L’IVA nell’attività dei Compro Oro. Regime del margine e reverse charge

La gestione del calcolo dell’IVA e dei relativi adempimenti per le imprese Compro Oro è particolarmente complessa: pubblichiamo una guida di 19 pagine che analizza con particolare attenzione le problematiche che nascono dall’applicazione del regime del margine e del reverse charge.

L’IVA nell’attività dei Compro oro

profili contabili dei compro oroApprofondimento  dedicato all’imposta sul valore aggiunto in cui risiedono la maggior parte dei problemi interpretativi dell’attività di Compro oro.

L’imposta sul valore aggiunto assume rilievo nell’acquisto di oro da privati presso operatori professionali, tra cui anche i Compro oro, ma non nei trasferimenti tra privati, per carenza del requisito soggettivo di cui agli artt. 4 e 5 del D.P.R. n. 633/1972.

La normativa fiscale esenta da IVA l’oro da investimento, con definizione pressoché identica alla L. 17 gennaio 2000, n. 7.

Infatti, il D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, all’art. 10, comma 1, n. 11, come modificato dall’art. 3 della stessa L. n. 7/2000, dispone che sono esenti dall’imposta:

“Gli Stati membri esentano dall’IVA la cessione, l’acquisto intracomunitario e l’importazione di oro da investimento, compreso l’oro da investimento rappresentato da certificati in oro, allocato o inallocato, oppure scambiato su conti metallo e inclusi, in particolare, i prestiti e gli ‘swap’ sull’oro che comportano un diritto di proprietà o un credito in riferimento ad oro da investimento, nonché le operazioni aventi ad oggetto l’oro da investimento consistenti in contratti ‘future’ e contratti ‘forward’ che comportano il trasferimento di un diritto di proprietà o di un credito in riferimento ad oro da investimento”.

Interpretando l’art. 10 del D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, si comprende la chiara scelta da parte del legislatore di considerare l’oro da investimento come capitale e conseguentemente considerarlo alla stregua di un prodotto finanziario qualora abbia i requisiti di peso, purezza e forma, esentando da IVA qualsiasi transazione che concerna tale tipologia.

In particolare, sono esentate da IVA le cessioni di:

  1. oro da investimento fisico;
  2. oro rappresentato da certificati in oro allocato;
  3. oro rappresentato da certificati in oro non allocato;
  4. oro su conti metallo (funzione monetaria attratta dalla funzione di capitale a fini IVA);
  5. altre operazioni finanziarie in metallo (riferimento all’art. 67 del TUIR, lettera c-ter), che deve essere interpretato alla luce dell’art. 346 della direttiva UE come parte residuale che emerge dal dato letterale di: “inclusi, in particolare, i prestiti e gli ‘swap’ sull’oro che comportano un diritto di proprietà o un credito in riferimento ad oro da investimento, nonché le operazioni aventi ad oggetto l’oro da investimento consistenti in contratti ‘future’ e contratti ‘forward’ che comportano il trasferimento di un diritto di proprietà o di un credito in riferimento ad oro da investimento”, comprendendo in tal modo qualsiasi operazione finanziaria in oro da investimento.

L’oro che non è qualificato come da investimento (oro industriale e oro lavorato) sconta il normale regime IVA, con l’aliquota ordinaria (21% in Italia), essendo la norma del reverse charge
prevista solo per le operazioni con soggetti passivi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto 1.

In caso di acquisto di metallo all’estero, assume rilievo l’eventuale importazione da paesi extra UE, normata dall’art. 68, comma 1, lettera c), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e oggetto di chiarimenti da parte della Circolare Min. Fin. del 15 febbraio 2000, n. 24/D/318, che prevede la non soggezione all’imposta sul valore aggiunto di importazione definitiva di oro da investimento di cui all’art. 10, n. 11), a condizione che i requisiti risultino da conforme attestazione resa, in sede di dichiarazione doganale, dal soggetto che effettua l’operazione.

La circolare chiarisce come nel caso di importazione di oro industriale l’imposta sul valore aggiunto va corrisposta in dogana, non rendendosi applicabili le particolari modalità di assolvimento del tributo previste, per i soggetti passivi (reverse charge).

Orbene, l’art. 42 della Legge 21 novembre 2000, n. 342 ha stabilito che il regime di esenzione applicabile è quello dell’art. 10, comma 1, n. 11), del D.P.R. n. 633/1972 consentendo, comunque ai soggetti che producono oro da investimento o che trasformano oro in oro da investimento di poter optare per l’applicazione dell’imposta, dandone comunicazione in sede di dichiarazione annuale, come precisato dalla C.M. n. 247/E del 29 dicembre 1999.

In caso di opzione, però, per quanto riguarda la fatturazione, valgono regole particolari.

Infatti per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’art. 10, n. 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi in caso di applicazione dell’IVA, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato.

Pertanto, se l’acquirente è soggetto ad IVA in Italia, la fattura è emessa dal cedente ma senza addebito d’imposta e con l’indicazione dell’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 (reverse charge). In questi casi la fattura deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro 15 giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese.

Lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro degli acquisti.

Va, inoltre, precisato che l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 28 novembre 2002, n. 375/E ha chiarito che anche nel caso di rottami di gioielli d’oro, se quest’ultimi sono destinati ad essere sottoposti al procedimento di fusione e successiva affinazione chimica per il recupero del materiale prezioso, va applicata l’IVA con la particolare procedura dell’autofattura prevista dall’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 (reverse charge). Si fa però presente che l’acquisto di rottami d’oro – se non occasionale – è possibile solo da parte di operatori professionali che hanno l’autorizzazione della Banca d’Italia e non è consentita ai Compro oro.

La disciplina IVA applicabile alle transazioni commerciali di oro 

Come visto, dal punto di vista della tassazione in materia di imposta sul valore aggiunto l’art. 10, comma 1, 11), del D.P.R. n. 633/1972 ha previsto un generale regime di esenzione per le cessioni e le relative intermediazioni che hanno per oggetto l’oro da investimento.

Tuttavia, i soggetti che producono oro da investimento o che trasformano la materia aurifera in oro da investimento oppure che lo commercializzano hanno, comunque, la possibilità di optare per il regime di imponibilità secondo il meccanismo del reverse charge di cui all’art. 17, comma 5, del decreto IVA.

In sostanza, il cessionario soggetto passivo diventa obbligato all’integrazione del documento ricevuto dal cedente e a effettuare la doppia annotazione nei registri IVA evitando in via generale la formazione di crediti d’imposta. Se il cedente ha optato per l’applicazione dell’imposta in luogo del regime di esenzione, analoga opzione può essere esercitata per le relative prestazioni di intermediazione 2.

Discorso diverso, invece, deve essere fatto in relazione alle cessioni di oro non qualificabili come riserva di valore ma bensì come industriale effettuate nei confronti di soggetti passivi.

Queste ultime, infatti, ai fini IVA, sono sempre operazioni imponibili con l’unica particolarità che, anche in questo caso, il debitore dell’imposta risulterà esclusivamente il cessionario per mezzo dell’applicazione del medesimo meccanismo del reverse charge appena descritto 3.

Infine, per quanto riguarda le cessioni di prodotti d’oro finiti nonché per le cessioni di oro industriale effettuate nei confronti di privati è riservato il trattamento di imponibilità secondo le regole ordinarie oppure con il regime del margine di cui agli artt. 36 e seguenti del D.L. n. 41 del 1995 al ricorrere di tutti i presupposti al riguardo previsti.

Il regime ordinario IVA non fa eccezioni rispetto all’attività dei compro oro. All’acquisto da privati, tali commercianti rilasciano uno scontrino o una ricevuta in duplice copia di cui una da consegnare al privato alienante e l’altra da conservare e registrare. I dati della compravendita vanno annotati nel registro di Pubblica Sicurezza, ma questo – non essendo previsto dalle norme fiscali, non sempre è accettato dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza.

Pertanto è utile istituire un registro di carico e scarico ove annotare la data di effettuazione dell’acquisto, l’identificazione del privato venditore, la descrizione analitica (natura, qualità e quantità) dei beni usati acquistati (sarebbe bene fare anche una foto) ed il prezzo pattuito. Tale registro – ai sensi dell’art. 53 del D.P.R. n. 633/1972) assolve anche la funzione di vincere la presunzione di acquisti senza fattura oltre che come documento per la deducibilità del costo d’acquisto.

Nel caso di acquisto da soggetto passivo IVA (ad esempio altro negozio di compro oro) in regime ordinario, la fattura che questi deve rilasciare la commerciante sempre di oro usato va annotata nel registro degli acquisti.

Come già visto in altra parte del presente capitolo la vendita dei beni usati precedentemente acquisiti è soggetta ad IVA all’aliquota del 21%. Se la vendita è fatta nei confronti dei privati, però, essendo il compro oro un commerciante al minuto autorizzato in un locale aperto al pubblico ne deriva che in alternativa alla fattura è possibile emettere anche un documento di certificazione del corrispettivo diverso (ad es. scontrino). Infatti, ai sensi dell’art. 22 del D.P.R. n. 633/1972, l’emissione della fattura è obbligatoria solo in caso di richiesta del cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione con annotazione sul registro dei corrispettivi.

Oltre a ciò è bene riportare la vendita anche nel registro di carico e scarico di cui sopra indicando gli estremi dell’acquirente, i riferimenti dell’acquisto dei beni usati venduti ed il prezzo incassato.

Se, invece, la vendita è fatta nei confronti di soggetti passivi IVA occorre emettere fattura regolarmente assoggettata ad IVA ordinaria ed annotare l’operazione nel relativo registro ai sensi dell’art. 23 del D.P.R. n. 633/1972.

Nel caso di emissione di fattura occorre evidenziare sulla stessa l’indicazione, oltre al presunto titolo e peso che si tratta di oreficeria usata.

Per quanto attiene al lato del diritto alla detrazione dell’IVA, nonostante la regola generale non preveda la possibilità di detrarre l’imposta assolta sugli acquisti afferenti operazioni esenti e quindi per quelle relative all’oro da investimento, l’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 indica espressamente alcune cessioni e prestazioni effettuate senza applicazione dell’imposta per le quali è consentito il diritto alla detrazione.

Nello specifico, a seconda che il soggetto interessato produca o trasformi oro da investimento ovvero provveda unicamente al commercio dello stesso, avrà rispettivamente la possibilità di detrarre integralmente l’IVA assolta su tutti gli acquisti effettuati 4 oppure solo su una parte degli stessi.

Ai sensi dell’art. 19, comma 5-bis, infatti, per quest’ultima categoria di operatori economici è consentito, esclusivamente, il recupero dell’IVA assolta per l’acquisto di oro da investimento effettuato presso soggetti che hanno optano per l’applicazione dell’imposta, per l’acquisto con IVA di oro industriale destinato ad essere trasformato in oro da investimento nonché per tutti i servizi connessi alla lavorazione del materiale aurifero, compreso anche quello da investimento.

Criteri d’imponibilità delle cessioni dei Compro oro

I negozi Compro oro, non qualificandosi come operatori professionali del settore, in quanto normalmente non attivi nel campo del commercio dell’oro da investimento o di quello destinato all’uso industriale svolgono la loro attività acquistando prodotti in oro, spesso da privati, e rivendendoli alle fonderie e ad altri soggetti autorizzati senza ulteriore trasformazione.

In tal modo la loro operatività si viene a configurare come un’attività di commercio di prodotti finiti alla quale dovrà essere applicata l’imposta sul valore aggiunto secondo le regole ordinarie ovvero mediante lo speciale regime del margine ove ne ricorrano i presupposti. In assenza sempre della specifica qualificazione professionale e dei requisiti previsti per legge, i negozi di Compro oro non risultano, altresì, abilitati all’acquisto di oggetti preziosi avariati e in quanto tali, non suscettibili, già dal momento dell’acquisto, di ulteriore possibile utilizzo da parte del consumatore finale. Essi, pertanto, non possono autonomamente procedere ad acquistare il cosiddetto rottame di materiale d’oro, ossia quel materiale privo di un qualsiasi utilizzo finale se non previa fusione e successiva lavorazione 5.

Orbene, a fronte dell’elevato giro d’affari movimentato dai predetti esercizi commerciali, e attesa la particolare disciplina IVA agli stessi applicabile, l’Amministrazione finanziaria ha avviato recentemente un’attenta attività di controllo finalizzata a verificare, volta per volta, il rispetto della specifica normativa in tema di imposta sul valore aggiunto.

In particolare, oggetto di approfondimento da parte dell’Agenzia della Entrate sono risultate le cessioni effettuate dai negozi di Compro oro nei confronti delle fonderie, molte delle quali, seppur aventi quale oggetto di fatturazione prodotti d’oro finiti o, comunque, non irrimediabilmente compromessi, sono risultate a volte fatturate mediante l’applicazione del meccanismo di cui all’art. 17, comma 5, del decreto IVA – reverse charge – invece del regime del margine di cui agli artt. 36 e ss. del D.L. n. 41 del 1995, tipico dei beni usati.

Ebbene, sul punto occorre evidenziare come la stessa Amministrazione finanziaria, seppur in due distinti pareri forniti rispettivamente all’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Macerata e all’associazione orafa lombarda 6, ha avuto modo di precisare come la cessione di oggetti preziosi usati d’oro, ceduti a soggetti che effettuano esclusivamente lavorazione e non anche commercio di prodotti finiti, anche se sotto il profilo merceologico non può essere qualificata come una vendita di oro industriale nell’accezione delineata dalla L. n. 7 del 17 gennaio 2000, può essere assimilata, ai fini IVA, a una cessione di quest’ultimo prodotto proprio in virtù dell’univoca destinazione del metallo prezioso alla lavorazione da parte del cessionario.

Tale assunto trae origine da quanto previsto nella ris. n. 375/E del 2002 – riportata in uno dei successivi paragrafi – in base alla quale, nella nozione di materiale d’oro e di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi contenuta nell’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 cui è applicabile il meccanismo del reverse charge, si ritiene debba essere ricompreso anche l’oro nella sua funzione prevalentemente industriale, ossia di materia prima destinata alla lavorazione e ben distinta, quindi, da quella da utilizzare quale riserva di valore. Inoltre, come ancora precisato nella ris. 11 novembre 2005, n. 161 qualsiasi semilavorato è riconducibile, ai fini IVA, alla categoria dell’oro industriale quando è destinato per vocazione a un processo di lavorazione, e perciò, non risulta utilizzabile nell’ambito di una transazione a favore del consumo privato.

Quanto appena enunciato, seppur non perfettamente coincidente con quanto espresso nel documento della Banca d’Italia del 28 maggio 2010 risponde, d’altra parte, all’esigenza di uniformare, anche per motivi di cautela fiscale, il trattamento delle cessioni dell’oro destinato a successiva lavorazione.

In tal caso, quindi, anche se i materiali ceduti dai Compro oro non rientrano nella definizione di oro industriale soggetto a lavorazione, sono, comunque, soggetti, ai fini IVA, al regime fiscale proprio dei semilavorati in considerazione della destinazione degli stessi unicamente al ricondizionamento.

Affinché si verifichi tale situazione, tuttavia, è condizione necessaria che il cessionario non svolga alcuna ulteriore attività se non quella esclusiva di fusione e successiva affinazione chimica per il recupero del materiale prezioso contenuto nei beni acquistati.

Nel caso, infatti, in cui a tale attività si affianchi anche quella di commercializzazione di gioielli, non essendo più garantita l’univocità della destinazione del prodotto, il regime IVA applicabile a dette cessioni sarà quello previsto per lo speciale regime del margine di cui artt. 36 e ss. del D.L. n. 41 del 1995.

In assenza di una norma di prassi di carattere generale definitoria, si evidenzia come i pareri rilasciati dalle citate Direzioni regionali, che hanno consentito, seppur limitatamente al loro ambito di competenza, il raggiungimento di un regime fiscale omogeneo nello specifico settore, si configurino esclusivamente come “consulenze giuridiche” esterne di primo livello e, in quanto tali, inidonee a esplicare i loro effetti in ambito nazionale.

Le stesse, così definite ai sensi della circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 42/E del 5 agosto 2011, riguardano, infatti, l’interpretazione fornita dell’Amministrazione in relazione alle richieste di consulenza giuridica presentate dalle varie associazioni sindacali e di categoria e Ordini professionali che esprimono interessi diffusi nell’ambito della regione di appartenenza.

Come chiarito nella stessa circolare, inoltre, tali pareri, espressi a seguito di consulenza giuridica, non vincolano i soggetti il cui caso trova soluzione nell’interpretazione fornita dall’Agenzia ma lasciano al contribuente la facoltà di interpretare la norma anche in senso non conforme. Tuttavia, nei confronti di coloro che si adeguano all’interpretazione fornita, non sono irrogabili sanzioni, né richiesti interessi moratori, ai sensi dell’art. 10, comma 2, della L. n. 212/2000 7.

Risoluzione Agenzia Entrate del 28 novembre 2002, n. 375/E

 Nel presente paragrafo riportiamo l’istanza d’interpello, presentata ai sensi dell’art. 11 della Legge 27 luglio 2000, n.212, da una società che ha esposto il seguente quesito volto a conoscere l’esatta applicazione dell’art. 17, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell’art. 6, comma 8, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

L’attività della società istante, operatore professionale autorizzato all’esercizio del commercio in oro dall’Ufficio Italiano Cambi a norma della Legge 17 gennaio 2000, n. 7, consiste, tra l’altro, nell’acquisto di oggetti preziosi d’oro usati e/o avariati per la successiva affinazione e recupero del metallo prezioso ivi contenuto.

In particolare, a seguito dello sviluppo del mercato del cd. “Compro oro”, i commercianti all’ingrosso e/o al dettaglio di preziosi acquistano da privati oggetti d’oro e d’argento usati, per poi rivenderli, sotto forma di rottami di gioielli d’oro, verghe aurifere o, comunque, oggetti destinati alla fusione, a soggetti che operano nel settore dell’affinazione e del recupero dei metalli preziosi.

Tanto premesso la società chiede se sia possibile applicare ai suddetti acquisti il meccanismo del reverse charge di cui all’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633 (ossia l’emissione della fattura senza IVA da parte del commerciante e la successiva integrazione da parte della società acquirente), senza, per questo, incorrere nella previsione sanzionatoria di cui all’art. 6, comma 8, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (ricevimento di fatture d’acquisto prive dell’imposta).

La società istante ritiene di poter applicare lo speciale meccanismo del reverse charge previsto dall’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, per le cessioni di oro industriale, considerato che, nel caso di specie, il materiale d’oro usato ceduto dai commercianti presenta le medesime caratteristiche dell’oro industriale, non potendo essere utilizzato senza prima essere sottoposto ad una ulteriore lavorazione.

D’altronde, la società istante dichiara di non acquistare i prodotti ancora idonei ad essere venduti come merce finita, dato che opera esclusivamente nel settore del recupero di materiali preziosi e non svolge l’attività di commercializzazione di gioielli.

Per quanto sopra non si ravvisa alcun ostacolo al fatto che il venditore emetta la fattura senza imposta per certificare la cessione dei rottami d’oro alla società istante, e che dette fatture siano integrate dall’acquirente così come dispone il comma 5 dell’art. 17 del D.P.R. n. 633.

Secondo tale società, infatti, procedendo come sopra descritto, non si configura la violazione di cui all’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471 del 1997 (acquisto di beni con fattura irregolare), né si rende necessaria la regolarizzazione da parte del cessionario ed il conseguente versamento all’Erario dell’imposta non versata dal cedente, dovendosi considerare conformi alla legge le fatture d’acquisto ricevute senza applicazione dell’IVA.

L’Agenzia delle Entrate sottolinea come la Legge 17 gennaio 2000, n. 7, recante la nuova disciplina del mercato dell’oro, ha recepito le disposizioni della direttiva 98/80/CE del Consiglio, del 12 ottobre 1998, che prevede l’istituzione di un regime speciale IVA applicabile al commercio dell’oro.

In particolare le disposizioni di cui all’art. 1 della citata Legge n. 7 del 2000, definiscono il termine “oro” distinguendolo in due tipologie: oro da investimento ed oro diverso da quello da investimento o industriale.

Coerentemente con i principi stabiliti dalla predetta direttiva comunitaria è previsto, all’art. 3, il regime di esenzione dall’IVA per le cessioni di oro da investimento di cui all’art. 10, n. 11), del D.P.R. n. 633 del 1972, e l’ordinario regime d’imponibilità per le cessioni di oro diverso da quello da investimento o industriale. In tale ultima ipotesi l’imposta è assolta con il particolare meccanismo del cosiddetto reverse charge disciplinato dall’art. 17, comma 5, del citato D.P.R. n. 633, che pone a carico del cessionario, se soggetto passivo d’imposta residente nel territorio dello Stato, l’obbligo di corrispondere l’imposta per conto del cedente.

Ciò al solo fine di evitare agli operatori del settore l’onere finanziario derivante dal pagamento dell’imposta per rivalsa ai fornitori o in dogana su importi di consistente valore.

Il citato meccanismo, infatti, impone al cessionario l’obbligo di integrare la fattura emessa senza addebito dell’imposta con l’indicazione dell’aliquota e dell’imposta, nonché di annotarla nei registri delle fatture emesse o dei corrispettivi (art.   23 e 24 del D.P.R. n. 633 del 1972) entro il mese di ricevimento, ovvero anche successivamente, ma, comunque, entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese, e in quello degli acquisti (art. 25) per esercitare il diritto alla detrazione.

In tal modo l’imposta sugli acquisti, non anticipata in via di rivalsa al cedente, concorre, in ogni caso, alla liquidazione periodica dell’imposta del cessionario, e figura sia come imposta a debito sia come imposta a credito, salvo le ipotesi in cui esistono dei limiti all’esercizio del diritto alla detrazione 8.

Tanto premesso, l’Agenzia delle Entrate ritiene che è necessario chiarire se i rottami di oro ceduti alla società istante, rientrino o meno nella nozione di oro da investimento o in quella di materiale d’oro diverso da quello d’investimento, e se, in tale caso, ad essi sia applicabile il meccanismo del reverse charge.

In merito all’esatta nozione di “materiale d’oro” e di “prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi” contenuta nell’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633, cui è applicabile il meccanismo del reverse charge, come già chiarito in precedenza, si ritiene che con tale espressione il legislatore abbia inteso fare riferimento all’oro nella sua funzione prevalentemente industriale, ossia di materia prima destinata alla lavorazione, distinta, quindi, dall’oro da investimento di cui all’art. 1, comma1, lettera a) della Legge n. 7 del 2000.

L’Ufficio Italiano Cambi, a sua volta, è del parere che rientrano nella nozione di “materiale d’oro” tutte le forme di oro grezzo destinate ad una successiva lavorazione, e che la caratteristica di un “semilavorato” è costituita dall’essere un prodotto privo di uno specifico uso e funzione, e cioè dall’impossibilità di utilizzare ex se il materiale o la lega d’oro, essendo necessario un ulteriore stadio di lavorazione o trasformazione che ne consenta l’utilizzo da parte del consumatore finale.

Nel caso di specie, secondo quanto emerge dai dati dell’istanza d’interpello, i commercianti cedono alla società istante esclusivamente i rottami d’oro che non sono più idonei al consumo finale, mentre vendono direttamente ai consumatori finali gli oggetti preziosi non avariati ed in buono stato.

La scrivente ritiene, pertanto, che la predetta vendita di rottami di gioielli d’oro, in sé non suscettibili di utilizzazione da parte del consumatore finale, ad un soggetto che non li destina (né può destinarli) al consumo finale, ma li impiega in un processo intermedio di lavorazione e trasformazione, possa essere assimilata a cessione di materiale d’oro o semilavorato.

In conclusione, considerato che tale società, così come emerge dai dati contenuti nell’istanza, opera esclusivamente nel settore del recupero dei metalli preziosi e non svolge attività di commercializzazione di gioielli, l’imposta sugli acquisti di rottami di gioielli d’oro, destinati ad essere sottoposti al procedimento industriale di fusione e successiva affinazione chimica per il recupero del materiale prezioso ivi contenuto, può essere assolta mediante la particolare procedura di cui all’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, nel rispetto degli adempimenti ivi previsti, senza per questo incorrere nella violazione di cui all’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471 del 1997.

Tale risoluzione permette, quindi, di fare chiarezza sul comportamento che devono tenere i “Compro oro” quando alienano gli oggetti ricevuti da privati e pagati a vista.

Se gli oggetti sono suscettibili di essere commercializzati, in quanto non possono essere considerati “rottami” gli stessi devono essere fatturati secondo le regole ordinarie e, nello specifico, secondo il regime del margine che vedremo nel prossimo paragrafo.

Se, viceversa, gli oggetti ricevuti dai privati, non sono alienabili, in quanto deteriorati e, dunque, considerati rottami, gli stessi andranno alienati ad operatori professionali autorizzati all’esercizio del commercio in oro dall’Ufficio Italiano Cambi a norma della Legge 17 gennaio 2000, n. 7 attraverso il meccanismo del reverse charge.

Regime del margine 

Il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41 ha recepito la direttiva 14 febbraio 1994, n. 94/5/CE. Di conseguenza, dall’1° aprile 1995 è entrato in vigore il regime speciale IVA per il commercio di beni mobili usati, di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, acquistati presso privati in Italia o in altro Stato membro.

Sono interessati al regime speciale del margine i soggetti che esercitano il commercio di beni mobili usati, oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione:

  • indicati nella tabella allegata al D.L. 41/1995;
  • per i quali non sia stata operata la rivalsa dell’IVA all’atto dell’acquisto.

Nello specifico, tale regime si applica:

  • ai rivenditori al dettaglio, all’ingrosso, in forma ambulante che, per professione abituale, commerciano i beni sopra indicati, nonché alle imprese ed ai professionisti che ne effettuano occasionalmente la cessione;
  • alle agenzie di vendite all’asta, per le cessioni effettuate anche in esecuzione di rapporti di commissione o di rappresentanza di soggetti non operanti nell’esercizio d’impresa (o di arte e professione).

I soggetti che si avvalgono di regimi speciali IVA, quale il regime del margine, sono esclusi dalla fruizione del regime dei contribuenti minimi 9.

La disciplina del margine riguarda le operazioni di compravendita aventi per oggetto 10:

  • i beni mobili usati suscettibili di reimpiego nello stato originario o previa riparazione;
  • oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione, indicati nella tabella allegata al D.L. 41/1995.

L’ambito oggettivo relativo agli oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione è facilmente individuabile in quanto definito nell’allegato 1 della direttiva comunitaria integralmente riportata nella tabella allegata al D.L. n. 41/1995.

•  Acquisto da “privati”

I beni sopra indicati devono essere stati acquistati da “privati” in Italia o in altro Stato membro. Sono considerati “privati” anche:

  • i soggetti passivi che non hanno potuto detrarre l’IVA all’atto dell’acquisto o dell’importazione 11;
  • i soggetti che beneficiano, nel proprio Stato membro di appartenenza, del regime di franchigia previsto per le piccole imprese;
  • i soggetti che hanno assoggettato la cessione al regime del margine. L’IVA relativa alla rivendita si applica sul “margine”, ossia:
  • sulla differenza positiva tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto, aumentato delle spese di riparazione e accessorie (regime ordinario o analitico);
  • forfettariamente sul prezzo di vendita (regime forfetario o percentuale);
  • sulla differenza globale tra l’ammontare complessivo degli acquisti e delle cessioni effettuate nel periodo mensile o trimestrale di riferimento (regime globale).

Regime analitico

Il regime ordinario (o analitico) si applica:

  • a tutti i soggetti passivi che effettuano, con carattere abituale, cessioni di beni rientranti nell’ambito oggettivo di applicazione della disciplina del margine, salvo che abbiano optato per il regime IVA ordinario;
  • ai soggetti passivi, imprenditori e professionisti, che effettuano occasionalmente cessioni di beni rientranti nell’ambito oggettivo di applicazione della disciplina del margine, salvo che abbiano optato per il regime IVA ordinario;
  • ai rivenditori di oggetti d’arte, d’antiquariato o collezione, purché abbiano esercitato l’opzione per tale regime e purché tali beni siano stati:
  • importati da Paesi terzi;
  • ovvero, acquistati direttamente dall’autore o dai suoi eredi/legatari;
  • ai soggetti che rientrano nel regime globale, ma che hanno esercitato l’opzione per l’applicazione del regime ordinario (o analitico);
  • ai soggetti passivi che cedono un contratto di locazione finanziaria acquisito presso un privato o un soggetto passivo che non ha potuto detrarre l’imposta relativa al contratto stresso.

•  Opzione per il regime ordinario del margine

I rivenditori di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione che importano tali beni o li acquistano dall’autore stesso o dai suoi eredi/legatari e i soggetti che rientrano nel regime forfettario o globale del margine, ma che intendono optare per il regime ordinario del margine, devono darne comunicazione nella dichiarazione IVA relativa all’anno a decorrere dal quale il contribuente intende esercitare l’opzione.

La scelta è vincolante almeno per il biennio successivo all’anno in cui è stata esercitata l’opzione (primi tre anni) e perdura fino a revoca.

•  Base imponibile del regime ordinario del margine

 

L’IVA si applica sul margine di ogni singola cessione:

margine = prezzo di vendita – prezzo di acquisto aumentato delle spese di riparazione e delle spese accessorie

Se il margine è di segno positivo, l’imposta dovuta deve essere scorporata dal margine realizzato.

Qualora il margine risultasse negativo non è dovuta alcuna imposta; tale differenza non è però deducibile dalle altre operazioni con margine positivo.

I costi riferibili all’acquisto del bene e alle prestazioni di riparazione, nonché a quelle accessorie, devono essere computati al lordo dell’IVA. Tali costi devono avere una specifica inerenza alle fasi di acquisto del bene (es. oneri tributari, spese di intermediazione, di trasporto, ecc.) o di riattazione dello stesso (es. spese di riparazione e restauro).

•  Spese generali e spese di vendita

Ai fini della determinazione del margine, non si considerano le spese generali e le spese di vendita, le quali legittimano l’esercizio del diritto di detrazione della relativa imposta secondo le regole generali contenute nel D.P.R. n. 633/1972.

•  Indetraibilità dell’IVA sugli acquisti

È indetraibile l’IVA sugli acquisti, anche intracomunitari, e sulle importazioni dei beni mobili usati, oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione, nonché sulle riparazioni e sulle spese accessorie.

Se il rivenditore, al momento della cessione, ha scelto di determinare l’IVA nei modi ordinari è consentita la detrazione dell’imposta eventualmente assolta all’atto dell’acquisto/importazione, nonché quella sulle relative spese di riparazione e accessorie, previa registrazione sul registro degli acquisti delle fatture o bollette doganali.

La Corte di Giustizia europea 12, confermando le conclusioni presentate dall’Avvocato generale il 24 maggio 2012, ha affermato che sono esclusi dal regime del margine quei soggetti che hanno detratto in misura parziale l’imposta sui beni acquistati.

•  Adempimenti

I soggetti che applicano il regime ordinario del margine devono:

  • emettere fattura (se obbligati o se richiesta) per le cessioni dei beni in oggetto, indicando il corrispettivo senza distinguere l’imposta dal corrispettivo pattuito ed indicando che si tratta di “operazione soggetta al regime del margine di cui all’art. 36 del D.L. n. 41/1995 e successive modificazioni” . La finalità di tale divieto è duplice, in quanto, da un lato, si vuole evitare il rischio che il cessionario detragga l’IVA e, dall’altro, s’intende garantire la riservatezza commerciale, impendendo al cessionario di conoscere il ricarico praticato dal

Dal 1° gennaio 2013 la fattura deve riportare “Regime del margine-beni usati”;

  • annotare nel registro di carico e scarico dei beni usati, tenuto a norma dell’art. 39 del P.R. n. 633/1972:
    1. gli acquisti, comprensivi delle spese di riparazione ed accessorie, entro 15 giorni dall’acquisto e, comunque, non oltre la data di registrazione della corrispondente cessione;
    2. le cessioni, entro il giorno successivo non festivo a quello di effettuazione dell’operazione;

Data di acquisto Natura-qualità dei beni

Quantità Prezzo di acquisto                         (a)

Spese di riparazione e accessorie                 (b)

Data di vendita Prezzo di vendita                 (c)

Margine                                                      [c – (a + b)

  • rilevare i singoli margini positivi entro i termini delle liquidazioni periodiche;
  • rilevare la sommatoria dei margini positivi, distinguendoli per aliquote;
  • annotare la sommatoria dei margini positivi nel registro dei corrispettivi o in quello delle fatture emesse;
  • effettuare le liquidazioni IVA periodiche;
  • effettuare i versamenti periodici IVA;
  • riportare nella dichiarazione IVA annuale l’ammontare degli acquisti effettuati in applicazione del regime del margine, annotati nell’anno di riferimento nel registro di cui all’art. 38 del D.L. n. 41/1995.

Il regime del margine nelle operazioni con l’estero va analizzato distinguendo tra:

  • operazioni con Paesi “terzi”;
  • operazioni con Paesi membri.

I beni importati da Paesi “terzi”, assolvendo l’IVA in dogana, restano estranei rispetto all’ambito applicativo del regime del margine.

Fanno eccezione, ai sensi dell’art. 36 comma 2, del D.L. 41/1995, gli oggetti d’arte, di antiquariato e da collezione importati da soggetti rivenditori che hanno optato per l’applicazione del regime del margine.

Il margine è non imponibile ai fini IVA per le cessioni effettuate ai sensi degli artt. 8, 8-bis, 38-quater, 71 e 72 del D.P.R. 633/1972, riguardanti, rispettivamente:

  • le cessioni all’esportazione;
  • le operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione;
  • le cessioni nei confronti dei viaggiatori extra-comunitari;
  • le operazioni con la Città del Vaticano e con la Repubblica di San Marino;
  • le operazioni con organismi comunitari.

Ai fini del conteggio del plafond IVA e della determinazione dello status di esportatore abituale, si tiene conto del margine, al netto dell’IVA relativa ai beni ceduti ai sensi degli artt. 8, 8-bis, 71 e 72 del D.P.R. n. 633/1972.

Non si tiene, invece, conto del margine relativo alle cessioni effettuate ai sensi dell’art. 38-quater del D.P.R. n. 633/1972 13.

Ai fini della determinazione della qualifica di esportatore abituale, il volume d’affari è pari all’ammontare del margine, al netto dell’IVA.

Gli acquisti e le cessioni di beni usati tra soggetti passivi IVA residenti in diversi Stati membri non sono considerati operazioni intracomunitarie e, quindi, sono assoggettate a IVA nel Paese del cedente.

Qualora il cedente non applichi il regime del margine per effetto dell’opzione di cui all’art. 36, comma 3, del

D.L. n. 41/1995, dette operazioni devono essere assoggettate al regime degli scambi intracomunitari di cui al

D.L. n. 331/1993, sempreché il cessionario sia soggetto IVA nel proprio Paese di residenza.

Sebbene gli scambi effettuati, in applicazione del regime del margine, tra soggetti passivi residenti in Stati membri diversi, non siano considerati operazioni intracomunitarie, occorre presentare, ai soli fini statistici, i modelli INTRASTAT.

Tale obbligo sussiste esclusivamente nei confronti dei soggetti IVA tenuti alla compilazione degli elenchi riepilogativi con cadenza mensile 14.

Il volume d’affari di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972 è pari all’ammontare totale dei corrispettivi, al netto dell’IVA relativa al margine.

Regime globale del margine

Il regime globale rappresenta l’altra alternativa che i compro oro possono utilizzare, in quanto destinato, tra l’altro, a beni acquistati per masse come compendio unitario e con prezzo indistinto.

I soggetti che effettuano occasionalmente cessioni di beni usati, oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, in quanto non oggetto dell’attività propria di commercio, sono esclusi dalla determinazione del margine globale. Detti soggetti possono, infatti, applicare solo il regime ordinario (o analitico) del margine, con eventuale opzione per l’IVA “normale”, ovvero il regime forfetario, se ne ricorrono le condizioni.

I soggetti rientranti nel regime globale del margine possono preventivamente optare per l’applicazione del regime ordinario del margine. Tale opzione si riferisce all’intera attività e non a singole operazioni.

Chi applica il regime globale del margine non può optare per il regime normale IVA (di cui ai Titoli I e II del

D.P.R. n. 633/1972); chi vuole farlo deve, pertanto, prima optare per il regime ordinario (o analitico) del margine.

L’IVA si applica sul margine, determinato globalmente:

margine globale = vendite complessive – acquisti complessivi aumentati delle spese di ripartizione e accessorie

 

Se il margine globale del periodo è negativo, in quanto l’ammontare degli acquisti supera l’ammontare delle vendite, l’eccedenza del margine può essere computata nella liquidazione del periodo successivo; si tratta di un credito di margine (e non d’imposta).

Nel caso in cui emerga un margine globale positivo, ma, in sede di dichiarazione IVA annuale, l’ammontare degli acquisti superi quello delle vendite, con la conseguente evidenziazione di un margine negativo, i versamenti periodici provvisoriamente eseguiti costituiscono un credito d’imposta 15.

Il costo di acquisto va rettificato:

  • in caso di cessioni all’esportazione (o di cessioni ad esse assimilate) non imponibili IVA ai sensi degli artt. 8, 8-bis , 38-quater, 71 e 72 del DP.R. 633/1972; il costo di acquisto va rettificato nel periodo in cui l’esportazione viene effettuata;
  • se i beni in oggetto sono ceduti quale rottame e, quindi, senza applicazione d’imposta come previsto dall’art. 74, commi 7 e 8, del P.R. n. 633/1972.

Nel caso in cui il contribuente abbia realizzato, nelle liquidazioni periodiche dell’anno, un margine positivo, versando la relativa imposta, ma nell’ultima liquidazione periodica (o nelle ultime), abbia evidenziato un margine negativo, ai fini della determinazione del margine complessivo lordo (o del margine negativo da riportare nell’anno successivo), occorre fare riferimento alle risultanze contabili dell’intero anno 16.

In pratica, il margine negativo da riportare nell’anno successivo non è quello che emerge dall’ultima liquidazione periodica, bensì quello risultante dalla riliquidazione, effettuata su base annua, avvalendosi del prospetto B per la compilazione dei quadri della dichiarazione IVA annuale.

È indetraibile l’IVA:

  • sugli acquisti, anche intracomunitari, e sulle importazioni dei beni mobili usati, oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione;
  • sulle riparazioni e sulle spese

I soggetti che applicano il regime globale del margine devono:

  • emettere fattura (se obbligati o se richiesta) per le cessioni dei beni in oggetto, indicando il corrispettivo, senza distinguere separatamente l’imposta e riportando la dicitura che si tratta di “operazione soggetta al regime del margine di cui all’art. 36 del L. n. 41/1995 e successive modificazioni ”;
  • istituire due appositi registri speciali, di cui uno per gli acquisti e l’altro per le vendite;
  • annotare nel registro degli acquisti, entro 15 giorni, e, comunque, non oltre la data della rivendita, natura, qualità, quantità e prezzo di acquisto (unitario o per massa) degli acquisti stessi; le spese di riparazione e accessorie possono essere registrate anche successivamente all’annotazione di rivendita ma comunque non oltre 15 giorni dal ricevimento della fattura;
  • annotare nel registro delle vendite, entro il giorno successivo non festivo, natura, qualità, quantità e corrispettivi, comprensivi d’imposta, delle cessioni;
  • determinare il margine globale;
  • annotare sul registro speciale delle cessioni l’imposta dovuta in relazione alle operazioni soggette al regime globale del margine;
  • annotare, sia pure soltanto per maggiore chiarezza, il margine globale del periodo sul registro dei corrispettivi o delle fatture emesse distintamente per aliquote (tale adempimento non è previsto espressamente dall’art. 38, comma 4, del L. n. 41/1995);
  • operare le liquidazioni IVA periodiche;
  • operare i versamenti periodici;
  • riportare nel rigo VF13 della dichiarazione IVA annuale l’ammontare degli acquisti effettuati in applicazione del regime del margine, annotati nell’anno di riferimento nel registro di cui all’art. 38 del L. 41/1995.
    Nel rigo VF30 deve essere barrata la casella “2” (beni usati), per l’indicazione del metodo utilizzato per la determinazione dell’IVA ammessa in detrazione, mentre nel rigo VF57 va indicata l’imposta detraibile così determinata.

L’IVA dovuta in relazione alle operazioni soggette al regime globale del margine viene determinata mediante il procedimento di scorporo dal margine.

Qualora i beni rientranti nel regime globale del margine siano soggetti ad aliquote diverse, occorre ripartire il margine tra le aliquote applicabili in base al rapporto tra i corrispettivi assoggettati alla medesima aliquota e il totale dei corrispettivi annotati nel periodo.

Reverse charge

Le procedure di autofatturazione e di inversione contabile (o “reverse charge ”) sono disciplinate, nell’ambito del D.P.R. n. 633/1972, dall’art. 17 con riferimento ad alcune operazioni, interne e con l’estero, specificamente individuate.

La normativa IVA regola, inoltre, ulteriori ipotesi di autofatturazione e di inversione contabile, non contemplate dal citato art. 17, che ricorrono, per esempio, in caso di autoconsumo “esterno” di beni (autofatturazione) e di commercio di rottami e di altri materiali di recupero (inversione contabile).

La fattura, per le operazioni soggette al meccanismo del “reverse charge ”:

  • non deve recare l’addebito dell’imposta;
  • deve contenere l’annotazione “inversione contabile” e l’eventuale indicazione della norma di riferimento, ossia l’art. 17, commi 5 o 6, del P.R. n. 633/1972.
  • deve contenere il numero di partita IVA del cessionario/committente, “reale” debitore d’imposta dell’operazione in luogo del cedente/prestatore;
  • deve contenere la relativa norma di riferimento (comunitaria o “interna”, secondo quanto precisato nella Agenzia delle Entrate 19.10.2005 n. 45/E).

Obblighi del cessionario/committente

Il cessionario/committente, una volta ricevuta la fattura, deve:

  • integrarla con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta;
  • annotarla:
  • nel registro delle fatture emesse (di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 633/1972), entro il mese di ricevimento, ovvero anche successivamente, ma, comunque, entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese;
  • nel registro degli acquisti (di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 633/1972), ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione.

Operazioni soggette a “reverse charge”

Le operazioni soggette a “reverse charge ” sono:

  • le cessioni “interne” di rottami e di altri materiali di recupero (di cui all’art. 74 commi 7 e 8, del D.P.R. n. 633/1972), per le quali è previsto il pagamento dell’imposta da parte del cessionario, soggetto passivo IVA, comprese le prestazioni di servizi, dipendenti da contratti d’opera, d’appalto e simili, aventi per oggetto la trasformazione dei rottami non ferrosi;
  • le cessioni “interne” di oro da investimento (poste in essere dai soggetti che producono e commerciano oro da investimento o che trasformano oro in oro da investimento), imponibili IVA per opzione, e relative prestazioni di intermediazione, effettuate nei confronti di soggetti passivi d’imposta, nonché le cessioni “interne” di oro diverso da quello da investimento (cd. “oro industriale”) e di argento puro, effettuate nei confronti di soggetti passivi d’imposta, ai sensi dell’art. 17, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972;
  • le prestazioni di servizi rese, nel settore edile, dai subappaltatori, senza addebito d’imposta ai sensi dell’art. 17, comma 6, lett. a) del P.R. n. 633/1972;
  • le cessioni di fabbricati (o di porzioni di fabbricato) abitativi o strumentali, imponibili IVA su opzione del cedente, nel relativo atto di vendita, ai sensi dell’art. 10, comma 1 8-bis e n. 8-ter d) del D.P.R. n. 633/1972;
  • le cessioni di fabbricati (o di porzioni di fabbricato) strumentali, imponibili IVA ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 8-ter b) del D.P.R. n. 633/1972, poste in essere nei confronti di cessionari, soggetti passivi, con pro rata di detrazione non superiore al 25%;
  • le cessioni, non al dettaglio, effettuate dall’1.4.2011, di:
    • telefoni cellulari, concepiti come dispositivi fabbricati o adattati per essere connessi ad una rete munita di licenza e funzionanti a frequenze specifiche, con o senza altro utilizzo;
    • dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore

Contenuto dell’autofattura

L’autofatturazione consiste nell’emissione di un documento (autofattura) in unico esemplare (art. 21, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972), con indicazione:

  • dell’IVA, se si tratta di un’operazione imponibile;
  • ovvero del titolo di non imponibilità o di esenzione (e della relativa norma di riferimento), se si tratta di un’operazione non imponibile o esente da imposta.

Sul documento deve essere riportata la dicitura “autofatturazione” (art. 21, comma 6-ter, del D.P.R. n. 633/1972).

Duplice registrazione dell’autofattura

L’autofattura, al pari della fattura integrata dal cessionario/committente per effetto dell’inversione contabile, deve essere registrata sia sul registro delle fatture o dei corrispettivi (di cui agli artt. 23 o 24 del D.P.R. n. 633/1972, sia – ai fini della detrazione – sul registro degli acquisti (di cui all’art. 25 dello stesso decreto).

L’assimilazione delle due procedure (autofatturazione e inversione contabile) risulta evidente laddove si consideri che, per esigenze meccanografiche, la C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464 (§ B.9.1) ha ammesso che l’integrazione possa avere luogo tramite l’emissione, da parte del cessionario, di un apposito documento che va allegato e conservato unitamente alla fattura intracomunitaria e riportante gli estremi di quest’ultima (data della fattura e numero progressivo ad essa attribuito dal ricevente).

In analogia a quanto già riconosciuto dall’Amministrazione finanziaria in materia di acquisti intracomunitari di beni (R.M. 8 settembre 1999, n. 144/E), gli obblighi di numerazione e di registrazione si considerano regolarmente adempiuti attraverso un’unica numerazione e registrazione delle autofatture su un apposito registro sezionale, che funge da registro sezionale sia del registro delle fatture emesse (o dei corrispettivi), sia del registro degli acquisti.

Sul punto, come poteva già evincersi dalla circolare n. 36/E/2010, anche se con riferimento alle sole prestazioni di servizi “generiche”, la semplificazione già prevista per gli acquisti intracomunitari di beni viene ora generalizzata, applicandosi a tutte le operazioni – territorialmente rilevanti in Italia – per le quali l’obbligo IVA è traslato sul cessionario/committente italiano.

Reverse charge nei settori particolari Nelle operazioni per le quali si considera debitore d’imposta il cessionario o committente, è quest’ultimo, anche se non stabilito in Italia, che deve identificarsi ai fini IVA per assolvere gli obblighi (formali e sostanziali) connessi alla cessione o alla prestazione di cui è parte (Ris. n. 28/E del 2012).

Il debitore d’imposta, quindi, non è il cedente o prestatore, in quanto il divieto di traslazione dell’obbligo d’imposta previsto dall’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972 non opera laddove, in forza di disposizioni speciali, sia prevista l’applicazione del meccanismo del reverse charge.

Il dubbio interpretativo è stato sollevato in riferimento alle cessioni di rottami e di altri materiali di recupero, per le quali l’art. 74, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972 prevede che “al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo nel territorio dello Stato”. Tuttavia, la soluzione offerta dall’Agenzia è estensibile agli altri settori, disciplinati dall’art. 17, commi 5, 6 e 7, del D.P.R. n. 633/1972 (es. mercato dell’oro, subappalti edili, ecc.), rispetto ai quali l’IVA è dovuta dal destinatario del bene o del servizio, in luogo del cedente o del prestatore.

Ipotizzando che né il cedente/prestatore né il cessionario/committente siano stabiliti in Italia, se l’operazione risulta ivi territorialmente rilevante, dovrebbe – in linea di principio – applicarsi la regola di cui all’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui il reverse charge resta precluso qualora la cessione o la prestazione sia effettuata da un soggetto passivo non residente, privo di stabile organizzazione in Italia, nei confronti di un cessionario o committente anch’esso non stabilito nel territorio nazionale.

Di conseguenza, gli obblighi IVA andrebbero adempiuti dal cedente/prestatore che, in quanto non stabilito in Italia, dovrebbe ivi identificarsi “direttamente” o per mezzo di un rappresentante fiscale, ripristinando così la regola generale di cui all’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, che considera dovuta l’imposta in capo al cedente/prestatore.

Obbligo di identificazione del cessionario/committente

Nella risoluzione in commento si afferma però che tale impostazione è derogata

tutte le volte in cui, in forza di disposizioni speciali, il debitore di imposta sia espressamente individuato, anche per le operazioni fra soggetti stabiliti in Italia, nel cessionario o committente” .

In questi casi,

il debitore dell’imposta è da individuarsi in ogni caso nel cessionario, ove soggetto passivo ai fini IVA, anche se non avente né sede né stabile organizzazione in Italia, indipendentemente dal fatto che il soggetto passivo cedente abbia la sede o la stabile organizzazione in Italia e del fatto che tale ultimo soggetto sia identificato ai fini IVA in Italia”.

La risoluzione conclude precisando che il cessionario non stabilito, per assolvere l’obbligo d’imposta,

dovrà identificarsi ai fini IVA in Italia oppure dovrà provvedere alla nomina di un rappresentante fiscale” .

L’Agenzia delle Entrate, a sostegno della propria interpretazione, non ha richiamato la circ. 16 febbraio 2007, n. 11/E (§ 5.1). In tale occasione, era già stato chiarito, ancorché rispetto alla disciplina anteriore alle novità introdotte, in materia di debitore d’imposta, dal D.Lgs. n. 18/2010, che, nel caso in cui appaltatore e subappaltatore siano entrambi soggetti esteri, non stabiliti in Italia, soltanto l’appaltatore, in quanto debitore d’imposta ex art. 17, comma 6, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, è tenuto ad identificarsi in Italia.

In ogni caso, è rispetto alla risoluzione n. 36/E del 2011, avente per oggetto le cessioni di telefonini e di dispositivi a circuito integrato, anch’esse soggette a reverse charge, che le nuove indicazioni dell’Agenzia assumono rilevanza.

In quell’occasione è stato specificato che il destinatario della cessione, anche se non residente, ma identificato in Italia, è obbligato all’assolvimento dell’imposta in luogo del cedente.

Andava, quindi, definitivamente chiarito se il reverse charge si applicasse anche nell’ipotesi in cui il cessionario non residente fosse privo di identificazione in Italia, posto che la soluzione affermativa, già riconosciuta dalla circolare n. 11/E del 2007, si pone in contrasto con lo status (di “soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato”) richiesto al cessionario dagli artt. 17, comma 5, e 74, comma 7 del D.P.R. n. 633/1972, così come interpretato dalla risoluzione n. 36/E del 2011.

Regime sanzionatorio delle operazioni soggette a “reverse charge

 Il comma 9-bis all’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997 disciplina il regime sanzionatorio delle operazioni soggette a “reverse charge ”, ai sensi degli artt. 17 e 74, commi 7 e 8, del D.P.R. n. 633/1972.

Resta dunque esclusa dalla specifica disciplina sanzionatoria ogni altra ipotesi di regolarizzazione delle operazioni di acquisto soggette ad IVA secondo le regole ordinarie che continuano, pertanto, ad essere sanzionate secondo le consuete modalità (circ. Agenzia delle Entrate 19.2.2008 n. 12/E, § 10.2).

•  Omessa autofatturazione e omessa integrazione di fatture intracomunitarie

La ris. Agenzia delle Entrate 6 marzo 2009, n. 56, recependo la sentenza della Corte di Giustizia UE 8 maggio 2008, relativa alle cause riunite C-95/07 e C-96/07, ha chiarito che – in caso di omesso “reverse charge” – ferma restando l’irrogazione della sanzione amministrativa dal 100% al 200% dell’imposta (con un minimo di 258,00 euro), di cui all’art. 6, comma 9-bis, del D.L.gs. n. 471/1997, contestualmente al recupero dell’IVA, deve essere riconosciuta la detrazione della stessa imposta.

In realtà, la Corte di Giustizia ha sì stabilito che, nell’ipotesi di omesso reverse charge, la detrazione deve essere riconosciuta, ma ha anche affermato che la sanzione deve essere proporzionata alla gravità dell’infrazione commessa. Quindi, la sanzione dal 100 al 200% dell’imposta, prevista dalla normativa italiana, sembra eccessiva laddove la violazione commessa non abbia comunque arrecato alcun danno erariale, come si verifica per la maggior parte delle operazioni soggette a reverse charge.

Se, in luogo dell’emissione dell’autofattura è stata erroneamente adottata la procedura di integrazione, la sanzione applicabile è quella ridotta del 3%, anch’essa prevista dal comma 9-bis dell’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997, che ha infatti come presupposto l’avvenuto pagamento dell’imposta relativa all’operazione posta in essere (Cass. 5 maggio 2010, n. 10819).

Si ricorda, peraltro, che l’art. 10, comma 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) vieta l’irrogazione di sanzioni quando l’infrazione “si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito d’imposta ”. Tale è

il caso in cui l’operazione per la quale il debitore d’imposta sia il cessionario/committente risulti perfettamente neutrale dal punto di vista erariale, in assenza cioè di limitazioni oggettive o soggettive alla detrazione.

•  Mancato assolvimento dell’IVA da parte del cessionario/committente

 Il cessionario/committente, se non assolve l’imposta relativa all’acquisto di beni/servizi con applicazione del “reverse charge”, è punito con la sanzione dal 100% al 200% dell’imposta stessa (con un minimo di 258,00 euro).

Il richiamo, operato dalla norma, agli artt. 17 e 74 del D.P.R. n. 633/1972 implica che resta ferma la sanzione amministrativa prevista, dall’art. 6, commi 1 e 4, del D.Lgs. 471/1997, per le violazioni in materia di documentazione degli acquisti intracomunitari (dal 100% al 200% dell’imposta, con un minimo di 516,00 euro).

•  Irregolare addebito dell’IVA da parte del cedente/prestatore

La sanzione dal 100% al 200% dell’imposta (con un minimo di 258,00 euro) si applica nel caso in cui il cedente/prestatore, che abbia irregolarmente addebitato l’imposta relativa all’operazione soggetta a “reverse charge”, ne abbia omesso il versamento all’Erario.

Al pagamento della sanzione amministrativa e dell’IVA sono solidalmente obbligati entrambi i contraenti (cedente/prestatore e cessionario/committente).

Il cessionario/committente, per evitare l’applicazione della sanzione derivante dal comportamento fraudolento del fornitore, può regolarizzare l’operazione 17:

  • presentando all’Ufficio delle Entrate competente un documento integrativo in duplice esemplare, recante l’indicazione dell’imponibile, dell’aliquota e della relativa imposta, entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione;
  • avendo cura di:
  1. non esercitare la detrazione dell’imposta erroneamente addebitata in fattura dal cedente;
  2. annotare il documento emesso secondo le regole dell’inversione contabile, ossia nel registro delle fatture emesse (di cui all’art. 23 del P.R. n. 633/ 1972) ed in quello degli acquisti (di cui all’art. 25);
  • liquidare l’imposta nei modi ordinari ed effettuare il versamento dell’eventuale imposta a debito emergente dall’operazione al verificarsi di cause di indetraibilità oggettiva o soggettiva.

•  IVA versata all’Erario

 Qualora l’imposta sia stata versata, anche se irregolarmente, dal cessionario/committente (o dal cedente/prestatore), si applica la sanzione del 3% dell’imposta stessa (con un minimo di 258,00 euro).

Per le irregolarità commesse fino a tutto il 2010, l’importo della sanzione non può, comunque, essere superiore a 10.000,00 euro. La ris. n. 140/E/2010, sul punto, oltre a chiarire le modalità di determinazione di tale limite, conferma il carattere temporaneo del limite stesso, venuto meno dal 1° gennaio 2011. In linea, quindi, con il tenore letterale della norma, la soglia di 10.000,00 euro non si riferisce ad un triennio “mobile”, decorrente dalla prima applicazione del reverse charge su ciascuna tipologia di operazione (es. dal 2011, per i telefonini e i dispositivi a circuito integrato).

Al pagamento della sanzione amministrativa sono solidalmente obbligati entrambi i contraenti (cedente/prestatore e cessionario/committente).

Al cessionario/committente è riconosciuto il diritto di detrazione dell’imposta (di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972).

•  Omessa fatturazione

 Il cedente/prestatore, se non emette la fattura soggetta a “reverse charge”, è punito con la sanzione, dal 5% al 10% del corrispettivo non documentato (con un minimo di 516,00 euro), prevista dai commi 2 e 4 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997. Tuttavia, quando la violazione non rileva neppure ai fini della determinazione del reddito, si applica la sanzione amministrativa da euro 258,23 ad euro 2.065,83 (art. 6, comma 9-bis, ultimo periodo, del D.Lgs. 471/1997).

Il cessionario/committente è obbligato a regolarizzare l’omessa fatturazione (ex art. 6, comma 8, del D.Lgs. 471/1997), applicando, comunque, il sistema dell’inversione contabile.

•  Principio del “favor rei”

Secondo la circ. n. 12/E/2008 (§ 10.1), il nuovo regime sanzionatorio, laddove più favorevole al contribuente, si applica anche alle violazioni commesse fino al 31 dicembre 2007, salvo che vi sia un provvedimento di irrogazione della sanzione divenuto definitivo (art. 3, comma 3, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472).

Soggetti Violazione Sanzione
Cessionario/committente Mancato                  assolvimento dell’imposta     da      parte     del cessionario/committente Dal 100% al 200% dell’imposta (con un minimo di 258,00 euro)
Cedente/prestatore Irregolare addebito dell’imposta da parte del cedente/prestatore Dal 100% al 200% dell’imposta (con un minimo di 258,00 euro). Il cessionario/committente è solidalmente responsabile per il

pagamento dell’imposta e della sanzione

Cessionario/committente Cedente/prestatore Irregolare applicazione del “reverse charge”, ma l’imposta è stata versata 3% dell’imposta versata (con un minimo di 258, euro). Per le irregolarità commesse fino a tutto il 2010, l’importo della sanzione non può, comunque, essere superiore a 10.000,00 euro.

Il cessionario/committente è solidalmente responsabile per il pagamento dell’imposta e della

sanzione.

Cedente/prestatore Omessa fatturazione Dal 6% al 10% dell’imponibile non fatturato.

Il cessionario/committente è obbligato a regolarizzare l’omissione                applicando, comunque, il meccanismo dell’inversione contabile.

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(a cura di Salvatore Giordano)

Estratto dal libro “Compro oro”

NOTE

1. Cfr. G.M. CAMISASCA, L’attività dei “Compro oro”, in Guida alla fatturazione, n. 6/2013, pag. 5 e ss.

2. Cfr. ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 11), del D.P.R. n. 633/1972 per operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto si intendono: “Le cessioni di oro da investimento, compreso quello rappresentato da certificati in oro, anche non allocato, oppure scambiato su conti metallo, ad esclusione di quelle poste in essere dai soggetti che producono oro da investimento o che trasformano oro in oro da investimento ovvero commerciano oro da investimento, i quali abbiano optato, con le modalità ed i termini previsti dal
D.P.R. 10 novembre 1997, n. 442, anche in relazione a ciascuna cessione, per l’applicazione dell’imposta; le operazioni previste dall’art. 81, comma 1, lettere c-quater) e c-quinquies), del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, riferite all’oro da investimento; le intermediazioni relative alle precedenti operazioni. Se il cedente ha optato per l’applicazione dell’imposta, analoga opzione può essere esercitata per le relative prestazioni di intermediazione. Per oro da investimento si intende:

a) l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli;

b) le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80% il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, sulla base delle comunicazioni rese dal Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non comprese nel suddetto elenco”.

3. Cfr. D.P.R. n. 633/1973, art. 17, comma 5: “In deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’art. 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l’indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’art. 25”.

4. Cfr. D.P.R. n. 633/1973, art. 19, comma 3: “La indetraibilità di cui al comma 2 non si applica se le operazioni ivi indicate sono costituite da:

a) operazioni di cui agli artt. 8, 8-bis e 9 o a queste assimilate dalla legge, ivi comprese quelle di cui agli artt. 40 e 41 del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, alla Legge 29 ottobre 1993, n. 427;

b) operazioni effettuate fuori dal territorio dello Stato le quali, se effettuate nel territorio dello Stato, darebbero diritto alla detrazione dell’imposta;

c) operazioni di cui all’art. 2, terzo comma, lettere a), b), d) ed f);

d) cessioni di cui all’art. 10, n. 11), effettuate da soggetti che producono oro da investimento o trasformano oro in oro da investimento;

e) operazioni non soggette all’imposta per effetto delle disposizioni di cui ai commi primo, ottavo e nono dell’art. 74, concernente disposizioni relative a particolari settori”.

5. Non rientrano in tale categoria gli oggetti preziosi semplicemente rotti anche in più parti ma che possono essere comunque riparati e, quindi, suscettibili di operazioni commerciali in quanto gioielli.
Devono, pertanto, essere ricompresi in tale casistica quei beni che hanno perso irrimediabilmente la propria connotazione essenziale a seguito di una irrisolvibile avaria tecnica.

6. Cfr. parere della Direzione Regionale delle Marche dell’Agenzia delle Entrate n. 4575 del 24 febbraio 2011 e parere della Direzione Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate n. 130749 del 31 ottobre 2011.

7. Cfr. L. n. 212/2000, art. 10, comma 2: “Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni, od errori dell’amministrazione stessa”.

8. Cfr. circolare 29 dicembre 1999, n. 247 e risoluzione 26 ottobre 2001, n. 168.

9. Cfr. art. 1, comma 99, della L. n. 244/2007. 10. Cfr. art. 36, comma 1 D.L. n. 41/1995.

11. Cfr. ex artt. 19, 19-bis1 e 19-bis2 D.P.R. n. 633/1972.

12. Cfr. sent. 19 luglio 2012, causa C-160/11. 13. Cfr. C.M. n. 177/E/95.

14. Cfr. C.M. 15 maggio 1997, n. 137/E.

15. Cfr. C.M. 9 giugno 1998, n. 144/E.

16. Cfr. C.M. n. 144/E/98 e C.M. 16 luglio 1998, n. 188/E.

17. Circ. n. 12/E/2008, §

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