Breve analisi di quanto previsto in merito alla possibilità di assoggettare ad IVA una prestazione di servizi e del conseguente diritto alla detrazione dell’imposta assolta da parte del contribuente.
Prendiamo in esame il concetto di rapporto sinallagmatico, vale a dire, di quell’impegno che fa sorgere obbligazioni corrispettive fra le parti contraenti (ad esempio nella compravendita: io ti consegno un oggetto, tu mi versi un prezzo).
Nel seguente articolo si intende analizzare brevemente l’intercorrere di un rapporto giuridico sinallagmatico di scambio di adempimenti [1], per cui il compenso che viene ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato al secondo.
IVA e rapporto sinallagmatico: la vicenda di Cassazione
In tale materia la Suprema Corte di Cassazione ricorreva contro il contribuente “E.P.F. Comunicazioni s.r.I.”, nella persona del suo legale rappresentante.
L’ordinanza era stata intimata avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, portante n. 6949/2014, depositata il 17 dicembre 2014, ma non notificata.
Dopo avere avuto contezza dei contenuti della relazione svolta in camera di consiglio del 26 maggio 2021 dal Consigliere Adet Toni Novik, la summenzionata Commissione tributaria regionale ha chiarito la necessità dell’esistenza di un rapporto sinallagmatico per poter utilizzare l’importo IVA di una prestazione di servizi e dell’utilizzo conseguente diritto alla detrazione dell’imposta che è stata assolta.
Nel caso di specie che ora sottoponiamo ad esame, la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto di dover rigettare l’appello avanzato da parte dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado, che aveva a sua volta ritenuto di dover accogliere i ricorsi riuniti della società contribuente avverso gli avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria aveva inteso ottenere il recupero dell’IVA su fatture emesse per prestazioni di servizi.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria contestava alla società di avere indebitamente detratto l’IVA addebitata su fatture emesse per cosiddetti “premi impegnativa”, che l’Agenzia delle Entrate aveva qualificato come cessione di denaro a titolo gratuito e come tale non assoggettabile ad IVA.
Analisi dei fatti
I giudici, in seduta di appello, confermando quanto era già stato evidenziato dalla Commissione Tributaria Provinciale di competenza, avevano ritenuto che, per il principio della libertà delle forme, non potesse assumere rilevanza la circostanza che per i “premi impegnativa” non fosse presente una documentazione scritta, laddove, comunque, i premi in questione costituissero una remunerazione specifica nell’ambito dell’attività di intermediazione svolta da parte della società.
L’ammontare dei premi era peraltro determinato applicando delle percentuali sulla soglia di fatturato crescenti, dimostrandosi così che non era indifferente l’attività svolta e il suo risultato, che, sempre secondo la CTR, trovava appunto nel premio una corrispondente remunerazione.
Contro tale sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per Cassazione, deducendo che dal PVC della Guardia di Finanza, diversamente da quanto ritenuto dalla Commissione Tributaria Regionale, non emergeva con chiarezza, l’assenza di corrispettività dei bonus.
Infatti, l’esame dei contratti aveva evidenziato l’assenza di un impegno contrattuale e che il riconoscimento dei premi era stato riconosciuto a titolo gratuito, come tal