamento alternativo a quello legale, la stessa non può essere considerata come un conto corrente o un deposito di fondi, un pagamento o un versamento.

 

Monitoraggio fiscale

In merito al monitoraggio fiscale, il DDL conferma la direzione da tempo presa dall’Agenzia delle Entrate (DRE Lombardia, risp. 22 gennaio 2018, n. 956-39/2018. DRE Liguria, risposta 9 febbraio 2018, n. 903-47/2018) secondo cui, assimilando le valute virtuali alle valute estere, si ritiene che anche le valute virtuali devono essere oggetto di comunicazione attraverso la compilazione del quadro RW da parte dei soggetti fiscalmente residenti in Italia.

Tuttavia, viene previsto un caso di esclusione simile a quello utilizzato nei conti correnti e i depositi detenuti all’estero: non è presente l’obbligo di indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi se il controvalore massimo in euro delle valute virtuali possedute dal contribuente nel singolo periodo d’imposta non è superiore a 15.000 euro.

In tema di monitoraggio, recentemente, inoltre, con il provvedimento n. 176227 del 23 maggio 2022, l’Agenzia ha introdotto l’obbligo, a partire dal 1° gennaio 2023, di segnalazione all’anagrafe tributaria delle informazioni sui rapporti finanziari relative a criptovalute, metalli preziosi e altri asset finanziari.

Lo stesso provvedimento è intervenuto riguardo al calcolo della giacenza media annuale che a partire da gennaio 2023 si otterrà dividendo la somma delle singole giacenze attive giornaliere per 365, non considerando quindi il numero di giorni in cui il deposito/conto sia rimasto aperto e per giacenze giornaliere si intendono i saldi giornalieri per valuta.

Infine, in merito al monitoraggio delle attività con crypto-asset, si ricorda che i soggetti che operano o vogliono operare nel nostro Paese tramite la prestazione di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e di portafoglio digitale, dovranno iscriversi, pagando un contributo una tantum (pari a 8.300 euro per le persone giuridiche e 500 per le persone fisiche), all’apposito registro (l’anagrafe dei cripto-operatori, exchanger e wallet provider), gestito dall’OAM, l’organismo preposto alla gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (Decreto Mef del 13 gennaio 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17 febbraio 2022).

Il registro è stato reso disponibile dal 18 maggio e gli operatori che già svolgono l’attività, anche online, sul territorio nazionale dovranno provvedere all’iscrizione, previa registrazione, entro 60 giorni dal suo avvio.

In merito, è necessario ricordare che la Corte di Cassazione, con sentenza del 30 novembre 2021, n. 44337, ha sancito che la reclamizzazione della vendita di bitcoin rappresenta una vera e propria proposta di investimento che, se attuata in assenza delle necessarie autorizzazioni, è punita dal reato di “abusivismo” di cui all’art. 166 comma 1 lett. c) del DLgs. 58/1998.

 

Rideterminazione valore ed omessa dichiarazione

Il Disegno di Legge prevede anche la possibilità di rideterminare il valore di acquisto delle valute virtuali al primo gennaio 2022.

Il contribuente potrà versare un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, calcolata sul valore determinato da un’apposita perizia giurata di stima redatta da un dottore commercialista, un ragioniere, un perito commerciale o un revisore legale, ottenendo il riconoscimento fiscale del valore di acquisto delle valute virtuali alla data del 1° gennaio 2022, senza, però, alcun riconoscimento delle eventuali minusvalenze realizzate.

Secondo le indicazioni contenute nella proposta di legge, le aliquote d’imposta sono proporzionali, fissate nella misura dell’8% se il valore complessivo soggetto a tassazione è inferiore a 500 mila euro, del 9% se il valore è compreso tra 500.001 e 1 milione di euro e del 10% se il valore complessivo è superiore a 1 milione di euro.

La data ultima fissata per il pagamento, da effettuare mediante modello F24, dovrebbe essere il 30 giugno 2022 (previsione ottimista), in un’unica soluzione o in tre rate annuali di pari importo con applicazione di interessi nella misura del 3 %, da versare contestualmente all’importo di ciascuna rata.

Il comma 11 dell’articolo 2 del DDL introduce, infine, un regime premiale per i soggetti che abbiano deciso di rideterminare in via forfetaria il valore delle valute virtuali, prevedendo la non applicabilità delle sanzioni per omessa presentazione del quadro RW nei periodi d’imposta precedenti a quello in cui è stata realizzata la rideterminazione dei valori.

Questo, però, a condizione che, come prevede esplicitamente la proposta, nella dichiarazione dei redditi relativa al 2021 presentata nel 2022 il contribuente provveda ad indicare le valute virtuali interessate nel quadro RW per il monitoraggio fiscale e adotti a tal fine, a partire da tale dichiarazione dei redditi, il nuovo valore rideterminato quale controvalore di riferimento.

 

Indagini finanziarie

La continua espansione dell’uso delle criptovalute è un’opportunità per i singoli stati di applicare nuove norme fiscali e legali, con la naturale conseguenza di sviluppare attività di controllo, già iniziato per esempio con l’istituzione del registro degli operatori di criptovalute.

Nell’ambito di una qualsiasi attività di verifica fiscale e al ricorrere di particolari alert di pericolosità fiscale, è possibile che l’Amministrazione finanziaria attui indagini finanziarie (c.d. accertamento bancario).

Ai sensi dell’art. 32, comma 1, DPR 600/1973, l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza possono infatti invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, anche con riguardo ai rapporti ed alle operazioni bancarie acquisiti da parte dell’Amministrazione finanziaria.

I dati e gli elementi così acquisiti possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti tributari se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

La ricostruzione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA, trova nella documentazione bancaria e finanziaria del contribuente oggetto di controllo e/o dei soggetti che con questi abbiano intrattenuto rapporti commerciali o professionali, un riferimento probatorio di prioritaria rilevanza; infatti, le operazioni risultanti dalla documentazione bancaria e non annotate nelle scritture contabili possono essere anche utilizzate dal contribuente per celare attività non dichiarate, benché inerenti alla produzione del reddito.

Oltre alla valuta tradizionale, le indagini finanziarie possono interessare anche le criptovalute.

Nella circolare 1/2018 della Guardia di finanza è stato messo in risalto che va posta particolare attenzione alle «somme rinvenienti da entità giuridiche le quali gestiscono piattaforme informatiche che convertono moneta avente corso legale in valuta virtuale o criptovalute».

La prassi operativa, nell’ambito delle indagini finanziarie, ha fornito importanti chiarimenti, rilevando che particolare attenzione va riposta alle ipotesi di accredito sui rapporti intestati al contribuente di somme rinvenienti da entità giuridiche le quali gestiscano piattaforme informatiche che convertano moneta avente corso legale in valuta virtuale o criptovalute (talora utilizzate, ad esempio, per i giochi online), tenuto anche conto che i passaggi e gli scambi di criptovalute (es. bitcoin) tra soggetti non sono censiti.

In virtù di tali considerazioni, anche le persone fisiche dovranno porre attenzione all’orientamento preso dall’amministrazione finanziaria con riferimento a entità giuridiche di maggiori dimensioni.

 

Considerazioni conclusive

Nonostante lo slancio ottimista, il decreto ad oggi non ha ancora trovato conferme o smentite ufficiali, lasciando ancora molti dubbi e incertezze sull’argomento.

Le previsioni introdotte nel decreto potranno sicuramente riassorbire alcune lacune in materia di valute virtuali, ma lasceranno ancora molti dubbi sulla tassazione dei redditi delle società derivanti da valute virtuali, e soprattutto si rimarrà comunque in attesa di un intervento organico in tema di NFT (non fungible token), metaverso e più in generale sui digital asset e sui servizi e le tecnologie del web 3.0 che impatteranno sul mercato e quindi sui redditi di persone fisiche e società.

Sono infatti sempre più frequenti le richieste di attenzione che arrivano dal metaverso, o più in generale dal web 3.0, inteso come piattaforma online, costruita sulla blockchain, in cui è possibile scambiare Non fungible token (Nft) con criptovalute, per acquisire asset e servizi virtuali.

In merito, è necessario ricordare che, come esposto dall’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello del 20 aprile 2020, n.110, esistono diverse tipologie di token, tra i quali i più diffusi sono:

  1. token di pagamento o “criptovalute” (payment o currency token), ossia mezzi di pagamento per l’acquisto di beni o servizi oppure strumenti finalizzati al trasferimento di denaro e di valori;
  2. security token, rappresentativi di diritti economici legati all’andamento dell’iniziativa imprenditoriale (ad esempio, il diritto di partecipare alla distribuzione dei futuri dividendi) e/o di diritti amministrativi (ad esempio diritti di voto su determinate materie);
  3. gli utility token, rappresentativi di diritti diversi, legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l’emittente intende realizzare (ad esempio, licenza per l’utilizzo di un software ad esito del processo di sviluppo).

Oltre ad attribuire i suddetti diritti, alcuni token possono essere scambiati sul mercato secondario tramite la piattaforma dell’emittente o su altre piattaforme di scambio (cfr. risposta ad interpello n. 14 del 28 settembre 2018).

L’evoluzione digitale ha creato poi, ulteriori tipologie di token, tra cui i token ibridi, ritenute declinazioni, sottocategorie o combinazioni di quelle sopra elencate.

In questi casi, sorgono alcune problematiche tributarie, non solo ai fini delle imposte dirette, ma anche di quelle indirette, come l’IVA.

 

Un esempio: il caso delle opere d’arte

Ad esempio, prendendo a riferimento il caso delle opere d’arte, qualora la cessione del NFT effettuata dall’artista fosse equiparata alla cessione di un’opera d’arte, si ricadrebbe nella disciplina prevista per le cessioni dei beni, con il relativo assoggettamento a IVA (non senza difficoltà nell’applicazione dell’aliquota ridotta del 10%, prevista solo per le opere d’arte tassativamente indicate nella Tabella allegata al DL 41/1995).

Se, invece, la cessione del NFT fosse considerata cessione di un diritto patrimoniale, la vendita ricadrebbe nell’ambito della disciplina del diritto d’autore, senza l’applicazione dell’IVA, ai sensi dell’art. 3 comma 4 del DPR 633/1972.

Nel prossimo decennio il metaverso offrirà interessanti possibilità alle aziende per creare valore attraverso modelli di business innovativi, abilitando la collaborazione in spazi virtuali e luoghi fisici aumentati; si creeranno così nuovi modi per interagire con i propri clienti, con l’introduzione di nuove linee di business.

Questo, per esempio, varrà anche per i professionisti che assisteranno i propri clienti all’interno del web 3.0.

 

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A cura di Fabio Gallio e Giulia Giora

Venerdì 17 giugno 2022