Con il presente contributo si vuole illustrare il recente sviluppo giurisprudenziale sulla questione di strettissima attualità del regime delle locazioni commerciali nell’attuale periodo di non cessata emergenza sanitaria Covid 19, e più specificamente sulle possibili limitazioni di una “ordinaria” azione di sfratto per morosità.
Un caso di sfratto per morosità in tempi di Covid
Il contributo prende spunto da un caso recentemente affrontato dallo scrivente avvocato avanti in Tribunale a Milano nel quale ha difeso una società di ristorazione che nell’aprile 2020, in piena prima fase dell’emergenza sanitaria, si era vista notificare citazione di sfratto per morosità come se non ci trovassimo affatto in un eccezionale periodo di emergenza sanitaria a livello globale.
La normativa emergenziale in tema di sfratti
Allo scoppio dell’emergenza sanitaria Covid 19 con l’istituzione delle prime “zone rosse”, tramite il Decreto Legge del 23/02/2020 n. 6 recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19» già a partire dal giorno 25/02/2020 e sino al 01/03/2020 la società di ristorazione aveva chiuso preventivamente il proprio esercizio in Milano.
Successivamente, in seguito all’emanazione del DPCM del giorno 8 marzo 2020 “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19” e la successiva decretazione d’urgenza che ha prescritto la chiusura completa delle attività non essenziali (il cd. “lockdown”) l’esercizio è stato chiuso dal giorno 11/03/2020 al giorno 8/05/2020, quindi per due mesi.
Ed infine, sino ai giorni nostri, il locale lavora con capienza pressoché dimezzata rispetto alla regolare attività, per rispettare le norme sul distanziamento sociale ai fini del contrasto dell’emergenza sanitaria purtroppo non ancora cessata.
Nell’ambito della suddetta normativa emergenziale, va evidenziato che l’art. 91 del Decreto Legge n. 18/2020 ha introdotto una disposizione che mira a valutare le ragioni dell’inadempimento qualora lo stesso derivi dal “… rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto …” precisando che tale situazione “ … è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 (responsabilità del debitore) e 1223 (risarcimento del danno) c.c. …” e ciò anche in relazione a “… eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti”.
Sfratto per morosità: la responsabilità dei debitori
La suddetta norma, ad oggi ha una funzione rafforzativa della disposizione di cui all’art. 1218 codice civile a tenore del quale “il debitore che non esegue la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Si tratta quindi di un invito agli operatori del diritto a prestare particolare attenzione alle ragioni dei debitori in difficoltà economica in questa fase di grave emergenza potendosi escludere, anche con valutazione ex officio, la morosità nel pagamento dei canoni.
Tanto è vero che la dottrina specialistica, che ha affrontato la questione, in tema di sfratto per morosità, così ha concluso:
“In questo ambito sarei del parere che l’Autorità giudiziaria non possa emettere provvedimenti di convalida di sfratto per morosità a seguito del mancato pagamento dei canoni di locazione temporalmente collegati al periodo di “rispetto della misure di contenimento”, essendo assente l’inadempimento del conduttore ex articolo 91 DL 18/2020; parimenti, non potranno essere emesse ordinanze provvisorie di rilascio ex art. 665 cpc, sussistendo “i gravi motivi” (art. 665 , comma 1° cpc), collegati al decreto legge e, demandandosi quindi al successivo giudizio di merito, in esito all’opposizione alla convalida, ogni questione riguardante la risoluzione del rapporto commerciale, l’ammontare del “giusto corrispettivo” ed ogni quaestio iuris solutoria attinente la conservazione o meno del contratto, ferma la parentesi di media conciliazione, come sopra ricordato, che obbligatoriamente dovrà essere instaurata all’esito della trasformazione del rito, in ciò applicandosi, a pena di improcedibilità della domanda, l’art. 5 del Dlgs 28/10”.
Si veda il contributo di V. Ruggiero “La pandemia e la sorte dei canoni di locazione commerciale”.
Le soluzioni della giurisprudenza
La recente giurisprudenza investita di questi casi ha adottato soluzioni in linea con le tesi sopra prospettate.
Si veda in primis l’ordinanza del Tribunale di Catania del 30/7/2020 che, visto appunto l’art. 91 D.L n. 18/2020, ha rigettato la richiesta di convalida dello sfratto con liberazione immediata dell’immobile commerciale:
“ritenuto che tale norma incide nella valutazione della gravità dell’inadempimento del conduttore in relazione alla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento che sarà oggetto del futuro giudizio di merito e che, in ragione di ciò, sussistono gravi motivi contro l’accoglimento dell’istanza dell’intimante rivolta ad ottenere la pronunzia dell’ordinanza provvisoria di rilascio prevista dall’art. 665 codice procedura civile”.
L’esecuzione della fidejussione
Nello stesso spirito a tutela del conduttore incolpevole, il Tribunale di Rimini, nell’ordinanza del 25/05/2020, ha accolto addirittura inaudita altera parte il ricorso ex art. 700 cpc promosso da conduttore, al fine di inibire al locatore l’incasso degli assegni che costituivano il corrispettivo per i canoni di locazione commerciale, valutando attentamente:
- l’assenza di provvista a causa dell’inattività della struttura ricettiva causa Covid 19;
- l’inesigibilità della prestazione richiesta ex adverso (pagamento puntuale dei canoni) a fronte della normativa emergenziale
E nello stesso senso le ordinanze emesse dai Tribunali di Venezia, di Genova, e di Bologna.
Un cenno particolare merita l’ordinanza del Tribunale di Roma del 27/08/2020 che ha accolto il ricorso d’urgenza ex art. 700 cpc di un ristoratore che adiva l’Autorità Giudiziaria per inibire l’escussione della fideiussione da parte del locatore e chiedere nel contempo la riduzione del 50% del canone di locazione mensile (o nella diversa misura ritenuta di giustizia dal Tribunale).
La giurisprudenza in tema di riduzione dei canoni di locazione durante la pandemia da Covid
Tribunale di Roma: riduzione dei canoni di locazione del 40%
Ebbene, il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso disponendo la sospensione della garanzia fideiussoria e riducendo i canoni di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20% per i mesi da giugno a marzo 2021 così motivando:
“Certamente la crisi economica dipesa dalla pandemia Covid e la chiusura forzata delle cattività commerciali – ed in particolare quelle legate al settore della ristorazione – devono qualificarsi quale sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale; invero, nel caso delle locazioni commerciali il contratto è stato stipulato “sul presupposto” di un impiego dell’immobile per l’effettivo svolgimento di attività produttiva, e segnatamente nel caso di specie lo svolgimento dell’attività di ristorazione.
Ciò posto, si ritiene che pur in mancanza di clausole di rinegoziazione, i contratti a lungo termine, in applicazione del brocardo “rebus sic stantibus”, debbano continuare ad essere rispettati ed applicati dai contraenti sino a quando rimangono intatti le condizioni ed i presupposti di cui essi hanno tenuto conto al momento della stipula del negozio.
Al contrario, qualora si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quella determinata dalla pandemia del Covid 19, la parte che riceverebbe uno svantaggio nel protrarsi dell’esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto, al base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.)”
Ed ancora, prosegue il Tribunale di Roma, sotto un diverso profilo:
“Alle medesime conclusioni si perviene qualificando la suddetta fattispecie come peculiare ipotesi di impossibilità della prestazione della locatrice resistente di natura parziale e temporanea (cfr. Tribunale di Roma, sezione V civile, ordinanza del 29 maggio 2020 rg n. 18779/2020), attesa la sostanziale impossibilità di utilizzazione dei locali locati per l’attività di ristorazione, idonea ad incidere sui presupposti alla base del contratto, e che da luogo all’applicazione del combinato disposto degli articoli 1256 c.c. (norma generale in tema di obbligazioni) e 1464 c.c. (norma speciale in materia di contratti a prestazioni corrispettive)”.
Tribunale di Milano: riduzione dei canoni di locazione del 50% durante
Per quanto riguarda il Tribunale di Milano, il provvedimento capostipite di questo filone giurisprudenziale è stata la sentenza n. 4114/2021 emessa il 18/05/2021 in cui è stata disposta la riduzione del canone del 50% nel periodo di pandemia, così motivando, e riscontrando una evidentissima analogia con le disposizioni di cui al “Decreto Rilancio”, anche se formalmente il testo normativo non aveva incluso gli esercizi commerciali del settore della ristorazione.
“Per effetto del cosiddetto lock-down, ai conduttori di immobili adibiti ad uso commerciali, produttivo e professionale è stata inibita l’utilizzazione del bene per lo svolgimento di attività ritenute ‘non essenziali’, in forza di ordine dell’autorità (factum principis).
Ciò ha comportato senz’altro una limitazione nel godimento del bene locato, sotto il profilo non della sua detenzione (che è rimasta al conduttore), quanto piuttosto della sua utilizzazione secondo la destinazione negoziale, entrambe prestazioni (detenzione e destinazione contrattuale) che rientrano nell’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata, nel corso del rapporto, “in istato da servire all’uso convenuto” (art. 1575 n. 2) c.c.).
Ne consegue che l’obbligo cui è tenuto il locatore è stato adempiuto, nel periodo in questione, solo parzialmente e che anche la causa concreta del contratto, vale a dire la sua funzione economico-sociale, non si è pienamente realizzata.
Il sinallagma contrattuale ne è risultato alterato giacché è stata resa solo una parte della prestazione per la quale è stato pattuito il canone.
[…] Queste considerazioni sono avvalorate dal disposto dell’art. 216, comma 3, della l. 77/2020 (di conversione del cosiddetto Decreto Rilancio), a mente del quale “La sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei citati decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, e a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà’ di soggetti privati.
In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito”.
Una interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione ne consente l’applicazione analogica ai rapporti di locazione aventi ad oggetto immobili destinati allo svolgimento della generalità delle attività commerciali, industriali e professionali sospese per factum principis, apparendo essa altrimenti irragionevole sotto il profilo della disparità di trattamento di situazioni uguali o analoghe.
In definitiva, è ragionevole ritenere, nel caso in esame, che l’importo dovuto dall’intimata per la mensilità di aprile 2020 e maggio 2020 neppure spettasse nella sua interezza”.
Quindi, venendo al caso odierno, il Tribunale di Milano, nella recentissima sentenza n. 1019/2022 del 07/02/2022 che si allega in versione integrale, ha accolto le nostre tesi difensive, evidenziando la buona fede del conduttore ed affermando che i ritardi nel pagamento del canone contrattualmente pattuito non potevano essere imputabili a sua colpa, rigettando così la domanda di risoluzione proposta dalla controparte locatrice che invocava la clausola risolutiva espressa stipulata nel contratto del 2018, e dichiarando altresì che il conduttore ha diritto ad una riduzione dei canoni nella misura del 40% del prezzo pattuito, per i periodi di lockdown.
L’inapplicabilità della clausola risolutiva
Per quanto riguarda l’inapplicabilità al caso di specie della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto, il Tribunale di Milano ha condivisibilmente motivato che:
“Al fine di verificare la sussistenza dei presupposti della risoluzione di diritto, come previsti dagli articoli 1465 c.c. e 7 del contratto, si tratta di stabilire, in primo luogo, se e quali pagamenti sono stati fatti oltre i sessanta giorni dalle rispettive scadenze; in caso positivo, se il ritardo è imputabile alla resistente e non è giustificato dall’inadempimento avverso, come eccepito dalla conduttrice.
Ed infatti, la pattuizione della clausola risolutiva espressa, se esime il giudicante dalla valutazione circa la gravità dell’inadempimento, che è stata predeterminata dai contraenti, non lo esenta dall’accertare che l’evento previsto dalla stessa si sia effettivamente verificato e che il comportamento delle parti sia conforme a buona fede […].
Inoltre, la clausola risolutiva espressa non opera in modo automatico ma, anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersene, il giudice deve valutare l’eccezione di inadempimento proposta dall’altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all’avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell’art. 1456 c.c., dall’accertamento di un inadempimento colpevole (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II, 13/09/2013, n. 21115 e, di recente, Cassazione civile sez. III, 12/10/2021, n. 27692).
La dichiarazione dei locatori di volersene valere è, dunque, paralizzata dall’eccezione di inadempimento della conduttrice, la cui fondatezza deve essere vagliata preliminarmente.
Infine, nel valutare la sussistenza del ritardo nell’adempimento, occorre tener conto della normativa emergenziale dettata dal legislatore per contenere la pandemia in corso, che rileva sotto un duplice profilo:
- quale causa di impossibilità parziale e temporanea della prestazione del locatore, che legittima, per un verso, l’eccezione di inadempimento sollevata dalla parte conduttrice, giustificandone la temporanea sospensione del pagamento, nonché la richiesta di riduzione del canone. Ed infatti, l’eccezione di inadempimento “può essere fatta valere anche nel caso in cui il mancato adempimento dipende dalla sopravvenuta relativa impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore” (Cassazione n. 21973/2007);
- quale causa di esenzione da responsabilità per il ritardo (art. 91 del D.L. n. 18 del 23 febbraio 2020)”.
Il Tribunale di Milano sul diritto al riconoscimento di riduzione del canone di locazione
Mentre, per quanto attiene al secondo profilo del diritto del conduttore di vedersi giudizialmente riconosciuta una sostanziale e significativa riduzione del canone pattuito anteriormente alla pandemia, che ripristinasse il corretto sinallagma contrattuale, così ha motivato il Tribunale di Milano:
“Il riconoscimento del diritto del conduttore ad una riduzione del canone, proporzionata alla sopravvenuta diminuzione del godimento, costituisce specifica applicazione di un principio generale che presiede la disciplina delle locazioni, quello “della sinallagmaticità fra godimento e corrispettivo, per cui ove quel godimento non è attuabile secondo le previsioni contrattuali il conduttore è abilitato a pretendere una riduzione del relativo corrispettivo e financo legittimato alla risoluzione del rapporto, quando quella diminuzione è tale da comportare il venir meno dello stesso interesse del conduttore alla persistenza della locazione” (Cass. n. 3590/1992).
Conclusivamente, nel caso in esame è indubbio che, per effetto delle disposizioni emergenziali, la prestazione dei locatori di assicurare il godimento dell’immobile per la destinazione contrattuale non è stata adempiuta nella sua interezza, essendo state imposta preclusa interamente l’attività tra marzo e maggio 2020 e quasi completamente tra il 6 novembre ed il 15 aprile 2021.
Parimenti indubbio è che ciò non è imputabile al locatore.
Il conduttore ha, perciò, diritto, quanto meno, alla riduzione del canone in proporzione al diminuito uso del bene.
Circa la misura della stessa, è opportuno evidenziare che l’art. 216, comma 3, della L. n. 77/2020 (di conversione del D.L. n. 34/2020, cosiddetto Decreto Rilancio), dettato nell’ambito della normativa emergenziale emanata per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, così recita:
“La sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei citati decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, e a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati.
In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito” […]
Tanto premesso, considerate le complessive limitazioni allo svolgimento dell’attività di ristorazione e la loro durata, nonché l’avvenuta cessione del credito d’imposta ai locatori, nella misura del 60% del canone, si ritiene equo ridurne la misura, per i periodi di chiusura dell’esercizio commerciale (dall’11 marzo al 17 maggio 2020) e di sospensione dell’attività come previste per le zone rosse e arancioni (dal 6 novembre 2020 al 31 gennaio, nonché dal 1° marzo al 25 aprile 2021) nella misura del 40%, pari a complessivi € 8.006,94, così determinati: € 9.000,8,00 canone trimestrale / 90 giorni = €100,08 canone giornaliero X 40% = € 40,03 X 200 giorni).
Per i restanti periodi, è dovuto l’intero canone, giacché i DPCM emessi hanno disposto, con varie modulazioni, limitazioni alle attività commerciali, con riguardo agli orari di apertura ed alle modalità di svolgimento, ivi comprese quelle concernenti il distanziamento sociale, ma non hanno precluso l’attività”.
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A cura di Roberto Molteni
Giovedì 17 marzo 2022