Guida pratica all’interpello: le istanze di disapplicazione | con fac-simile

Una corposa guida alle istanze di interpello disapplicativo (compresa di fac-simile di istanza); la guida analizza specificatamente i casi di interpello per le società di comodo e le società in perdita sistemica.

N.B. Se non lo hai già fatto, puoi leggere la 1° parte dell’approfondimento: Guida pratica all’interpello: gli interpelli ordinari – con fac-simile di istanza

L’interpello tributario – Aspetti generali

l'interpello disapplicativo all'agenzia delle entrateNell’ambito della disciplina «codificata» di contrasto ai fenomeni di elusione fiscale, e quindi nel contesto dell’accertamento, è stata inserita l’ipotesi della disapplicazione concedibile ad hoc dall’amministrazione finanziaria, con riferimento a disposizioni introdotte dal legislatore per evitare determinati comportamenti elusivi.

Le disposizioni antielusive «specifiche» introducono dei vincoli sanciti normativamente, secondo un’ottica rovesciata rispetto a quella dei commi primo e terzo dell’art. 37-bis; da ciò consegue che la loro eventuale violazione non costituisce più «elusione» in senso proprio, ossia un’ipotesi di «aggiramento» di norme, bensì un comportamento espressamente contrario al diritto positivo.

Per tali disposizioni non è prevista la possibilità di manifestare al fisco la non elusività del comportamento, bensì quella di richiederne la disapplicazione dimostrando che, nel caso di specie, non potrebbero prodursi gli effetti che la norma intende contrastare.

La procedura finalizzata a provocare la risposta dell’amministrazione finanziaria è stata allineata, sia dalla normativa (ad esempio per quanto riguarda i c.d. grandi contribuenti), sia dalla pressi interpretativa ufficiale (si vada a tale riguardo la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 14.6.2010), alle varie ipotesi di interpello ordinario, speciale e antielusivo.

Quali sono le norme antielusive specifiche?

Cercando di trarre le logiche conseguenze dalle elaborazioni della prassi interpretativa ufficiale, sembra a chi scrive che l’istanza ex art. 37-bis, ottavo comma, possa ritenersi ammissibile e quindi produrre i propri effetti (provocando nell’Amministrazione un provvedimento di disapplicazione, ovvero un diniego motivato), se e in quanto essa sia proposta con riferimento a disposizioni che ammettono la produzione di una «prova contraria», sempre però che tale procedura non debba ritenersi esclusa per altri motivi (come è accaduto per le norme anti- esterovestizione introdotte dal decreto «Visco-Bersani» nel 2006, cfr. sul punto la risoluzione n. 312/E del 5.11.2007).

Oltre a ciò, può osservarsi che la dimostrazione da fornire in sede di ruling «disapplicativo» deve riguardare «… elementi di fatto … agevolmente desumibili dalla documentazione su cui normalmente è incentrata l’analisi preventiva in sede di interpello», e che tale procedura

«… è in genere esperibile per la disapplicazione di norme che incidono in maniera diretta ed immediata sul quantum dell’obbligazione tributaria, ossia di norme che “limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario”»1.

 

A tale riguardo, possono essere riferite le osservazioni fatte dall’Agenzia delle Entrate nella propria risoluzione n. 190/E del 27.7.2007, ove è stata ritenuta non suscettibile di disapplicazione la norma di cui all’art. 164 del TUIR che, nel caso di esercizio di arti e professioni in forma individuale, prevede la deducibilità, nella misura del 25% e limitatamente ad un solo veicolo, delle spese e degli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto a motore.

Si trattava, in particolare, della questione prospettata da un medico, il quale, utilizzando la propria autovettura, effettuava visite fiscali a domicilio per conto dell’USL, e riteneva fortemente penalizzanti i vincoli frapposti dalla normativa, in presenza di un prevalente utilizzo del veicolo per l’attività professionale rispetto alle esigenze private.

La problematica era stata sottoposta dalla competente direzione regionale alla direzione centrale dell’Agenzia delle Entrate, poiché – per l’appunto – sussistevano dei dubbi in ordine all’ammissibilità di una procedura di disapplicazione riferita all’art. 164 del TUIR.

Sulla questione – dopo le opportune premesse in merito alle ragioni fondanti dell’art. 37-bis, ottavo comma, quale «istituto di civiltà giuridica» volto alla dimostrazione, nel caso specifico, di circostanze che escludono la presenza di un intento elusivo -, la direzione centrale ha ritenuto che, con riferimento alla fattispecie descritta nell’istanza, la disposizione richiamata non fosse suscettibile di essere disapplicata in quanto essa assumeva

«… la funzione di norma di “sistema” e non di norma antielusiva specifica».

 

Secondo l’Agenzia, infatti,

«la ratio sottostante alla previsione di una deducibilità a forfait dei suddetti costi non era antielusiva bensì riconducibile alla volontà del legislatore di evitare un “evasivo” utilizzo privatistico del bene.

Considerata la difficoltà, sul piano operativo, di verificare l’eventuale “uso promiscuo” e di quantificare il reale utilizzo delle autovetture per lo svolgimento della professione, il legislatore ha – ab origine – operato la scelta, più pragmatica, di “forfetizzare” l’inerenza relativamente ai costi connessi all’acquisto ed alla gestione di tali beni.

Una volta operata la scelta “forfetaria”, con cui si contrappone, ad un eventuale “uso promiscuo” del bene nella realtà, l’effetto – sul piano fiscale – di una limitata deducibilità del costo, il legislatore prescinde dalla circostanza dell’effettiva destinazione – ed in quale misura – del bene per finalità strettamente connesse con l’esercizio dell’attività professionale.

In tale ottica non è compatibile, pertanto, la “prova contraria” ossia la possibilità per il contribuente di dimostrare, nel caso specifico, l’esclusiva destinazione del bene allo svolgimento della professione».

 

Come è facile notare, la possibilità di esperire validamente la procedura in esame, a fronte della vaghezza delle norme di riferimento, non può prescindere da una serie di verifiche intese a individuare il carattere «antielusivo specifico» delle disposizioni, che devono essere finalizzate a limitare deduzioni, detrazioni, etc., con «ratio» evidentemente antielusiva, quali vincoli «relativi» in linea di principio suscettibili recedere di fronte a una «prova contraria» che funge quale esimente. L’ultima parola, in tale contesto, spetta sempre all’Amministrazione, cui compete l’emanazione dei pareri anche con riguardo all’ammissibilità degli stessi.

La risoluzione n. 214/E del 22.5.2008 è poi intervenuta relativamente all’adombrata possibilità di disapplicazione del limite – fissato nella misura dell’80% – alla deducibilità delle spese relative agli apparecchi terminali per servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico (art. 102, nono comma, TUIR).

La problematica esposta nell’istanza di interpello riguardava, in particolare, una società per azioni operante nella gestione del servizio idrico integrato, la quale doveva predisporre il «telecontrollo» degli impianti gestiti.

Una componente essenziale del sistema di «telecontrollo» era rappresentata dalle c.d. “remote terminal unit” (RTU), unità periferiche di raccolta e invio di dati, comunicanti con gli elaboratori centrali attraverso dei moduli GPRS o dei modem.

In relazione a tale fattispecie, l’Agenzia ha ritenuto che il nono comma dell’art. 102 del TUIR non sia suscettibile di essere disapplicata, in quanto avente funzione di norma di «sistema» e non di norma antielusiva specifica.

A tale riguardo, la risoluzione ha riaffermato che la ratio dei limiti alla deducibilità discende dall’intento del legislatore di evitare l’utilizzo privato di determinati beni, con riferimento ai quali, in considerazione della difficoltà a contestarne operativamente l’eventuale uso promiscuo, è stata operata la scelta di «forfetizzare» l’inerenza, con forza di presunzione assoluta (e con la conseguente esclusione della possibilità di fornire prova contraria, sia in sede di controllo che attraverso procedure di ruling).

La procedura di disapplicazione

Il decreto ministeriale n. 259 del 19.6.1998 (vigente dal 18.8.1998), che costituisce la normativa attuativa di riferimento per la procedura in esame, stabilisce, al primo comma dell’unico articolo, che l’istanza di disapplicazione deve essere rivolta al direttore regionale delle entrate (secondo l’attuale organizzazione, al direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate) competente per territorio ed è spedita, a mezzo del servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento, all’ufficio finanziario competente per l’accertamento in ragione del domicilio fiscale del contribuente. Tale ufficio deve trasmettere al direttore regionale l’istanza, unitamente al proprio parere, entro trenta giorni dalla ricezione.

La procedura è dunque integralmente regionalizzata, sicché ogni contribuente fiscalmente domiciliato entro i confini amministrativi della regione deve far riferimento alla propria direzione regionale.

Per quanto attiene alle società, qualche errore nella presentazione dell’istanza può derivare dalle situazioni nelle quali il legale rappresentante risiede in una regione diversa rispetto a quella nella quale è fiscalmente domiciliata la società: in tale ipotesi, se l’ufficio di ricezione non fosse quello competente, si determinerebbe tuttavia solamente un allungamento dei tempi richiesti, dal momento che l’ufficio non competente della direzione X (ad esempio, Piemonte) sarebbe tenuto a trasmettere l’istanza all’ufficio competente della direzione Y (ad esempio, Lombardia), per la trattazione presso la direzione regionale.

L’istanza di disapplicazione si considererebbe validamente presentata nella data di ricezione da parte dell’ufficio competente.

Si consideri che l’ufficio locale dispone di 30 giorni per redigere il proprio parere motivato e trasmettere il fascicolo alla direzione regionale, e che l’intera procedura dovrebbe concludersi entro 90 giorni, ma tale termine non è perentorio.

Sull’ordinatorietà, ovvero la perentorietà del termine, va detto che tale questione è condizionata dalla natura giuridica del parere, giacché:

  • se si riconosce allo stesso natura di provvedimento amministrativo, esso dovrebbe essere espressamente adottato entro il termine indicato (la natura provvedimentale deriverebbe dalla sua suscettibilità a incidere direttamente sulla sfera giuridica del contribuente, ad esempio ammettendo l’utilizzabilità di una perdita fiscale ordinariamente non spendibile secondo la normativa vigente);
  • se non se ne riconosce la natura provvedimentale, considerandolo semplice parere insuscettibile di colpire la sfera giuridica dei privati, come ritiene l’Agenzia delle Entrate, esso rimane soggetto a un termine meramente ordinatorio.

 

La questione della natura del parere / provvedimento si lega anche al problema dell’impugnabilità avanti le Commissioni tributarie, che può riguardare i provvedimenti amministrativi, ma non i pareri.

Se l’istanza è erroneamente inoltrata direttamente alla direzione regionale,  dal  momento  che  il  parere  dell’ufficio  locale  dev’essere acquisito o almeno reso possibile per dar luogo alla procedura, e che, comunque, la competenza per la ricezione compete a tale ufficio, la direzione ha cura di trasmettere allo stesso l’istanza, e il «dies a quo» per l’emanazione del provvedimento decorre dal momento della ricezione da parte dell’ufficio locale medesimo.

A pena di inammissibilità, secondo il secondo comma, l’istanza deve contenere:

  • i dati identificati del contribuente e del suo legale rappresentante;
  • l’indicazione dell’eventuale domiciliatario presso il quale sono effettuate le comunicazioni;
  • la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante.

Tali prescrizioni sono analoghe a quelle valevoli per l’interpello ordinario, ex art. 11 della L. n. 212/2000, e valgono a individuare con certezza i soggetti relativamente ai quali si producono gli effetti del provvedimento (di disapplicazione, diniego o improcedibilità).

Va rammentato che, ai sensi del successivo terzo comma, il contribuente deve descrivere compiutamente nell’istanza la fattispecie concreta per la quale ritiene non applicabili le disposizioni normative che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammessi dall’ordinamento tributario.

Come è stato precisato relativamente all’interpello ordinario, si evidenzia che le istanze possono essere trasmesse, e i pareri comunicati ai contribuenti, mediante posta elettronica certificata (PEC).

La documentazione e le richieste istruttorie

All’istanza deve essere inoltre allegata copia della documentazione, con relativo elenco, rilevante ai fini dell’individuazione e della qualificazione della fattispecie prospettata.

A giudizio di chi scrive, soprattutto in relazione ai casi più complessi, la documentazione riveste nell’ambito dell’interpello «disapplicativo» una posizione particolarmente importante, giacché attraverso di essa i contribuenti possono suffragare – nei confronti dell’Amministrazione – il proprio convincimento in ordine all’inapplicabilità della norma antielusiva nel caso specifico.

Le determinazioni del direttore regionale relative all’istanza, secondo il quarto comma, sono comunicate al contribuente mediante servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento. Si tratta qui di

«determinazioni» precedenti all’emanazione del provvedimento, il quale – secondo quanto stabilito dal sesto comma – deve essere comunicato al contribuente non oltre 90 giorni dalla presentazione dell’istanza e assume carattere «definitivo».

Nell’uno come nell’altro caso, le comunicazioni della direzione regionale – siglate dal direttore regionale ovvero dall’eventuale dirigente munito di delega di firma – devono giungere al contribuente mediante sistemi formalizzati (plico raccomandato con avviso di ricevimento): ai fini dell’«informativa» da fornire in relazione a determinati fatti, delle richieste istruttorie, etc., possono tuttavia essere esperiti anche i sistemi «informali», quali le comunicazioni telefoniche, la posta elettronica, etc.

Occorre infatti considerare che ci si trova nel campo delle relazioni «bonarie» tra contribuenti e Fisco, e in tale ottica i primi hanno tutto l’interesse a collaborare con il secondo, fornendo tutte le informazioni necessarie.

Come stabilito dal quinto comma, e già sopra evidenziato, l’istanza di disapplicazione si intende presentata all’atto della ricezione del plico raccomandato da parte dell’ufficio competente per l’accertamento, mentre le comunicazioni relative all’istanza e le eventuali richieste istruttorie si intendono eseguite al momento della ricezione del plico raccomandato da parte del destinatario.

Vale a tale proposito precisare che, nella prassi operativa, la consegna diretta all’ufficio locale – mediante i servizi di «front office» – equivale alla spedizione in plico raccomandato con avviso di ricevimento, e che il «modello 8» consegnato al presentatore dell’istanza fornisce tutte le necessarie garanzie ai fini della prova – e della data – dell’avvenuta presentazione.

Infine, il settimo comma dell’articolo unico dispone che le richieste istruttorie rivolte al contribuente o a soggetti diversi sospendono il termine normativamente stabilito di 90 giorni per l’emanazione del provvedimento fino al giorno di ricezione della risposta, e che al contribuente medesimo deve essere data comunicazione delle richieste istruttorie rivolte ad altri soggetti (ad esempio, a uffici pubblici).

Secondo un indirizzo ormai consolidato, le richieste istruttorie vengono effettuate una sola volta per evitare di prolungare artificiosamente il termine per l’emanazione del provvedimento, e che si tratta di una semplice «sospensione», ossia che il conteggio dei giorni in attesa del termine riprende dopo la ricezione del materiale richiesto (insomma, diversamente da come accade invece nell’interpello ordinario ex art. 11 della L. n. 212/2000, il termine non riprende a decorrere «da capo» a seguito della richiesta istruttoria).

Inoltre, le formalità e l’obbligo di informativa al contribuente nel caso di richieste rivolte a soggetti terzi devono intendersi limitati alle ipotesi di richieste formali, mentre è ovviamente libero il campo d’azione degli uffici se essi procedono acquisendo informazioni e documentazione informalmente, avvalendosi dei poteri ordinariamente concessi all’Amministrazione.

Attraverso la richiesta di documentazione integrativa non possono essere sanate quelle carenze dell’originaria istanza che comportano una pronuncia di inammissibilità.

Le istanze prive degli elementi essenziali funzionali alla compiuta rappresentazione del caso devono quindi essere dichiarate inammissibili, salva la facoltà del contribuente, se ancora in tempo, di ripresentarle complete degli elementi originariamente mancanti (circolare dell’Agenzia delle Entrate 14.6.2010, n. 32/E).

L’inammissibilità dell’istanza di interpello

Secondo quanto è stato posto in luce dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 2010, numerose ipotesi di inammissibilità possono compromettere il funzionamento della procedura di disapplicazione, non consentendo al contribuente di ricevere una risposta valida dall’amministrazione finanziaria.

Possibili cause di inammissibilità

Precisando che tutte le ipotesi di inammissibilità devono intendersi «assolute», e quindi non sanabili quando pronunciate, la circolare individua – per tutte le forme di interpello – i seguenti casi tipici (già preveduti da precedenti pronunce di prassi):

  • istanze prive dei dati identificativi dell’istante e del suo legale rappresentante nonché mancanti della sottoscrizione;
  • istanze presentate da professionisti privi di procura;
  • istanze presentate da consulenti con riferimento a questioni prospettate da questi ultimi in maniera generale ed astratta;
  • istanze che costituiscono mere reiterazioni di precedenti istanze ovvero richieste di riesame;
  • istanze che interferiscono con l’esercizio dei poteri accertativi, riguardando fattispecie già sottoposte a controllo o per le quali siano state presentate istanze di rimborso o istanze di annullamento, anche parziale, in autotutela.

Ferme restando le menzionate ipotesi di inammissibilità, devono considerarsi ugualmente inammissibili secondo l’Agenzia:

  • le istanze ex art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973, nelle ipotesi in cui la norma della quale si richiede la disapplicazione non ha «lo scopo di contrastare comportamenti elusivi» (in caso di dubbio sulla portata della norma di cui è richiesta la disapplicazione, le direzioni regionali devono inoltrare l’istanza alla direzione centrale Normativa);
  • le istanze ex art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973, presentate dalle società non operative che beneficerebbero di una causa di esclusione automatica della relativa disciplina (allo stato, tale ipotesi di inammissibilità deve intendersi riferita anche ai soggetti in perdita sistematica);
  • le istanze non sufficientemente circostanziate;
  • le istanze non preventive, ossia presentate oltre il tempo utile per dar luogo al comportamento dopo aver ricevuto risposta. In particolare, occorre considerare che le istanze di disapplicazione vengono ritenute inammissibili per tardività se sono presentate (facendo riferimento alla data di presentazione o spedizione all’ufficio competente) successivamente al novantesimo giorno anteriore al termine ordinario di scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi modello Unico (documento nel quale viene in essere il comportamento rilevante).

Nel caso in cui ricorrano uno o più profili di inammissibilità, all’istanza del contribuente sarà fornita una semplice risposta contenente i motivi di inammissibilità senza riscontro nel merito della questione, nemmeno a titolo di consulenza giuridica.

Il contribuente può ripresentare l’istanza, sempre che ne sussistano tutti gli altri presupposti, fornendo quegli elementi utili la cui mancanza, nell’originaria istanza, ha comportato la pronuncia di inammissibilità.

Sorge un problema rilevante, quindi, se l’istanza è dichiarata inammissibile per qualche motivo (ad esempio, perché è ritenuta non sufficientemente circostanziata), e medio tempore scade il termine per la valida presentazione di una nuova istanza (ad esempio, se il contribuente ha presentato l’istanza nel mese di giugno e il parere di inammissibilità gli viene comunicato, ad esempio, nel mese di settembre).

Alla luce dei tali considerazioni, potrebbe essere raccomandata una presentazione anticipata (fin dai primi mesi dell’anno della dichiarazione) delle istanze di disapplicazione, in modo da poter disporre – nell’ipotesi di inammissibilità – di un sufficiente margine temporale per l’eventuale presentazione di una nuova istanza.

Il problema dell’impugnabilità

Pur essendo orientata a evitare le possibili vertenze tra contribuenti e fisco, la disciplina delle società non operative, e conseguentemente anche quella delle società in perdita sistemica, è stata oggetto di contenziosi con l’Agenzia delle Entrate sui quali si sono formati alcuni orientamenti nella giurisprudenza di legittimità.

Si segnala a tale riguardo che la Suprema Corte ha dapprima inquadrato i pareri negativi dell’Agenzia delle Entrate come atti di «diniego di agevola- zione», ritenendoli pertanto impugnabili come atti «tipici» a norma del- l’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, e quindi – più recentemente – sembra aver superato tale impostazione, con la conseguenza che in un primo momento l’impugnazione dei pareri è apparsa come «obbligatoria», mentre ora sembra di dover fissare l’attenzione sull’impugnazione dell’eventuale accertamento successivo.

La Corte di Cassazione si sta misurando con le predette problematiche, sostanzialmente affermando che i provvedimenti direttoriali devono essere impugnati, ma che l’impugnazione è inammissibile se essi non contengono statuizioni nel merito (risolvendosi in semplici declaratorie di improcedibilità o – si ritiene – anche di inammissibilità2). Infatti:

secondo Cass. 15.4.2011, n. 8663

«le determinazioni del direttore regionale delle Entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi dell’art. 37-bis, 8° comma, DPR n. 600 del 1973, costituiscono presupposto necessario ed imprescindibile per l’esercizio di tale potere.

Le determinazioni in senso negativo costituiscono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugnazione ai sensi dell’art. 19, I comma, lett. h del D.Lgs. n. 542 del 1992. Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi dell’art. 1, comma 4, D.M. 19.6.1998, n. 259, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all’istante.

Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate»;

secondo  Cass.  Cass.  13.4.2012  n.  5843 

la  risposta  resa dall’Agenzia delle Entrate su istanza del contribuente in tema di società non operative è impugnabile solamente se contiene affermazioni sul merito della pretesa, giacché solo in tale ipotesi si è in presenza di un atto impositivo, nella specie di un diniego di agevolazione.

Se, invece, la DRE dichiara improcedibile l’istanza perché la fattispecie non è stata compiutamente descritta, la risposta non può essere impugnata. La tutela giurisdizionale dovrebbe quindi esperirsi in maniera piena nel ricorso avverso l’accertamento;

secondo Cass. Cass. 5.10.2012 n. 17010

la risposta resa dall’Agenzia delle Entrate non può essere qualificata, dal punto di vista giuridico, come diniego di agevolazione, giacché che si tratta, appunto, di risposta negativa alla disapplicazione di norme antielusive.

In sostanza: la prima delle pronunce citate renderebbe obbligatoria l’impugnazione del diniego; la secondo precisa che non può essere impugnata la pronuncia di inammissibilità; la terza e ultima esclude che si tratti di un atto tipico impugnabile, affermando altresì che

«la risposta all’interpello non impedisce innanzitutto alla stessa amministrazione di rivalutare – in sede di esame della dichiarazione dei redditi o dell’istanza di rimborso – l’orientamento (negativo) precedentemente espresso, né al contribuente di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei  confronti  dell’atto  tipico  che  gli  venga  notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva».

Pertanto, se si consoliderà l’orientamento più recente della S.C., la tutela giurisdizionale dovrà essere esercitata avverso l’avviso di accertamento, ovvero il diniego espresso o tacito del rimborso.

Le operazioni di fusione e scissione

Un ambito normativo nel quale è stata ritenuta sicuramente applicabile la procedura di disapplicazione ex art. 37-bis, ottavo comma, è quello riguardante i vincoli all’utilizzo delle perdite in seno alle operazioni di fusione e scissione.

In materia esiste peraltro una prassi dell’Amministrazione, nella quale emerge la preminenza, anche in tale settore, dei principi adottati dal primo comma dell’articolo, e in particolare delle valide ragioni economiche che devono sorreggere l’operazione.

Secondo il settimo comma dell’arti. 172 del TUIR, le perdite delle società partecipanti alla fusione, compresa l’incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all’art. 2501- quater, c.c., senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello della delibera di fusione, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425, c.c., superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

Tra i versamenti non si comprendono i contributi erogati a norma di legge dallo Stato a da altri enti pubblici.

Se le azioni o le quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante o da un’altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società partecipante o dall’impresa che le ha cedute ad essa dopo l’esercizio al quale la perdita si riferisce e anteriormente all’atto di fusione.

Se è effettuata la retrodatazione degli effetti fiscali dell’operazione, le limitazioni si applicano anche al risultato negativo, determinabile applicando le regole ordinarie, che si sarebbe generato in modo autonomo in capo ai soggetti che partecipano alla fusione in relazione al periodo intercorrente tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione.

Infine, tali disposizioni si applicano anche agli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti, di cui al quarto comma dell’art. 96 (secondo il nuovo regime di deducibilità degli oneri finanziari introdotto dalla Finanziaria 2008).

Come è facile vedere, si impone relativamente alle perdite nell’ambito delle fusioni societarie una duplice verifica, applicandosi congiuntamente:

  • un indice di vitalità: dall’ultimo conto economico della società ante- fusione della società le cui perdite sono riportabili deve risultare un ammontare di ricavi e di spese per prestazioni di lavoro subordinato superiore al 40% rispetto alla media dei due ultimi esercizi anteriori;
  • un indice patrimoniale: dette perdite sono comunque deducibili da parte dell’incorporante – o della società risultante dalla fusione, nel caso di fusione propria – limitatamente all’ammontare del patrimonio netto contabile.

Nell’uno e nell’altro caso, si tratta di vincoli finalizzati a evitare che l’operazione straordinaria sia vista come un veicolo per ottenere la «spendibilità» fiscale di perdite altrimenti non più utilizzabili, perché giunte al termine del periodo normativamente concesso, o perché non vi sono più speranze di «riattivare» le società in capo alle quali esse si sono generate (ormai trasformatesi in potenziali «bare fiscali»).

La medesima disciplina si «ribalta» nelle operazioni di scissione, giacché il decimo comma dell’art. 173 stabilisce che

«alle perdite fiscali delle società che partecipano alla scissione si applicano le disposizioni del comma 7 dell’articolo 172, riferendosi alla società scissa le disposizioni riguardanti le società fuse o incorporate e alle beneficiarie quelle riguardanti la società risultante dalla fusione o incorporante ed avendo riguardo all’ammontare del patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dal progetto di scissione di cui all’articolo 2506- bis del codice civile, ovvero dalla situazione patrimoniale di cui all’articolo 2506-ter del codice civile».

Da ciò consegue che le perdite delle società beneficiarie della scissione possono essere portate in diminuzione del reddito della beneficiaria stessa (o delle beneficiarie) per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del patrimonio netto della scissa3 quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale prescritta dal codice civile, senza considerare i conferimenti e versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico della società (scissa) le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la scissione è stata deliberata, risultino un ammontare di ricavi e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi superiori al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

Se le azioni o quote della scissa erano possedute da beneficiarie, la perdita non è ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società partecipante o dall’impresa che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale la perdita è riferita e prima dell’atto di scissione.

Le società non operative

società di comodoLe società c.d. «di comodo», o non operative, sono strutture approntate per la gestione (improduttiva) di beni (immobili, autoveicoli, natanti, etc.) essenzialmente riconducibili alla sfera privata dei contribuenti, ma che il legislatore ha ritenuto «inopportuno» trattare quali cespiti privati.

Questo per evitare di concedere, con riferimento a tali beni, i connessi vantaggi di tipo fiscale (deduzione dei costi e detrazione dell’IVA).

Dapprima nel D.L. n. 223/2006, convertito dalla L. n. 248/2006, e quindi con la Finanziaria 2007 (L. n. 296/2006), il legislatore ha inteso scoraggiare l’uso di strutture societarie allo scopo di occultare imponibili, di ottenere trattamenti tributari non ordinariamente previsti dalle norme o di essere strumentali alla costituzione di disegni fraudolenti.

Le modificazioni normative introdotte a partire dal 2006 si sono tradotti in una profonda revisione dell’originario impianto delle norme di riferimento (art. 30, L. 23.12.1994, n. 724).

Nel nuovo contesto normativo, le società possono chiedere e ottenere la disapplicazione della norma restrittiva utilizzando la procedura di disapplicazione dell’37-bis, co. 8, del D.P.R. n. 600 del 1973).

Successivamente alle modificazioni apportate dall’art. 1, commi 128 e 129, della L. 24.12.2007, n. 244 (Finanziaria 2008), sono intervenuti, a circoscrivere le nuove ipotesi di situazioni oggettive valevoli come esimenti in via automatica, il provvedimento direttoriale del 14.2.2008 e la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 9/E, emessa nella medesima data.

Nuove modificazioni hanno riguardato la disciplina fiscale delle società non operative in epoca recente (fine 2011), prevedendo l’estensione della normativa speciale a tutte le società in perdita per almeno tre periodi di imposta, oltre a un innalzamento dell’aliquota IRES come ulteriore penalizzazione

Si evidenzia che il provvedimento direttoriale dell’Agenzia delle Entrate n. 2012/87956 è intervenuto individuando nuove cause di disapplicazione automatica, che si riferiscono specificamente alle società in «perdita sistematica» e integrano le cause di disapplicazione automatica già previste nel provvedimento del 2008.

Il carattere obbligatorio dell’istanza di disapplicazione

Nel corso della procedura di disapplicazione, ex art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973, l’Agenzia delle Entrate deve compiere un’istruttoria finalizzata a stabilire se il soggetto considerato possa essere o meno considerato come una struttura societaria finalizzata non a una vera e propria attività economica, bensì (secondo la ratio della presunzione introdotta dal legislatore) all’attuazione di schemi evasivi/elusivi/fraudolenti.

Secondo quanto è stato posto in luce nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 14.6.2010, la procedura di disapplicazione si configura come un interpello «obbligatorio»; in generale, tale pronuncia ritiene obbligatoria per i contribuenti la presentazione di istanze:

  • finalizzate all’ottenimento «di un parere favorevole all’accesso ad un regime derogatorio (in talune ipotesi anche agevolativo) rispetto a quello legale, normalmente applicabile»;
  • rese necessarie dall’esigenza «di consentire all’amministrazione finanziaria un monitoraggio preventivo in merito a particolari situazioni considerate dal legislatore potenzialmente elusive».

Sempre secondo la circolare in parola, nel corso dell’attività di controllo nei confronti dei soggetti che, pur in presenza di un obbligo normativo in tal senso, non hanno presentato istanza di interpello, si rende applicabile la sanzione prevista dall’art. 11, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 18.12.1997, 471 (omissione di ogni comunicazione prescritta dall’Amministrazione finanziaria, punita con sanzione amministrativa da euro 258 ad euro 2065, diversamente graduata dagli uffici tenuto conto della situazione concretamente riscontrata).

Inoltre, il comportamento «omissivo» dei contribuenti che non presentano l’istanza obbligatoria può aggravare le sanzioni ordinariamente applicabili se, in fase di accertamento, viene rilevata

«l’insussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione della disciplina, oggetto dell’interpello obbligatorio».

Si tratta, chiaramente, di un obbligo particolare, che sussiste se e in quanto si intenda chiedere e ottenere la disapplicazione della norma speciale; nella diversa ipotesi in cui invece i contribuenti si adeguino al reddito minimo presunto, indicando in dichiarazione quest’ultimo e non quello analiticamente determinato sulla base delle scritture contabili e delle norme del TUIR, l’obbligo non sussiste.

 

Le cause di disapplicazione per le società di comodo «classiche»

Sia per le società non operative «classiche» che per quelle in perdita sistemica (o sistematica) sono state previste diverse cause di disapplicazione automatica, dapprima con il provvedimento direttoriale del 14.2.2008, prot. n. 23681, e quindi con il provvedimento n. 2012/87956 dell’11.6.2012.

Si evidenzia a tale riguardo che:

  • per le società non operative classiche, la causa di disapplicazione (ovvero la ragione oggettiva) deve sussistere nel periodo di imposta di riferimento per la dichiarazione;
  • per le società in perdita sistematica, essa deve sussistere in almeno uno dei periodi di imposta del triennio di riferimento, nel quale la società evidenzia perdite fiscali;
  • le cause di esclusione operano solamente con riferimento al periodo di imposta di riferimento per la dichiarazione4.

Di seguito si indicano le varie cause di esclusione prevedute dall’art. 30 della L. n. 724/1994, e quindi le cause di disapplicazione automatica, rispettivamente introdotte dalla legge finanziaria 2008 (L. n. 244/2007), dal provvedimento del febbraio 2008 e da quello più recente del giugno 2012.

 

Cause di esclusione

soggetti obbligati a costituirsi sotto forma di società di capitali
soggetti che si trovano nel primo periodo d’imposta
società in amministrazione controllata e straordinaria
società quotate, le società che controllano società quotate, nonché le società controllate, anche indirettamente, da società quotate
società esercenti pubblici servizi di trasporto

 

Cause di disapplicazione introdotte nel 2008

Finanziaria 2008 Provvedimento 14.2.2008
Società con un numero di soci non inferiore a 50 Società in liquidazione che si impegnano a procedere alla cancellazione dal Registro delle Imprese entro il termine di presentazione della successiva dichiarazione
Società che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiori alle 10 unità Società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria e di liquidazione coatta amministrativa, in concordato preventivo e in amministrazione straordinaria
Società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa e in concordato preventivo Società sottoposte a sequestro penale o confisca o in amministrazione giudiziaria
Società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione superiore al totale dell’attivo dello Stato patrimoniale Società che detengono immobili concessi in locazione ad enti pubblici o locati a canone vincolato
Società partecipate da enti pubblici nella misura minima del 20% Società che detengono partecipazioni in società non di comodo
Società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore Società che hanno ottenuto la disapplicazione a seguito dell’accoglimento dell’istanza

 

Cause di disapplicazione introdotte nel 2012

società che esercitano esclusivamente attività agricola ai sensi dell’art. 2135 del codice civile e rispettano le condizioni previste dall’art. 2 del D.Lgs. 29.3.2004, n. 99
società per le quali gli adempimenti e i versamenti tributari sono stati sospesi o differiti da disposizioni normative adottate in conseguenza della dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi dell’art. 5 della L. 24.2.1992, n. 225. La disapplicazione opera limitatamente al periodo d’imposta in cui si è verificato l’evento calamitoso e quello successivo.

 

Le ipotesi di disapplicazione automatica e di esclusione per le società in perdita

Le nuove cause di disapplicazione automatica rivolte specificamente alle società in perdita sistemica riguardano:

  1. le società in stato di liquidazione che con impegno assunto in dichiarazione dei redditi richiedono la cancellazione dal registro delle imprese entro il termine di presentazione della successiva dichiarazione dei redditi;
  2. le società assoggettate a procedure concorsuali;
  3. le società sottoposte a sequestro penale o a confisca nelle fattispecie di cui al D.Lgs. 6.9.2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia), o in altre fattispecie analoghe in cui il Tribunale in sede civile abbia disposto la nomina di un amministratore giudiziario;
  4. le società che detengono partecipazioni, iscritte esclusivamente tra le immobilizzazioni finanziarie, il cui valore economico sia prevalentemente riconducibile a società considerate non in perdita sistematica, ovvero a società escluse dall’applicazione della disciplina delle «perdite sistematiche» anche in conseguenza di accoglimento dell’istanza di disapplicazione, nonché a società collegate residenti all’estero cui si applica il regime dell’art. 168 del TUIR (controlled foreign companies, CFC)
  5. le società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica in relazione ad un precedente periodo di imposta sulla base di circostanze oggettive puntualmente indicate nell’istanza, che non hanno subito modificazioni nei periodi di imposta successivi;
  6. le società che conseguono un margine operativo lordo (MOL) positivo;
  7. le società per le quali gli adempimenti e i versamenti tributari sono stati sospesi o differiti da disposizioni normative adottate in conseguenza della dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi dell’art. 5 della L. 24.2.1992, n. 225;
  8. le società per le quali risulta positiva la somma algebrica della perdita fiscale di periodo e degli importi che non concorrono a formare il reddito imponibile per effetto di proventi esenti, esclusi o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva, ovvero di disposizioni agevolative;
  9. le società che esercitano esclusivamente attività agricola ai sensi dell’art. 2135 del codice civile e rispettano le condizioni previste dall’art. 2 del D.Lgs. 29.3.2004, n. 99;
  10. le società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore;
  11. le società che si trovano nel primo periodo di imposta.

 

Le ragioni oggettive della non operatività e delle perdite

Mentre per le società non operative classiche si tratta di dimostrare (e comprovare, con adeguata produzione di riscontri documentali) che nel periodo di imposta di riferimento sussistono cause oggettive che escludono la produzione dei ricavi minimi richiesti, per le società in perdita sistemica è necessario dimostrare che, in almeno uno dei periodi del triennio di osservazione, le perdite sono giustificate.

In questa valutazione, evidentemente, possono entrare in gioco considerazioni di vario genere. In primissimo luogo, la perdita potrebbe essere giustificata dalle medesime ragioni che si prestano a giustificare l’eventuale non operatività della società.

Essa tuttavia potrebbe anche essere il prodotto di comportamenti arbitrari degli amministratori, volti a minimizzare l’onere tributario delle società medesime, se non addirittura a produrre delle perdite fittizie utilizzabili anche in futuri esercizi (considerando anche le evoluzioni normative che hanno interessato l’art. 84 del TUIR, con la possibilità per i soggetti IRES di riportare illimitatamente le perdite stesse).

Ad esempio, anche in presenza di una situazione di operatività «regolare» quanto ai ricavi prodotti, in chi gestisce la società potrebbe esservi l’interesse a erogare un finanziamento infruttifero a società del gruppo situate al di fuori dei confini nazionali, in modo da non incrementare l’imponibile in Italia, ovvero di non coprire le perdite.

 

Occorre altresì considerare che:

  • per la società non operativa classica occorre dapprima verificare la presenza di eventuali cause di esclusione o di disapplicazione automatica, queste ultime previste nei due provvedimenti direttoriali del 2008 e del 2012, e quindi, se queste non ricorrono, occorre produrre le giustificazioni oggettive della mancata produzione (sufficiente) di ricavi;
  • per la società in perdita sistemica, occorre sempre verificare la presenza di cause di esclusione (incardinate nell’art. 30 della L. n. 724/1994), nonché di cause di disapplicazione automatica specifiche (provvedimento direttoriale del 2012), e quindi, se queste non ricorrono, bisogna produrre giustificazioni idonee in relazione alla produzione di perdite fiscali;
  • se alla società sono applicabili ambedue le normative, è necessario produrre due autonome istanze.

Per quanto concerne tale ultima ipotesi, cioè quella della società non operativa classica che sia anche in perdita sistemica, sorge però un problema. Può infatti accadere che le esimenti / giustificazioni addotte per la non operatività siano in grado di giustificare anche la produzione delle perdite. Ad esempio: una società immobiliare di compravendita, con immobilizzazioni collegate alle spese di impianto e ad altri oneri sostenuti,  non  riesce  a  realizzare  ricavi  perché  si  protrae  l’iter amministrativo necessario a concludere i lavori, ovvero le opere vengono sospese per la presenza di un contenzioso.

In ipotesi come quella sopra considerata, è giocoforza ritenere che la giustificazione della non operatività dovrebbe potersi estendere anche alla situazione di perdita.

È tuttavia necessario considerare la scansione temporale, cioè la non coincidenza dei termini temporali di riferimento tra l’art. 30 della L. n. 724/1994 e l’art. 2 del D.L. n. 138/2011. Per quanto si è visto sopra, difatti, la disapplicazione delle non operative classiche riguarda l’anno «target», cioè quello del periodo di imposta dell’ultima dichiarazione (ad esempio il 2011), mentre quella rivolta alle società in perdita riguarda uno o più periodi di imposta compresi entro il triennio di riferimento (per l’anno 2012, periodo di prima applicazione, il triennio comprende gli anni 2009-2010-2011).

 


Un esempio di istanza di disapplicazione (società di comodo)

ISTANZA DI DISAPPLICAZIONE EX ART. 37 BIS, OTTAVO COMMA, D.P.R. N. 600/1973

Raccomandata a/r All’Agenzia delle Entrate

Direzione Regionale …………………. per il tramite della

Direzione Provinciale di ………………. Via ……………., n. ……….

Oggetto: istanza di disapplicazione ai sensi dell’art. 37-bis, ottavo comma, D.P.R. n. 600/1973

 

Il sottoscritto Bianchi dott. Leonardo, nato a Milano il 10.10.1965, residente in Milano, via G. Pascoli 33, c.a.p. 00000, telefono 02-111111, codice fiscale XXXXXXXXXXXXXXX, legale rappresentante della società «Bianchi S.p.a.», con sede legale in Milano, Piazza della Repubblica, 10, c.a.p. 00000, codice fiscale e partita IVA YYYYYYYYYYYYYYY,

 

CONSIDERATO

 che l’articolo 30 della legge n. 724/1994 stabilisce un ammontare di ricavi minimi, assunto in base a determinate percentuali applicate ai valori dell’attivo patrimoniale;

 che la medesima norma prevede l’imputazione di un reddito minimo ai fini IRES e ai fini IRAP, anch’esso determinato in via presuntiva, alle società che non hanno realizzato un ammontare di ricavi almeno pari a quello dei ricavi presunti;

 che l’applicazione della disciplina in materia di società di comodo prevista dall’articolo 30 della legge n. 724/1994, oltre all’imposizione di un reddito minimo, comporta limitazioni al recupero del credito IVA;

 che la finalità della disposizione citata è quella di disincentivare il ricorso a strutture societarie che costituiscono meri centri di imputazione di costi per beni destinati all’utilizzo da parte dei soci o di terzi, senza un collegamento diretto con l’attività di fatto esercitata;

 che nel caso specifico e concreto, di seguito ampiamente illustrato, non può verificarsi la situazione astrattamente perseguita dalla legge;

 che l’applicazione acritica delle disposizioni contenute nell’articolo 30 della legge n. 724/1994 finirebbe per penalizzare indebitamente la scrivente, tanto premesso

CHIEDE

a codesta spettabile direzione regionale, valutate le condizioni oggettive di seguito esposte, di riconoscere la bontà delle argomentazioni addotte e, di conseguenza, in virtù delle previsioni contenute nell’ottavo comma dell’articolo 37-bis del D.P.R. 600/1973 e nel comma 4-bis dell’articolo 30 della legge n. 724/1994, dichiari che nel caso specifico tutte le disposizioni previste dall’articolo 30 della legge n. 724/1994 vanno disapplicate.

 

La società istante fa presente quanto segue:

………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

PER TALI RAGIONI,

la società istante ritiene che la propria situazione non rientri nell’ambito della verifica di operatività prevista dall’articolo 30 della legge n. 724/1994, sussistendo una situazione di carattere oggettivo che rende impossibile il conseguimento dei ricavi presunti e che conseguentemente chiede la disapplicazione della disposizione prevista dall’articolo 30 della legge n. 724/1994.

Xxxxxx

 

………….., li ………………..

……………………………….

 


 

30 gennaio 2013

Fabio Carrirolo

 

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NOTE

1 Cfr. ancora la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 5.11.2007, n. 312/E, sopra richiamata tra parentesi.

2 Le ipotesi di improcedibilità, previste dalla prassi pregressa dell’Agenzia delle Entrate, sono state tutte trasformate in ipotesi di inammissibilità dalla circolare n. 32/E del 2010.

3 Nel caso in cui sia presente una beneficiaria non neocostituita, ma preesistente, le eventuali perdite «autogenerate» potrebbero aggiungersi a quelle trasmesse dalla scissa.

4 Cfr. la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 23/E del 2012.

 

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