Il nuovo interpello: coordinamento tra il decreto abuso e i decreti interpello, internazionalizzazioni e sanzioni

Pubblichiamo un corposo approfondimento sui decreti relativi alla delega fiscale focalizzando l’attenzione su: abuso del diritto, società non operative, novità per l’interpello e revisione del sistema sanzionatorio.

L’interpello all’Amministrazione Finanziaria: aspetti generali

interpello agenzia entrateL’istituto dell’interpello, sorto nell’ambito della disciplina di contrasto all’elusione tributaria e generalizzato nella variante «ordinaria» dal 2000 / 2001, si è via via esteso fino a coprire una serie di ipotesi nelle quali emergeva una potenziale controversia tra contribuente e fisco, la cui risoluzione poteva essere promossa in via preventiva cioè senza dover necessariamente porre in essere un’attività di controllo.

Gli interpelli, riordinati e ridisegnati a opera della riforma fiscale del 2014/2015, erano finora riconducibili a quattro schemi generali:

  • interpello ordinario (volto all’interpretazione di disposizioni giuri- diche tributarie);
  • interpello antielusivo (finalizzato a escludere il carattere elusivo di atti, fatti, operazioni);
  • interpelli probatori (orientati a comprovare determinate situazioni di fatto richieste dal legislatore tributario per escludere l’applicazione di norme di sfavore);
  • interpello disapplicativo (finalizzato a ottenere la disapplicazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di norme antielusive specifiche).

In linea di principio l’interpello è uno strumento che in modo rapido e semplice consente a ciascun contribuente di spiegarsi nei confronti dell’amministrazione finanziaria e di ricevere da quest’ultima non una semplice «guida» degli adempimenti, bensì un indirizzo preciso e puntuale su questioni che non siano già conoscibili sulla base delle norme e delle istruzioni ufficiali emanate.

L’istituto presenta tuttavia molti aspetti critici nella sua applicazione, a partire dalle modalità corrette di presentazione, dalle informazioni che deve contenere e dalla documentazione eventualmente necessaria.

Come si vedrà, la riforma in atto, in attuazione della legge delega del 2014, è orientata all’estensione dell’interpello e alla sua riconduzione nell’alveo garantista dello Statuto del contribuente.

La legge delega sulla riforma del sistema tributario

La legge delega 11.3.2014, n. 23 contiene i principi in base ai quali il legislatore ha inteso attuare un’importante riforma del sistema tributario, orientata ad assicurare la tendenziale uniformità della disciplina riguardante le obbligazioni tributarie, il coordinamento e semplificazione delle discipline concernenti gli obblighi contabili e dichiarativi e la coerenza e tendenziale uniformità dei poteri di accertamento, pur assicurando l’invarianza del gettito fiscale complessivamente considerato.

Molte disposizioni riguardano l’accertamento, mentre altre previsioni attengono più alla compliance e alle semplificazioni.

La legge delega ha previsto – all’art. 5 – la revisione delle disposizioni antielusive per armonizzarle con il generale divieto di abuso del diritto, sulla base dei seguenti principi:

  • definizione della condotta abusiva, intesa come «uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione»;
  • garanzia della libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni da cui può derivare anche un diverso carico fiscale, considerando:
    • abusiva, l’operazione effettuata con l’intento prevalente di ottenere indebiti vantaggi fiscali;
    • non abusiva, l’operazione giustificata da ragioni extrafiscali non marginali, quali le esigenze di natura organizzativa o di miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda, anche in assenza di una redditività immediata;
  • inopponibilità della condotta abusiva all’amministrazione finanziaria che può disconoscere il relativo risparmio d’imposta;
  • disciplina del regime della prova, in base al quale: –
    • il fisco ha l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le modalità di manipolazione e alterazione degli strumenti giuridici utilizzati e la loro non conformità ad una normale logica di mercato;
    • il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle valide ragioni extrafiscali che hanno giustificato il suo comportamento;
  • individuazione formale e puntuale della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento, a pena di nullità dello stesso;
  • previsione di specifiche regole procedimentali per garantire un efficace contraddittorio con l’amministrazione e la salvaguardia del diritto di difesa in ogni fase dell’accertamento.

La generale riformulazione della «materia» antielusiva, come verrà spiegato più avanti, si riflette sulla disciplina degli interpelli, cioè sia sull’interpello antielusivo [precedentemente normato dall’art. 21 della L. 413/1991], sia sulla procedura di disapplicazione [già disciplinata dall’art. 37-bis, ottavo comma, D.P.R. n. 600/1973], sia infine, per gli aspetti residuali, anche sulle altre tipologie di interpello.

Ulteriori previsioni suscettibili di condizionare l’istituto dell’interpello sono quelle contenute nell’art. 6, commi primo e secondo [gestione del rischio fiscale e governance aziendale].

La legge delega ha previsto l’emanazione di norme relative alla comunicazione e cooperazione rafforzata tra imprese e amministrazione finanziaria e, per i soggetti di maggiori dimensioni, all’introduzione di sistemi aziendali di gestione e controllo del rischio fiscale, con l’individuazione di una chiara attribuzione delle responsabilità nell’ambito dei controlli interni (con incentivi quali minori adempimenti e la riduzione delle sanzioni, nonché la possibilità di presentare interpello con procedura abbreviata).

Con riferimento ai contribuenti di minori dimensioni (imprenditori individuali e lavoratori autonomi), la delega [art. 6, commi terzo e quarto] ha previsto la revisione e l’ampliamento del tutoraggio per l’assolvimento degli adempimenti, la predisposizione delle dichiarazioni e il calcolo delle imposte (con modelli precompilati inviati dall’amministrazione e una riduzione degli adempimenti).

L’art. 6, sesto comma, della legge delega ha previsto l’introduzione di disposizioni per la revisione generale della disciplina degli interpelli, al fine di garantirne una maggiore omogeneità, e in tal modo una migliore tutela giurisdizionale, ed una maggiore tempestività nella redazione dei pareri, anche procedendo all’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio non produttive di benefici ma solamente di aggravi per i contribuenti e per l’amministrazione.

Il decreto interpello

Il decreto legislativo emanato in attuazione della legge delega «per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario» [decreto interpello – Atto del Governo n. 184] contiene numerose innovazioni da esaminarsi coordinandole con la conoscenza dell’istituto nei circa 15 anni di applicazione, nonché con le ulteriori disposizioni di nuova introduzione che riguardano rispettivamente l’abuso del diritto (quanto ai riflessi sulle forme di interpello antielusivo) e la fiscalità internazionale (per ciò che attiene agli interpelli CFC e in materia di costi esteri).

Secondo quanto è affermato nella relazione illustrativa, le innovazioni normative intendono superare una situazione di complicazione e proliferazione delle tipologie di interpello, caratterizzate da finalità differenti, da un lato e con regole applicative differenziate.

Quanto ai cosiddetti interpelli obbligatori, connessi all’esigenza di assicurare un monitoraggio di determinate situazioni di fatto da parte dell’amministrazione finanziaria, rileva la relazione che essi hanno di fatto generato un notevole contenzioso, che si è venuto ad aggiungere alle vertenze relative agli eventuali e successivi atti di accertamento.

Si è quindi inteso ripensare l’istituto in chiave di razionalizzazione e modernizzazione con l’obiettivo di restituire all’interpello la funzione di strumento di dialogo privilegiato e qualificato del contribuente con l’amministrazione.

Nel dettare le linee guida essenziali al legislatore delegato, l’art. 6 della legge delega ne ha individuate tre in particolare:

  • la tendenziale eliminazione delle forme di interpello obbligatorio, in quanto queste hanno finito per gravare i contribuenti di oneri maggiori rispetto al correlato beneficio, in termini di monitoraggio preventivo, per l’amministrazione finanziaria;
  • l’omogeneità, da intendersi riferita non tanto alle finalità che l’interpello può assolvere quanto, soprattutto, alle esigenze di una even- tuale tutela giurisdizionale ed alle regole procedurali applicabili;
  • la maggiore tempestività nella redazione dei pareri quale elemento ulteriore e diverso rispetto alla certezza dei tempi della risposta, che ha portato, da un lato, ad attribuire perentorietà a tutti i termini di risposta (anche quelli relativi ad istanze per le quali finora il termine previsto dalla legge è meramente ordinatorio) e, dall’altro, ad attuare una significativa riduzione dei tempi di lavorazione delle istanze, specialmente nelle ipotesi di richiesta di documentazione integrativa.

Con riferimento al primo punto (eliminazione degli interpelli obbligatori), nel quadro dell’attuazione dell’esigenza di generale semplificazione del rapporto fìsco-contribuente di cui è portatrice la legge delega, il legislatore ha inteso segnare il passaggio da un sistema incentrato sulla necessità di una compiuta verifica amministrativa preventiva di determinate fattispecie a uno basato sulla responsabilizzazione del contribuente, al quale viene tendenzialmente riconosciuta la possibilità di verificare autonomamente la sussistenza delle condizioni previste dalle legge per l’accesso a specifici regimi fiscali, ovvero per la disapplicazione di determinate disposizioni antielusive.

Anche l’interpello «fattuale» quindi, imperniato sul riscontro di determinate situazioni e non sulla risoluzione di problematiche interpretative, recupera la sua natura di opportunità, nonché di strumento di gestione del rischio fiscale.

Il decreto antiabuso

Come sopra posto in evidenza, la legge delega ha prodotto, dopo un lungo e articolato iter nelle competenti Commissioni parlamentari e in aula, il D.Lgs. 5.8.2015, n. 128 [Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23], vigente dal 2.9.2015.

Ai sensi dell’art. 1 di tale decreto legislativo, viene inserito nello Statuto del contribuente il nuovo art. 10-bis, di seguito ripreso e commentato.

Art. 10-bis (Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale).

  1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni
  2. Ai fini del comma 1 si considerano:
    • operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme1 e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato2;
    • vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordina- mento tributario3
    • Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente4.
    • Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali di- versi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale5.
    • Il contribuente può proporre interpello secondo la procedura e con gli effetti dell’articolo 11 della presente legge per conoscere se le operazioni che intende realizzare, o che siano state realizzate, costituiscano fattispecie di abuso del diritto. L’istanza è presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima6.
    • Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto7.
    • La richiesta di chiarimenti è notificata dall’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell’amministrazione dal potere di notificazione dell’atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni8.
    • Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l’atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al comma 69
    • L’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’o- nere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3 (10)
    • In caso di ricorso, i tributi o i maggiori tributi accertati, unitamente ai relativi interessi, sono posti in riscossione, ai sensi dell’articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e, successive modificazioni, e dell’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, 472
    • I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le disposizioni del presente articolo possono chiedere il rimborso delle imposte pagate a segui- to delle operazioni abusive i cui vantaggi fiscali sono stati disconosciuti dall’amministrazione finanziaria, inoltrando a tal fine, entro un anno dal giorno in cui l’accertamento è divenuto definitivo ovvero è stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale, istanza all’Agenzia delle entrate, che provvede nei limiti dell’imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tal
    • In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie11.
    • Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie12. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.

.

Il secondo comma dell’art. 1 del decreto abuso dispone l’abrogazione del- l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, aggiungendo che «le disposizioni che richiamano tale articolo si intendono riferite all’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto compatibili».

Il terzo comma del medesimo art. 1 sostituisce il previgente ottavo comma dell’articolo abrogato, relativo alla

«disapplicazione specifica» di norme antielusive mirate, stabilendo che «le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi.

A tal fine il contribuente presenta istanza di interpello ai sensi del regolamento del Ministro delle finanze 19 giugno 1998, 259. Resta fermo il potere del Ministro dell’economia e delle finanze di apportare modificazioni a tale regolamento».

 

Questa tipologie di istanze, nello spettro della c.d. antielusione specifica, comprendono varie ipotesi che sono oggetto della revisione normativa operata dal c.d. decreto interpello [attuale Atto del Governo n. 184], per il quale si rinvia a probabili successivi contributi dedicati.

Il quarto comma dell’art. 1 stabilisce che

«i commi da 5 a 11 dell’articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000 non si applicano agli accertamenti e ai controlli aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, che restano disciplinati dalle disposizioni degli articoli 8 e 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374, e successive modificazioni, nonché dalla normativa doganale dell’Unione europea».

Infine, ai sensi del quinto comma, le nuove disposizioni hanno acquistato efficacia a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto [1 settembre 2015] e si applicano anche alle operazioni poste in essere in data anteriore alla loro efficacia per le quali, alla stessa data, non sia stato notificato il relativo atto impositivo13.

 

Il coordinamento con gli altri decreti di riforma

Con il citato «decreto interpello» [Atto del Governo n. 184] viene radicalmente innovato l’art. 11 dello Statuto del contribuente.

Occorre considerare in particolare che, a norma del secondo comma dell’art. 11 nella nuova formulazione:

«Il contribuente interpella l’amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi.

Nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole, resta comunque ferma la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione di cui al periodo precedente anche ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa».

 

Queste previsioni devono essere raccordate con l’art. 1, terzo comma, del D.Lgs. 5.8.2015, n. 128:

«Le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi.

A tal fine il contribuente presenta istanza di interpello ai sensi del regolamento del Ministro delle finanze 19 giugno 1998, n. 259. Resta fermo il potere del Ministro dell’economia e delle finanze di apportare modificazioni a tale regolamento».

Società non operative e sanzioni

Il medesimo decreto interpello innova l’art. 30 della L. n. 724/1994, stabilendo che:

  • nel comma 4-bis, le parole «la società interessata può chiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, 600» sono sostituite dalle seguenti:

«la società interessata può interpellare l’amministrazione ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera c) della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente»;

  • nel comma 4-ter, le parole «in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni del presente senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello di cui al comma 4-bis» sono sostituite dalle seguenti: «non trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi precedenti»;
  • il comma 4-quater è sostituito dal seguente: «4-quater. Il contribuente che ritiene sussistenti le condizioni di cui al comma 4-bis ma non ha presentato l’istanza di interpello prevista dal medesimo comma ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve dame separata indicazione nella dichiarazione dei redditi».

 

Il quadro è completato dal decreto sanzioni [Revisione del sistema sanzionatorio (Schema di D.Lgs. n. 183) (artt. 1 e 8, co. 1, L. 23/2014) Luglio 2015 XVII Leg.]: in particolare il nuovo comma 3-ter dell’art. 8 individua, nel contesto delle disposizioni volte a punire le eventuali omissioni o incompletezze dei dati della dichiarazione, una sanzione fissa (da 2.000 a 21.000 euro) applicabile nei casi in cui il contribuente non abbia provveduto a effettuare le segnalazioni richieste da:

  • l’articolo 113, comma 6, del TUIR, in relazione alle partecipazioni acquisite per il recupero di crediti bancari;
  • l’articolo 124, comma 5-bis, del TUIR, in ordine alla continuazione del consolidato nazionale;
  • l’articolo 132, comma 5, del TUIR, relativo al consolidato mondiale;
  • l’articolo 30, comma 4-quater, della legge 30 dicembre 1994, n. 724 per le società di comodo;
  • l’articolo 1, comma 8 del decreto-legge 6 dicembre 2011, 201, in tema di Aiuto per la crescita economica (ACE).

Le ipotesi menzionate sono oggetto di modifica da parte dello schema di decreto delegato in materia di interpello, nel cui contesto la presentazione dell’istanza di interpello – fino ad oggi obbligatoria – è stata resa facoltativa ed è stata sostituita, in omaggio all’esigenza di monitoraggio da parte dell’amministrazione sulle predette situazioni, dalla introduzione di un obbligo di segnalazione.

 

Gli effetti delle nuove normative

In buona sostanza, dal coordinamento tra le disposizioni normative di riferimento discende che:

  1. l’istanza di disapplicazione non è più obbligatoria per le società non operative (snop);
  2. apparentemente, in attesa di successive modifiche o indicazioni, essa è ancora obbligatoria per le società in perdita sistemica (sps);
  3. i soggetti non operativi secondo le disposizioni dell’art. 30 della L. 724/1994 sono tenuti a fornire di ciò adeguata comunicazione in dichiarazione dei redditi [prevedibilmente con riferimento ai periodi di imposta dal 2015 in poi per i soggetti solari];
  4. l’omissione o incompletezza della comunicazione rende applicabili le sanzioni tributarie sopra indicate.

Occorre altresì tener conto del fatto che il c.d. interpello disapplicativo non circoscriverà più la materia delle società non operative, che nel contesto del nuovo interpello sarà oggetto della diversa procedura «probatoria». Ciò equivale al riconoscimento che le disposizioni anti – snop non sono antielusive, limitandosi a precludere, in presenza di determinate circostanze [la non operatività della società, appunto], l’accesso al più favorevole regime di impresa.

Afferma relativamente alla categoria degli interpelli probatori la relazione di accompagnamento al decreto interpello che essa include diverse tipologie di istanze già conosciute dall’ordinamento, e consiste in una richiesta all’amministrazione finalizzata a ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente ai fini dell’adozione di un determinato regime fiscale.

La procedura consente la valutazione dei requisiti di accesso a determinati regimi fiscali, con formula molto ampia, anticipando l’attività che ordinariamente l’amministrazione svolge in sede di accertamento (con più vasti poteri di acquisizione di dati ed elementi di prova).

Il riferimento all’accesso a un determinato regime fiscale va interpretato in senso ampio, come comprensivo dei casi in cui si tratti della non operatività di determinate limitazioni o regole speciali. Ecco quindi che talune tipologie di quesiti, che nel regime ante riforma rientravano tra gli interpelli «disapplicativi» (come accade, appunto, per le snop), vengono ora condotte al contesto «probatorio».

 

Il problema del termine

Come rilavato sopra [cfr. nota 6], la vigente normativa in materia di abuso del diritto – art. 10-bis, quinto comma, L. n. 212/2000 – fissa il termine ultimo per poter proporre istanza all’amministrazione finanziaria in corrispondenza della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima.

Si osserva che la posizione dell’amministrazione a partire dal 2010 [circolare n. 32/E/2010] prevedeva invece la presentazione delle istanze novanta o centoventi giorni prima della scadenza del termine ordinario per la presentazione dei dichiarativi, per poter lasciare agli uffici il tempo necessario a rendere la risposta.

Tale previsione non può essere per ora direttamente estesa alle altre forme di interpello: per gli interpelli disapplicativi infatti, in attesa dell’emanazione del decreto interpello, si applica ancora il D.M. n. 259/1998, per quanto previsto dall’art. 1, terzo comma, del D.Lgs. 5.8.2015, n. 128.

Per l’interpello ordinario, nonché per gli interpelli in materia di internazionalizzazioni, rimangono pure per ora in vigore le disposizioni secondarie che ne regolano la procedura.

Se questo rimarrà lo stato della normativa sugli interpelli, si immagina possibile una pronuncia in sede interpretativa che accogliendo l’indicazione del decreto abuso in senso garantista e nella prospettiva dell’omogeneizzazione estenda il principio anche alle altre procedure.

Inoltre, ma non si può esaurire l’argomento in questa sede, occorrerebbe raccordare il medesimo principio al nuovo ravvedimento lungo [come introdotto dalla legge di stabilità 2015 (L. 23.12.2014, n. 190)], che consente di intervenire sulle dichiarazioni fiscali entro il termine per l’attività di accertamento.

Gli interpelli internazionali

Il D.Lgs. 14.9.2015, n. 147 [Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle  imprese, c.d. decreto internazionalizzazioni], innova dal 2015 il regime di deducibilità dei costi previsto dall’art. 110, decimo comma, del TUIR:

  • stabilendo, quale regola generale, la deducibilità nel limite del valore normale del bene o servizio [art. 110, decimo comma];
  • consentendo al contribuente di dedurre l’eventuale eccedenza rispetto al valore normale fornendo la prova che le operazioni rispondono ad un effettivo interesse economico [art. 110, undicesimo comma].

Se il costo non eccede il valore normale l’impresa italiana, oltre a non operare alcuna variazione in aumento, non dovrebbe neppure essere tenuta a segnalare le spese in modo separato nel modello Unico.

I dividendi esteri

L’art. 3 del nuovo decreto – sostituendo il primo periodo dell’art. 47, quarto comma, del TUIR – ridisciplina il sistema di tassazione dei dividendi esteri provenienti da Stati con regime fiscale privilegiato.

Secondo le elaborazioni degli uffici studi parlamentari [Schema di D.Lgs. n. 161 (artt. 1 e 12, L. 23/2014) – schede n. 165 dell’11.5.2015 – Camera dei deputati]:

  • verranno sottoposti integralmente a tassazione i soli utili provenienti da società residenti in paradisi fiscali relativi al possesso di partecipazioni dirette in tali società, o di partecipazioni di controllo in altre società intermedie residenti all’estero, che conseguono utili dalla partecipazione in società residenti in Stati o territori a regime privilegiato, e nei limiti di tali utili;
  • se si dimostrerà che la società o l’ente non residente da cui provengono gli utili svolge un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento («prima esimente»), si riconoscerà al soggetto controllante residente in Italia, ovvero alle sue controllate residenti che percepiscono gli utili, un credito di imposta in ragione delle imposte assolte dalla società partecipata sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili;
  • per disapplicare la norma che prevede l’imposizione integrale degli utili e delle plusvalenze provenienti da società ed enti localizzati in Stati o territori black list, il soggetto / socio residente in Italia dovrà dimostrare che dal possesso delle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata, anche mediante la presentazione di apposito interpello;
  • viene punita con una sanzione amministrativa pecuniaria la mancata indicazione in dichiarazione di redditi, di dividendi e plusvalenze relativi a partecipazioni in imprese ed enti esteri siti in paesi e territori a fiscalità privilegiata [la sanzione è pari al 10% dei proventi non indicati, con un minimo di 000 e un massimo di 50.000 euro].

Per ovviare agli effetti distorsivi derivanti, in termini di doppia imposizione, dalle imposte estere assolte in relazione agli utili rimpatriati (e quindi per evitare – in capo al socio italiano – un effetto più svantaggioso rispetto a quello della tassazione per trasparenza del reddito della società CFC), è stato previsto il credito di imposta nei modi dell’art. 165 del Testo Unico, sugli utili percepiti e sulle plusvalenze realizzate. Detto credito spetta al socio pro quota, ossia in proporzione alla sua quota di partecipazione e al periodo di detenzione.

Quali saranno i regimi privilegiati?

Per Stati o territori a regime fiscale privilegiato, utili per individuare i criteri di tassazione degli utili, si intendono quelli inclusi nel provvedimento o nel decreto emanato ai sensi dell’articolo 167, quarto comma, del TUIR (come modificato e integrato dalla legge di stabilità 2015, legge n. 190 del 2014), e non più gli Stati o i territori non inclusi nelle white list (mai emanate) di cui all’art. 168-bis del TUIR.

Verranno quindi considerati privilegiati i soli regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreti del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti.

Il livello di tassazione viene considerato sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia se inferiore al 50% di quello nazionale.

Si considerano, in ogni caso, privilegiati i regimi fiscali speciali che consentono un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia, ancorché previsti da Stati o territori che applicano un regime generale di imposizione non inferiore a tale soglia percentuale. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate verrà fornito un elenco non tassativo dei regimi fiscali speciali.

Le previsioni in materia di plusvalenze

Il decreto internazionalizzazioni apporta modifiche anche all’art. 68 del TUIR, nella parte in cui esso disciplina la tassazione delle plusvalenze di fonte estera.

Coordinando la norma con quanto visto sopra per le CFC e per i dividendi, anche per le plusvalenze viene stabilito che sono «Stati o territori a regime fiscale privilegiato» quelli di cui al citato decreto ministeriale di futura emanazione.

Analogamente a quanto previsto per i dividendi, al fine di far valere l’intento non elusivo, si impone al socio residente in Italia che non ha presentato interpello o non ha ricevuto risposta favorevole l’obbligo di indicare la percezione di plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in imprese o enti esteri localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato nella dichiarazione dei redditi.

In caso di mancata o incompleta indicazione risulterà applicabile la sanzione amministrativa pari al 10% dei proventi dal soggetto residente non indicati, con un minimo di 1.000 e un massimo di 50.000 euro (ai sensi dell’art. 8, comma 3-ter, del D.Lgs. 18.11.1997, n. 471, introdotto dal terzo comma dell’articolo in esame).

In presenza della prima esimente, il credito di imposta ex art. 165 del TUIR verrà riconosciuto anche in ipotesi di plusvalenze estere black list, in proporzione delle partecipazioni cedute e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali plusvalenze.

Sempre secondo le schede di lettura parlamentari, le disposizioni dell’art. 3 in esame si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del testo normativo.

Le innovazioni riguardanti i costi black list

L’art 5 del decreto internazionalizzazioni modifica in più punti la vigente disciplina (contenuta prevalentemente nell’art. 110 del TUIR) dei costi black list.

Con una prima modifica si sostituisce integralmente il decimo comma dell’art. 110 del TUIR, che nella sua formulazione vigente non consente di dedurre le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese localizzate in Paesi black list.

Con queste modifiche viene consentita la deducibilità di tali spese entro il limite del valore normale dei beni e dei servizi acquistati in base ad operazioni che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati, individuati in ragione della mancanza di un adeguato scambio di informazioni con un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Una seconda modifica incide sull’undicesimo comma del medesimo art. 110, allo scopo di eliminare la condizione che subordinava la deducibilità di tali costi al fatto che l’impresa estera svolgesse prevalentemente una attività commerciale effettiva.

Gli stessi principi vengono estesi anche ai professionisti (nuovo comma 12-bis dell’art. 110).

Anche queste nuove norme relative alla deducibilità dei costi esteri risulteranno applicabili a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto.

Le novità sulle CFC

L’art. 8 del decreto legislativo interviene recando nuove disposizioni in materia di società controllate e collegate estere (CFC), contenute in particolare negli artt. 167 e 168 del TUIR.

In sintesi, oltre ad allineare la disciplina della tassazione per trasparenza alle nuove modalità di individuazione dei Paesi e dei territori considerati a fiscalità privilegiata, le norme in commento sostituiscono l’obbligo di interpello all’amministrazione finanziaria, ai fini della disapplicazione della disciplina CFC in caso di partecipazioni in imprese estere controllate, con la facoltà di interpello preventivo; salvi i casi in cui la disciplina CFC sia stata applicata ovvero non lo sia stata per effetto dell’ottenimento di una risposta favorevole all’interpello, il socio residente controllante deve comunque segnalare nella dichiarazione dei redditi la detenzione di partecipazioni estere.

Può osservarsi al riguardo che l’interpello CFC era fatto rientrare tra le varie forme di «interpello obbligatorio» enucleate dalla prassi interpretativa dell’Agenzia delle Entrate.

Più in dettaglio, si rammenta che il carattere obbligatorio dell’interpello CFC è stato affermato al paragrafo 8.2 della circolare n. 23/E del 26.5.2011, ove era richiamata la valenza generale delle istruzioni fornite in materia di interpello nella circolare n. 32/E del 201014.

Si rammenta a tale riguardo che taluni interpelli erano ritenuti obbligatori in quanto:

  • finalizzati all’ottenimento «di un parere favorevole all’accesso ad un regime derogatorio (in talune ipotesi anche agevolativo) rispetto a quello legale, normalmente applicabile»
  • resi necessari dall’esigenza «di consentire all’amministrazione finanziaria un monitoraggio preventivo in merito a particolari situazioni considerate dal legislatore potenzialmente elusive.

In generale, gli interpelli stanno per subire sostanziali modificazioni per effetto del parallelo schema di decreto legislativo sull’abuso del diritto.

Vengono inoltre innovate le disposizioni in materia di sanzioni amministrative tributarie, prevedendo l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al 10% del reddito conseguito dalla CFC e imputabile nel periodo d’imposta, anche solo teoricamente, al soggetto residente in proporzione alla partecipazione detenuta, con un minimo di 1.000 euro ed un massimo di 50.000 euro.

 

13 ottobre 2015

Fabio Carrirolo

 

NOTE

1 Si ritiene che questa precisazione possa riferirsi ad esempio ai c.d. schemi circolari, nei quali diverse operazioni vengono poste in essere senza sostanzialmente mutare la situazione di partenza, e più in generale a tutte le ipotesi in cui il contribuente ponga deliberatamente in essere operazioni civilisticamente fondate ma prive di efficacia economica.

2 Il criterio della non conformità a normali logiche di mercato appare contiguo rispetto alle varie considerazioni spesso trasfuse in verbali e accertamenti, ed esaminate dalle Corti, relativamente al comportamento economico o antieconomico dell’impresa. Chiaramente nel nuovo contesto i soggetti preposti al controllo dovranno usare molta cautela in quanto spinti a verificare il carattere «extrafiscale» più che «validamente economico» dell’operazione, come avveniva in precedenza.

3 Ancora ardua risulterà, come in passato, la valutazione relativa a principi e a finalità delle norme più che a disposizioni incardinate nel diritto positivo. La possibilità di sindacare la rispondenza al contenuto implicito (non scritto) delle disposizioni normative presuppone infatti poteri e competenze di tipo ermeneutico che tradizionalmente fuoriescono dall’ambito di lavoro di una normale amministrazione pubblica.

4 Le valide ragioni extrafiscali non marginali sono presumibilmente sempre riferite al singolo contribuente, ossia all’utilità dell’impresa. Occorrerà capire cosa accade se l’attività economica coinvolge più soggetti, come ad esempio accade nei contesti di gruppo, formalizzati o meno, in presenza o meno di istituti come il consolidato fiscale e la liquidazione IVA di gruppo.

5 Non si inibisce quindi la scelta tra ipotesi come – ad esempio – la liquidazione e la fusione per incorporazione della partecipata.

6 Il contribuente può proporre interpello secondo le modalità di cui all’art. 11 dello Statuto: ciò significa che anche in materia di antiabuso si dovrà interpellare la competente direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate, ovvero – nel caso di contribuenti di grandi dimensioni, cioè al di sopra dei 100 milioni di ricavi / volume d’affari – la direzione centrale Normativa, attendendo risposta entro 120 giorni salva l’esigenza di integrazione istruttoria e con la possibilità del silenzio-assenso in caso di inerzia dell’amministrazione. Tale interpello, è bene ricordarlo, risulta più solido rispetto al precedente interpello ex art. 21 della L. n. 413/1991, in quanto rende invalidi gli eventuali accertamenti difformi. Qui viene nettamente superata anche l’impostazione assunta in via interpretativa dalla circolare n. 32/E del 14.6.2010, secondo la quale la preventività dell’istanza doveva intendersi rispettata se l’istanza era presentata almeno centoventi giorni (interpello ordinario), ovvero novanta giorni (interpelli disapplicativi, come quelli in materia di società di comodo) prima della scadenza del termine ordinario fissato per la presentazione della dichiarazione.

7 Queste previsioni di tipo procedurale sono sovrapponibili a quanto precedentemente previsto nella vigenza dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.

8 Queste previsioni sono formulate in modo un po’ contraddittorio, in quanto stabiliscono che: a) l’amministrazione notifica la richiesta di chiarimenti entro la scadenza del termine per la notifica dell’atto impositivo; b) il contribuente deve rispondere entro 60 giorni; c) tra il ricevimento delle precisazioni, ovvero l’inutile decorso dei 60 giorni, e la scadenza del termine per la notifica dell’atto impositivo passano non meno di 60 ulteriori giorni; d) se però ne passano di meno, il termine di scadenza per la notificazione dell’accertamento è automaticamente prorogato. è chiaro che la previsione dei 60 giorni (c) tra la risposta del contribuente (b) e la scadenza ordinaria per l’accertamento non ha molto senso.

9 La «supermotivazione» specifica era già prevista nel contesto dell’accertamento antielusivo ex art. 37- bis del D.P.R. n. 600/1973.

10 Questo comma precisa chiaramente che l’accertamento antiabuso può essere legittimamente attivato solamente previa dimostrazione che il comportamento del contribuente pone in essere un’operazione priva di sostanza economica (non giustificata da ragioni extrafiscali non marginali) per ottenere vantaggi fiscali indebiti.

11 Questa previsione rafforza quanto già detto stabilendo che il sindacato antiabuso è meramente residuale, e non può essere attivato dall’amministrazione in presenza di disposizioni normative che legittimano un diverso intervento in sede di accertamento.

12 Molto importante questo comma, che mette la parola fine, nella vigenza della nuova normativa, agli orientamenti precedentemente formatisi circa la possibilità di sanzionare penalmente i comportamenti elusivi. I quali, è bene ricordarlo, non hanno mai comportato la diretta violazione di norme.

13 Ciò comporta, chiaramente, l’invalidità di eventuali accertamenti difformi che giungessero medio tempore, e/o la necessità di rettificare le attività in corso da parte dell’amministrazione finanziaria.

14 Anche la circolare n. 51/E del 6.10.2010 (paragrafo 6), richiamando la precedente circolare n. 32/E del 14.6.2010, afferma che «l’interpello CFC rule si caratterizza per l’obbligatorietà della presentazione della relativa istanza ai fini dell’ottenimento del parere favorevole all’accesso al regime derogatorio rispetto a quello legale, normalmente applicabile. L’obbligo di presentazione dell’istanza previsto dalla normativa di riferimento, risponde peraltro all’esigenza di consentire all’Amministrazione finanziaria un monitoraggio preventivo in merito a particolari situazioni considerate dal legislatore potenzialmente elusive».

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