Guida pratica all’interpello: interpelli antielusivi, consulenza generale, CFC

Pubblichiamo una guida approfondita, completa di casi pratici di interpello: interpello ordinario e antielusivo, consulenza giuridica ordinaria, indirizzi interpretativi, informazione e assistenza rivolte ai contribuenti, presentazione delle istanze e la formulazione dei quesiti, effetti della consulenza giuridica, controllate «white list», il livello effettivo di tassazione, CFC: le dimostrazioni da fornire.

L’interpello fiscale

interpello agenzia entrateL’istituto dell’interpello rappresenta un punto d’incontro particolarmente elevato dei rapporti tra contribuenti e fisco, e tra amministrazione e cittadini in generale, perché consente – ricevendo una risposta qualificata – di evitare i rischi connessi a un’interpretazione «contestabile» delle norme tributarie.

Dopo aver trattato l’interpello ordinario e la procedura di disapplicazione ex art. 37- bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973, è opportuno esaminare gli ulteriori strumenti di dialogo previsti dall’ordinamento, ossia l’interpello c.d. antielusivo (utile per cautelarsi di fronte alla possibile contestazione, da parte degli uffici, di atti, fatti, negozi, dai quali si generi un risparmio fiscale «potenzialmente» indebito), gli interpelli speciali orientati alla spiegazione delle operazioni con giurisdizioni estere (CFC, costi esteri black list, pex, dividendi), e la c.d. consulenza generica, che produce risposte analoghe a quelle dell’interpello ordinario pur in assenza dei necessari presupposti.

Nella loro diversità, le procedure di ruling appena citate hanno la comune caratteristica di rivolgersi alla dimostrazione di questioni di tipo fattuale, e non alla prospettazione e alla risoluzione di problematiche giuridico-interpretative.

L’interpello antielusivo

Il diritto di interpello «speciale» previsto dall’art. 21 della L. 30.12.1991 n. 413 è sorto come procedimento amministrativo mediante il quale il contribuente può richiedere, in via preventiva, un parere all’Amministrazione sulla corretta «qualificazione fiscale» di situazioni di fatto prospettate, per raggiungere una soluzione consensuale e non oppositiva.

L’istituto ha avuto concreta applicazione solo a seguito dell’emanazione:

  • del D.M. 13.6.1997 n. 194, disciplinante l’organizzazione interna, il funziona- mento e le dotazioni finanziarie del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive (recentemente soppresso);
  • del D.M. 13.6.1997 n. 195, disciplinante i termini e le modalità da osservare per l’invio delle richieste di parere e la comunicazione dei pareri stessi al contribuente.

Nel quadro dell’interpello antielusivo, la richiesta di parere deve riguardare l’applicazione, ai casi concreti rappresentati dal contribuente delle disposizioni relative:

  • all’interposizione soggettiva (art. 37, terzo comma, P.R. n. 600/1973);
  • all’elusione fiscale (art. 37-bis, P.R. n. 600/1973);
  • alla qualificazione di determinate spese tra quelle di pubblicità o di rappresentanza.

Il parere – originariamente reso anche dal Comitato consultivo (in sede d’«appello»), e allo stato solamente dall’Agenzia delle Entrate1 – ha efficacia esclusivamente ai fini e nell’ambito del rapporto tributario; nell’eventualità di una successiva fase contenziosa, l’onere della prova grava in capo alla parte – contribuente o ufficio – che non si è uniformata al parere.

L’interpello ex art. 21 della L. 413/1991 può essere attivato ed esplicare i propri effetti solamente in presenza di fattispecie suscettibili di rientrare tra le ipotesi normative espressamente individuate dalla legge.

Inoltre, ponendosi quale alternativa «preventiva» rispetto alla successiva – ed eventuale – attività di controllo, esso appare direttamente finalizzato ad evitare una vertenza intorno all’applicazione di disposizioni per loro natura controvertibili: l’elusione, infatti, si compone di un insieme di atti, fatti, negozi, del tutto leciti e corretti dal punto di vista del diritto positivo, che vengono «riletti» e giudicati come ipotesi elusive dall’amministrazione.

Le modalità attuative della procedura di interpello ex art. 21 possono essere esaminate, con i dovuti adattamenti necessari a tener conto delle modificazioni normative intervenute, guardando alle indicazioni fornite dal Ministero delle Finanze con la propria circolare n. 135/E del 28.5.1998.

 

Le relazioni tra interpello ordinario e antielusivo

Mentre l’interpello ordinario si pone come la procedura finalizzata ad ottenere dall’amministrazione finanziaria un parere qualificato sull’applicazione delle norme fiscali, produttivo di effetti tipici riconducibili sostanzialmente nell’inibizione delle eventuali attività difformi rispetto all’interpretazione fornita, l’interpello antielusivo guarda soprattutto alle possibilità di applicazione della norma di cui all’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, rispetto alle quali può fornire uno «scudo», acclarando il carattere «non elusivo» di determinate operazioni.

Nella differente ipotesi in cui, invece, l’interpello evidenzi una situazione di sospetta «elusività», dato che anch’esso può validamente esperirsi se preventivo, l’Amministrazione, più che «trasfondere» l’interpello in un’attività di controllo, può «mettere in guardia» il contribuente, il quale – soprattutto nel caso (frequente) in cui si tratti di una grande società strutturata – avrà tutto l’interesse ad evitare la condotta «sospetta».

Anche nell’interpello ordinario, come in quello antielusivo, l’istante prospetta un comportamento, che spesso potrebbe articolarsi in modo complesso, pur rappresentando solamente una «sequenza» limitata di una complessiva vicenda economica e/o finanziaria riguardante il contribuente; la reale differenza rispetto all’altra forma di «ruling» può però ricondursi proprio alla sua «generalità», rispetto alla «specialità» di quest’ultima.

L’interpello ex art. 21, L. 413/1991, infatti, può essere attivato ed esplicare i propri effetti solamente in presenza di fattispecie suscettibili di rientrare tra le ipotesi normative espressamente individuate dalla legge, e dunque circoscrive un ambito «riservato».

Inoltre, ponendosi quale alternativa «preventiva» rispetto alla successiva – ed eventuale – attività di controllo, esso appare direttamente finalizzato ad evitare una vertenza intorno all’applicazione di disposizioni per loro natura controvertibili.

 

Il «vecchio» e il «nuovo» interpello antielusivo

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 24.2.2009 ha illustrato le innovazioni apportate in materia dal D.L. 29.11.2008, n. 185, convertito dalla L. 28.1.2009, n. 2, di seguito illustrate.

Per quanto attiene all’interpello ex art. 21 della L. n. 413/1991, a rammentato che la relativa procedura prevedeva un «doppio livello» amministrativo, perché esso era in prima istanza rivolto alla direzione centrale Normativa e Contenzioso – ora direzione centrale Normativa – dell’Agenzia delle Entrate (in origine, al relativo organo ministeriale), per il tramite della direzione regionale, e quindi, in caso di mancata risposta, ovvero di risposta negativa, al Comitato consultivo (c.d. «appello»).

Secondo quanto era stato esplicitato dall’Amministrazione nella circolare n. 135/E del 28.5.1998, la direzione centrale doveva comunicare il parere al contribuente entro 60 giorni dalla richiesta, mediante plico postale raccomandato con avviso di ricevimento. A cura della stessa direzione centrale, il parere doveva essere contestualmente comunicato al Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive e alla direzione regionale. In caso di inerzia, ovvero di disaccordo da parte del contribuente, il parere poteva essere nuovamente richiesto, con istanza al comitato consultivo.

Come previsto dal decimo comma dell’art. 21, L. n. 413/1991, la mancata risposta da parte del comitato entro 60 giorni dalla richiesta del contribuente e dopo ulteriori 60 giorni dalla formale diffida ad adempiere da parte del contribuente stesso, equivaleva a silenzio-assenso.

Deve altresì rammentarsi che, nell’ambito della procedura, opera un termine esclusivamente interno per la trasmissione dell’istanza – ricevuta dalla direzione regionale – all’Organo centrale, termine fissato in 15 giorni eccezionalmente elevabili a 30 in casi di particolare complessità o per integrazioni istruttorie.

Il termine da rispettare era quindi di 60 + 60 + 60 giorni, complessivamente ripartito tra due organismi (Agenzia delle Entrate e comitato consultivo), decorso il quale, nell’ipotesi di inerzia del comitato, si formava il silenzio-assenso.

La fase intermedia

A seguito della soppressione del comitato era venuto meno il silenzio-assenso, che la norma abrogata riferiva esclusivamente all’eventuale inerzia del comitato stesso. Nella fase transitoria, l’amministrazione non aveva quindi alcun obbligo di rispondere entro un determinato lasso di tempo.

In mancanza di altri riferimenti, si sarebbe potuto far valere il termine generale di 90 giorni di cui al terzo comma dell’art. 2 della L. 7.8.1990, n. 241, con la possibilità di impugnare l’eventuale silenzio-inadempimento: ma rimaneva aperto, evidentemente, il dibattito sulla natura provvedimentale o non provvedimentale del parere ex art. 21, alla quale poteva forse legarsi tale forma di tutela2.

Di fatto, il contribuente non rimaneva del tutto privo di strumenti di tutela nel caso in cui il parere non fosse emanato dall’Amministrazione, ovvero non corrispondesse alla sua prospettazione: se i tempi dell’operazione progettata lo avessero consentito, infatti, rimaneva (e rimane) evidentemente aperta la strada della reiterazione dell’interpello.

Gli effetti delle modificazioni normative

Allo stato, per effetto dell’intervento del D.L. n. 185/2008, fermo restando il termine interno di 15/30 giorni per la trasmissione al livello centrale, il termine «esterno» di 60 + 60 + 60 giorni (nel quale potevano intervenire il contribuente, l’Agenzia e il comitato consultivo) è sostituito da quello di 120 + 60 giorni, integralmente rimesso al rapporto istante-Agenzia.

In tale contesto, si evidenzia che il silenzio-assenso, ossia la volontà implicita del- l’Amministrazione di concordare con la soluzione interpretativa proposta dall’interpellante, si forma solamente se dopo il decorso dei 120 giorni ordinari, in caso di inerzia dell’Agenzia, il contribuente fa pervenire una formale diffida.

In assenza di diffida nei 60 giorni successivi, quindi, non vi sono forme di tutela al di fuori della reiterazione dell’istanza.

 

Le indicazioni della circolare dell’Agenzia delle Entrate

Secondo quanto è stato puntualizzato dall’Agenzia, secondo la procedura attualmente applicabile, l’Agenzia è tenuta a comunicare il proprio parere al contribuente entro 120 giorni dalla data di presentazione dell’istanza alla direzione regionale competente, mediante plico postale raccomandato con avviso di ricevimento. In caso di mancata risposta entro tale termine, l’interpellante può diffidare l’Agenzia ad adempiere entro i successivi 60 giorni, decorsi improduttivamente i quali si forma il silenzio-assenso.

La diffida deve essere presentata alla

«competente struttura centrale dell’Agenzia delle Entrate», cioè alla direzione centrale Normativa, « … mediante spedizione a mezzo del servizio postale in plico raccomandato con avviso di ricevimento, ossia secondo la stessa modalità prevista sia per la presentazione dell’istanza alla dire- zione regionale sia per la comunicazione della risposta, comune peraltro alla modalità di presentazione della diffida al soppresso Comitato consultivo. Resta inteso che, qualora presentata ad ufficio incompetente, quest’ultimo è tenuto ad inviare la diffida alla competente direzione centrale Normativa e Contenzioso. In tal caso il termine di 60 giorni decorre dalla data in cui la competente direzione centrale viene in possesso della diffida».

 

Pertanto:

  • l’istanza va presentata in plico raccomandato a/r alla DCN per il tramite della direzione regionale;
  • la stessa procedura deve essere seguita per la presentazione della diffida;
  • in caso di errore dell’istante (ad esempio, con l’invio alla direzione regionale senza menzionare la direzione centrale, ovvero con l’invio all’ufficio tributario locale), l’istanza3 o la diffida verrà ugualmente trasmessa alla DCN, e il dies a quo per il decorso del termine sarà quello dell’arrivo all’Organo competente.

Per i c.d. grandi contribuenti – con volume d’affari, ricavi o compensi superiori a 100 milioni di euro – la gestione degli interpelli segue in ogni caso le modalità procedurali dell’interpello antielusivo ed è prevista la puntuale verifica del rispetto della soluzione interpretativa dell’Agenzia nell’ambito di appositi piani di controlli sostanziali da effettuare, di norma, entro l’anno successivo a quello della presentazione delle dichiarazioni.

 

La gestione delle istanze di interpello

Per tutti i profili procedurali non toccati dal D.L. n. 185/2008, le diverse istanze di interpello (ordinario, CFC, antielusivo, disapplicativo, etc.) presentate dalle imprese di rilevanti dimensioni, continuano a essere disciplinati dalle rispettive normative (primarie e secondarie) di riferimento.

A tale riguardo, l’Agenzia ha rammentato che, con la propria circolare n. 23/E del 16.5.2005, era stata ammessa la presentazione delle istanze, oltre che mediante consegna diretta all’ufficio e mediante plico raccomandato a/r, anche attraverso la posta elettronica.

In tale ipotesi, la regolare presentazione dell’istanza era fatta decorrere dalla data di sottoscrizione della stessa da parte del contribuente (il quale può sanare la mancata sottoscrizione ex art. 3, quarto comma, del D.M. n. 209/2001, provvedendo a regolarizzare l’istanza entro 30 giorni dal ricevimento dell’invito da parte dell’ufficio).

Si evidenzia che la possibilità di inoltro telematico dell’istanza è stata a suo tempo auspicata anche nel Parere del Consiglio di Stato, sez. consultiva per gli atti normativi, n. 193 del 20.11.2000 (sul regolamento attuativo).

Come già posto in evidenza, l’avvenuta introduzione a livello normativo della notifica a mezzo di posta elettronica certificata (PEC), di cui all’art. 149-bis del codice di procedura civile, rende possibile sia la trasmissione dell’istanza all’amministrazione, sia la comunicazione / notificazione della risposta, attraverso tale strumento.

L’iter dell’interpello antielusivo – schema

schema dell'iter dell'interpello fiscale antielusivo

 

La consulenza giuridica ordinaria

Secondo lo schema tracciato dalla C.M. 18.5.2000, n. 99 – il primo atto interpretativo ufficiale nel quale erano chiaramente delimitati i confini e i caratteri delle attività interpretative poste in essere dal soppresso dipartimento delle Entrate -, sussisteva (e ancora sussiste) una netta e precisa distinzione tra le attività «consulenziali» generiche e l’attività di interpello.

In estrema sintesi, la circolare del 1999 individuava le modalità di trattamento dei quesiti all’interno dell’organizzazione ministeriale, prima ancora che fosse definitivamente emanato lo Statuto e il successivo decreto attuativo.

Secondo il Ministero, per «consulenza giuridica in generale» doveva intendersi

«l’attività interpretativa finalizzata all’individuazione del corretto trattamento fiscale di una fattispecie», che «si sostanzia (…) nella formazione di un patrimonio interpretativo, piuttosto che nella divulgazione o applicazione dello stesso». 

 

  • La consulenza si distingue quindi: dall’attività di informazione, caratterizzata dall’intento divulgativo (cioè dalla diffusione del patrimonio conoscitivo dell’amministrazione, costituito da dati normalmente consolidati);
  • dall’attività di assistenza in senso stretto, che si limita al profilo applicativo ed è caratterizzata dal «supporto personalizzato fornito al contribuente in occasione del concreto adempimento di obblighi tributari».

«Queste ultime funzioni, peraltro, sono assicurate attraverso un ampio ventaglio di iniziative, in sede centrale e locale», come, ad esempio, «la pubblicazione di materiale divulgativo, l’assistenza per le dichiarazioni dei redditi o le cartelle di pagamento, l’attività dei call center, i servizi offerti tramite sito internet www.finanze.it.».

In termini del tutto analoghi, la più circolare n. 23/E del 2005 ha affermato che l’attività di interpretazione, che è posta in essere mediante lo strumento dell’interpello,

«…mal si concilia con la organizzazione e la professionalità tipiche dei call center, contact center, sportelli fiscali, servizi di risposta a quesiti anche via sms, istituiti allo scopo di corrispondere, in tempo reale, con celerità ed immediatezza, alle do- mande di informazione e assistenza in senso stretto dei contribuenti».

 

A propria volta, sempre seguendo il tracciato logico della circolare del 2000, l’attività di consulenza giuridica può distinguersi in:

  • attività interpretativa di carattere generale, estrinsecantesi principalmente attraverso circolari predisposte dalle strutture centrali e rivolte alla generalità dei contribuenti, degli operatori e degli uffici;
  • pareri relativi a specifiche fattispecie applicative sollecitati da soggetti interessati a conoscere l’orientamento dell’amministrazione (interpello).

Ancor prima di giungere a una completa definizione, in sede di normazione primaria e secondaria e con le successive interpretazioni ufficiali, dell’istituto dell’interpello, esso veniva quindi enucleato come una «species» del «genus» della consulenza giuridica, il cui secondo «ramo» era costituito da un’interpretazione generale, trasfusa nelle circolari dell’Amministrazione.

 

Gli indirizzi interpretativi del 2011

È affermato nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 42/E de 5.8.2011 che le attività di:

  • informazione;
  • assistenza;
  • consulenza giuridica;
  • interpello;

sono garantite dall’Agenzia in attuazione dei suoi programmi orientati alla tax compliance.

In tale scenario, la competenza generale spetta alle seguenti articolazioni dell’Agenzia:

  • informazione Þ settore comunicazione, direttamente dipendente dal direttore dell’Agenzia;
  • assistenza Þ Direzione Centrale Servizi ai contribuenti;
  • consulenza giuridica e interpello Þ Direzione Centrale Normativa (DCN).

 

Le attività di informazione e assistenza rivolte ai contribuenti

Rammenta la circolare del 2011 che l’attività di informazione attua direttamente il dovere stabilito in capo all’amministrazione dall’art. 5 dello Statuto (assumendo iniziative idonee a consentire la conoscenza completa e agevole delle norme e della prassi).

Tale dovere ha la finalità, si ritiene, sia di favorire la compliance, sia di garantire la massima espressione del diritto di partecipazione e di difesa nel caso in cui sorgano vertenze con il Fisco.

Rispetto all’attività di semplice informazione, l’assistenza si contraddistingue per- ché fornisce un «supporto personalizzato ed individuale al singolo contribuente, finalizzato ad agevolare l’adempimento tempestivo e corretto degli obblighi tributari».

Tale servizio è prestato dagli uffici territoriali, dai centri di assistenza multicanale (CAM) e dai centri operativi, coordinata dalla direzione centrale Servizi ai contribuenti, e si esprime mediante l’assistenza per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi, il servizio di sportello, l’attività telefonica, l’attività di informazione personalizzata via e-mail, etc.

 

La consulenza giuridica come attività interpretativa

L’Agenzia ha precisato nella citata circolare n. 42/E che per consulenza giuridica deve intendersi

«l’attività interpretativa finalizzata all’individuazione del corretto trattamento fiscale di fattispecie riferite a problematiche di carattere generale».

Mentre l’interpello, quindi, pone necessariamente una «casistica» concretamente riferibile a un soggetto istante ben individuato, la consulenza può prescindere da tale aspetto concreto e personale, richiedendo, a titolo esemplificativo, a quale regime fiscale siano soggette le plusvalenze da cessione di partecipazioni «in generale», oppure quale trattamento IVA risulti applicabile a una determinata tipologia di operazioni.

La consulenza si svolge al di fuori di una disciplina normativa tipica, ma ugualmente arricchisce il patrimonio interpretativo dell’amministrazione,

«finalizzato in primo luogo ad uniformare il comportamento delle varie strutture territoriali dell’Agenzia».

Risulta altresì chiaro che le eventuali pronunce rese in sede di consulenza giuridica e ufficializzate mediante la «trasfusione» in risoluzioni «centrali», generano nei contribuenti il legittimo affidamento in ordine ai comportamenti prospettati e ritenuti corretti dall’amministrazione.

 

La consulenza viene suddivisa in:

  • INTERNA (resa agli uffici dell’Agenzia, all’amministrazione finanziaria in generale e a Equitalia);
  • ESTERNA (resa ad associazioni sindacali e di categoria, agli ordini professionali e ad altre amministrazioni pubbliche e istituzioni.

L’articolazione dei soggetti competenti a trattare le richieste di consulenza giuridica prevede un primo livello corrispondente alla direzione regionale territorialmente competente, e un secondo livello corrispondente alla Direzione Centrale Normativa.

Le direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate rispondono direttamente alle istanze presentate da:

  • uffici o organi periferici dell’amministrazione finanziaria;
  • associazioni sindacali e di categoria e ordini professionali che esprimono interessi diffusi nell’ambito della regione;
  • organi periferici delle amministrazioni statali, enti pubblici territoriali e assimilati, nonché altri enti istituzionali operanti nell’ambito della regione con finalità di interesse pubblico ai quali sia stato attribuito il codice fiscale.

Per quanto attiene alle organizzazioni sindacali e di categoria e gli ordini professionali, l’Agenzia considera particolarmente utile la stipula di accordi / protocolli di intesa a livello regionale (tale esperienza risulta peraltro avviata e sperimentata in molte regioni italiane).

Dal lato delle associazioni territoriali, sono inoltre auspicate le iniziative volte a convogliare le richieste dei rappresentati le richieste per l’inoltro delle stesse all’Agenzia sotto forma di consulenza giuridica.

Pur rientrando nella competenza delle direzioni regionali, i quesiti relativamente ai quali si ravvisino situazioni di particolare complessità o criticità devono essere tra- smessi con un parere nel merito, entro 40 giorni dalla ricezione, alla DCN. In ciò, la procedura di consulenza giuridica ordinaria va a «ricalcare» quella dell’interpello ex art. 11 dello Statuto.

La DCN tratta direttamente i quesiti presentati da strutture centrali dell’amministrazione finanziaria e dalle direzioni regionali, oltre che dalle rappresentanze nazionali delle associazioni sindacali e di categoria e degli ordini professionali e dalle amministrazioni statali centrali e agli enti pubblici, assimilati e istituzionali a rilevanza nazionale.

 

La presentazione delle istanze e la formulazione dei quesiti

Come accade anche per l’interpello, la richiesta di consulenza giuridica può essere redatta in carta libera e non è soggetta al pagamento dell’imposta di bollo; deve essere prodotta mediante consegna a mano, ovvero mediante spedizione in plico raccomandato con avviso di ricevimento: occorre pertanto un livello di «formalità» superiore rispetto a quanto è nella prassi corrente delle attività di informazione e assistenza, rendendosi necessario un passaggio «cartaceo» con un deposito / spedizione nel quale vengano attestate con certezza la ricezione del quesito e la relativa data.

Di conseguenza, non sono per ora possibili domande a mezzo fax o e-mail, e anche ciò risulta in linea con quanto è previsto per l’interpello (mentre la risposta può es- sere resa dall’amministrazione anche mediante mezzi elettronici).

Se la richiesta di consulenza è inviata a un ufficio non competente, questo provvede a trasmetterla tempestivamente alla direzione centrale o regionale competente per la trattazione; di tale trasmissione viene data contestualmente notizia al soggetto richiedente.

 

Natura, effetti, procedura

Quanto agli effetti e alla portata in generale delle risposte rese dall’Agenzia, la circo- lare precisa che la consulenza esterna «consegna» all’istante semplicemente un parere motivato, ma non vincolante per nessuna delle due parti; la consulenza interna è invece espressione di un orientamento, di un indirizzo interpretativo che ha la funzione di uniformare il comportamento di tutte le strutture coinvolte a vario titolo nelle diverse fasi di attuazione del prelievo tributario.

Tutte le istanze devono contenere comunque le seguenti indicazioni:

  • qualificazione del tipo di istanza come «consulenza giuridica»;
  • dati identificativi del soggetto istante (le consulenze esterne devono essere sottoscritte dal rappresentante legale o dal suo delegato e devono riportare l’indicazione del domicilio fiscale, del codice fiscale o della partita IVA);
  • indirizzo presso cui si desidera ricevere le comunicazioni dell’Agenzia, recapito telefonico, indirizzo di posta elettronica e numero di fax.

 

Anche se non si tratta di attività di interpello, l’Agenzia intende rendere omogenee rispetto a tale istituto le prassi che regolamentano l’attività di consulenza generale, ritenendo applicabili alcune disposizioni che regolano il procedimento di interpello, ad eccezione della:

  • previsione della perentorietà dei termini della risposta;
  • formazione del silenzio assenso;
  • nullità dell’atto impositivo e/o sanzionatorio difforme dalla risposta all’interpello.

In particolare, rettificando quanto era stato affermato nella predetta circolare n. 99 del 2000, la nuova pronuncia impegna le strutture dell’Agenzia

«a fornire le risposte ENTRO UN TERMINE NORMALMENTE NON SUPERIORE A 120 GIORNI DALLA DATA DI RICEZIONE DELLA RICHIESTA, ferma restando la possibilità di chiedere ulteriore documentazione ad integrazione dell’istanza».

Gli effetti della consulenza giuridica

La circolare afferma che, analogamente all’interpello, i pareri resi in sede di consulenza giuridica esterna non vincolano i soggetti il cui caso trova soluzione nell’interpretazione fornita dall’Agenzia.

In verità, occorrerebbe rammentare che una determinata tipologia di contribuenti – i c.d. soggetti di «rilevanti dimensioni» vengono monitorati sul comportamento tenuto dopo l’interpello per controllare se si sono attenuti alla risposta ricevuta4.

Al contribuente che si è adeguato all’indirizzo espresso dall’Agenzia nella risposta alla consulenza giuridica non sono in ogni caso irrogabili sanzioni, né richiesti interessi moratori ai sensi dell’art. 10, secondo comma, dello Statuto.

A tale riguardo, si manifesta l’opinione che in realtà è difficile immaginare un’ipotesi di «mancato adeguamento» se la richiesta di consulenza (esterna) viene prodotta da un’associazione di categoria o da un ordine professionale con riferimento a una fattispecie generica che interessa più associati.

Tutte le forme di interpello devono essere corredate di opportuni riscontri documentali. Tale regola viene estesa anche alle richiesta di consulenza giuridica generale, anche se per la presentazione di «casistiche» non specifiche e personali potrebbe risultare difficile o superflua la produzione di «allegati» utili agli uffici.

A tale riguardo, l’Agenzia precisa che la documentazione può essere presentata, oltre che in «cartaceo», anche su supporto informatico (CD, DVD, etc.), ma tale supporto dovrà comunque essere consegnato o spedito con le medesime modalità che sono ritenute valide per l’interpello, cioè mediante consegna a mano o in plico raccomandato con avviso di ricevimento.

Allo stato poi, come già rammentato, alle forme tradizionali utilizzabili per la trasmissione delle istanze all’amministrazione si è aggiunta anche la PEC: ciò significa che anche la documentazione aggiuntiva potrà utilizzare tale via, ma non – evidentemente – la posta elettronica ordinaria, priva delle necessarie garanzie quanto alla provenienza e ai tempi.

 

L’interpello CFC

Di fronte alle problematiche derivanti dalla presenza di complessi e articolati rapporti tra i soggetti fiscalmente domiciliati in Italia e le giurisdizioni estere, il legislatore ha scelto la strada del ruling piuttosto che quella del controllo sistematico: si tratta però di un ruling avente la specifica funzione di produrre un’«esimente», cioè di una procedura idonea a escludere l’applicazione del vincolo e della norma (di fatto) sanzionatoria, subordinatamente alla dimostrazione che l’attività svolta nello Stato «black list» è effettiva, ovvero che dal possesso della partecipazione non consegue l’effetto di spostare la tassazione dei redditi nelle giurisdizioni estere.

L’interpello in materia di CFC (di cui all’art. 167, quinto comma, del Testo Unico) presenta molti aspetti analoghi rispetto a quello in materia di «costi esteri» (ex art. 110, undicesimo comma, TUIR), non relativamente alla procedura, bensì rispetto alla tipologia di riscontri che devono essere forniti dagli interpellanti, imperniati sulla dimostrazione dell’«effettività» (e – si ritiene – necessarietà per il business) della struttura/partecipazione estera black list.

Può essere a tale riguardo puntualizzato che:

  • nel caso dell’art. 110, undicesimo comma, del TUIR, è consentito – con rinvio alla procedura dell’interpello antielusivo (ex art. 21, L. n. 413/1991) – di disapplicare la norma sull’indeducibilità dei costi derivanti da operazioni con Paesi «black list», di cui all’art. 110, decimo comma;
  • per la disapplicazione delle norme CFC, di cui all’art. 167, quinto comma, del TUIR, ora esteso anche alle società estere collegate, è invece esperibile una particolare forma di interpello ordinario (a norma dell’art. 11 dello Statuto del contribuente), con una soluzione analoga – dal punto di vista degli istituti di ruling accessibili – a quella adottata per la fruizione della participation exemption con riferimento a partecipazioni in società estere [art. 87, primo comma, lett. c)] e per evitare la tassazione sul 100% degli utili di fonte estera (artt. 47, quarto comma, e 89, terzo comma).
    Va altresì rimarcato che l’interpello in materia di costi esteri è finalizzato alla produzione, in via alternativa, delle dimostrazioni richieste al fine di disapplicare la norma che prevede la tassazione per trasparenza delle società estere in Italia, cioè delle condizioni:
  • dell’effettiva attività economica esercitata in via principale nello Stato o territorio di insediamento (c.d. PRIMA ESIMENTE);
  • (o, in alternativa) della «non delocalizzazione» degli imponibili fiscali in giurisdizioni estere a bassa fiscalità (c.d. SECONDA ESIMENTE).
    Secondo il terzo comma dell’art. 5 del decreto attuativo 21.11.2001, n. 429, ai fini della risposta positiva rileva in particolare:
  • (quanto alla prima esimente) il fatto che l’impresa, la società o l’ente non residente svolge effettivamente un’attività commerciale, ai sensi dell’art. 2195 del c.c., come sua principale attività nello Stato o nel territorio con regime fiscale privilegiato nel quale ha sede, con una struttura organizzativa idonea allo svolgimento dell’attività stessa oppure alla sua autonoma preparazione e conclusione;
  • (ovvero, quanto alla seconda esimente) il fatto che i redditi conseguiti da tali soggetti sono prodotti in misura non inferiore al 75% in altri Stati o territori non black list, ed ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria;
  • in caso di stabile organizzazione estera, il fatto che i redditi da questa prodotti siano integralmente sottoposti a tassazione ordinaria nello Stato o territorio in cui ha sede l’impresa, la società o l’ente partecipato.

 

L’istanza per la disapplicazione della CFC rule deve essere inoltrata all’Agenzia delle Entrate preventivamente: secondo la circolare n. 32/E, ai fini della verifica della preventività il comportamento (costituito dall’indicazione del reddito della società CFC) trova attuazione nella dichiarazione dei redditi, e dunque l’istanza deve essere presentata – a pena di inammissibilità – in tempo utile per ottenere la risposta prima della scadenza del termine ordinario di presentazione della dichiarazione,

«a nulla rilevando la circostanza che l’inadempimento può essere sanato nei 90 giorni successivi ovvero che la dichiarazione originariamente presentata è integrabile, sia a favore del contribuente, sia a favore dell’erario».

«Pertanto, se un contribuente con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare intende chiedere la disapplicazione della CFC rule con riferimento ad una controllata estera per il periodo d’imposta 2010, la relativa istanza dovrà essere presentata entro il 1° giugno 2011, posto che il termine ordinario per l’invio della relativa dichiarazione dei redditi scade il 30 settembre 2011».

 

Le controllate «white list»

Le modificazioni apportate alla disciplina CFC dall’art. 13 del D.L. 1.7.2009, n. 78, convertito dalla L. 3.8.2009, n. 102 hanno previsto la rilevanza – in determinate ipotesi – anche delle partecipate (solo controllate, e non anche collegate) residenti in Stati e territori non inclusi nelle «black list» ministeriali ai fini della disciplina di tassazione per trasparenza in capo al soggetto controllante italiano (nuovo comma 8-bis dell’art. 167, TUIR), sono state esaminate nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E del 6.10.2010.

Si rammenta a tale riguardo che le condizioni che devono verificarsi sono, congiuntamente:

  • il livello di tassazione, inferiore, nello Stato estero, al 50% di quella italiana;
  • la fonte dei proventi conseguiti dal soggetto estero, che deve essere costituita per oltre il 50% dalla gestione dei c.d. passive income («gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie; cessione o concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica; prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari»).

Relativamente al primo aspetto, la circolare n. 51/E ha precisato che il confronto tra la tassazione effettiva estera e quella virtuale interna deve considerare le sole imposte sui redditi, escludendo l’IRAP e fondandosi per quanto possibile sulle convenzioni internazionali.

In tale contesto, la richiesta di disapplicazione presentata dal soggetto controllante residente, che riveste carattere di obbligatorietà (circolare n. 51/E/2010; circolare 14.6.2010, n. 32/E), deve dimostrare che la società estera non è una «costruzione di puro artificio» intesa a conseguire indebiti vantaggi fiscali, secondo i criteri enucleati dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza «Cadbury-Schweppes» del 12.9.2006 – causa C-196/04), e codificati dalla Commissione Europea [comunicazione COM(2007) 785 def del 10 dicembre 2007, riguardante «L’applicazione di misure antiabuso nel settore dell’imposizione diretta all’interno dell’UE e nei confronti dei Paesi terzi»].

 

L’effettivo insediamento del mercato estero

Dopo le modificazioni apportate dal D.L. n. 78/2009, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E/2010, ha fornito importanti precisazioni relativamente alla c.d. «prima esimente» che può essere fornita dal soggetto controllante italiano in sede di interpello speciale, al fine di ottenere la disapplicazione della tassazione per trasparenza in Italia.

Si tratta, nello specifico, dell’esimente costituita dall’effettivo insediamento della società nello Stato o territorio estero (cioè della condizione costituita dallo svolgimento, da parte della società non residente, di «un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento»).

L’innovazione normativa è stata interpretata come rafforzativa dell’esimente già prevista (in coerenza, peraltro, con la posizione già assunta in via interpretativa dall’Agenzia delle Entrate nella propria risoluzione 18.11.2008, n. 427/E).

Nella sostanza, è necessario dimostrare, oltre allo svolgimento di un’effettiva attività industriale o commerciale, anche la presenza di una struttura organizzativa e funzionale autonoma radicata nello Stato o territorio di insediamento, capace di svolgere la propria attività con risorse adeguate.

Secondo l’Agenzia, peraltro, la disponibilità nello Stato estero di una struttura organizzativa idonea è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini della disapplicazione, giacché occorre dimostrare che la partecipata estera svolge effettivamente in loco un’attività industriale o commerciale.

In tale contesto, il riferimento al «mercato» deve intendersi come collegamento al mercato di sbocco o di approvvigionamento, mentre il mancato collegamento al mercato costituisce un indizio del mancato esercizio di un’effettiva attività commerciale nel Paese estero.

Ai fini della disapplicazione, occorre altresì evidenziare le ragioni economiche-imprenditoriali che hanno portato a effettuare l’investimento nello Stato o territorio «black list».

Senza costituire precludere di per sé la risposta positiva in sede di disapplicazione ex art. 167, quinto comma, del TUIR (che potrebbe ad esempio supportarsi sulle ragioni economico-imprenditoriali per le quali la CFC è costituita e mantenuta), la circostanza che la società estera non si rivolge al mercato locale né in fase di approvvigionamento, né in fase di distribuzione,

«costituisce un indizio del mancato esercizio da parte della stessa di un’effettiva attività commerciale nel territorio di insediamento».

Il livello effettivo di tassazione

Alla luce del canone comunitario della libertà di stabilimento, occorre ben valutare il concetto di «costruzione artificiosa», particolarmente rilevante considerando che il regime CFC viene esteso alle controllate in Stati non black listed, se i proventi sono generati in prevalenza da passive income e il livello di tassazione effettiva è inferiore alla metà di quello italiano.

Secondo quanto è stato affermato nel tavolo interassociativo tra ABI, ANIA, Assonime e Confindustria (documento «note e studi» Assonime n. 15/2009),

« … la verifica in ordine alla tassazione effettiva va effettuata calcolando la base imponibile teorica della società estera e l’imposta teorica relativa. Il calcolo della base imponibile teorica dovrebbe richiedere, a stretto rigore, la riclassificazione del bilancio di esercizio della controllata estera secondo le regole applicabili in Italia. Sulle risultanze del conto economico così riclassificato andrebbero poi calcolate le variazioni in aumento e in diminuzione previste dalle norme tributarie italiane».

 

Il livello effettivo di tassazione assume rilevanza anche per quanto riguarda la possibilità di far valere ai fini della disapplicazione la «seconda esimente» prevista dall’art. 167, quinto comma, del TUIR (non-delocalizzazione dei redditi): in tale prospettiva occorre dare rilievo – secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E/2010 – alla tassazione effettiva che la CFC avrebbe subito se fosse stata localizzata in Italia, la quale per ipotesi (in presenza di redditi esenti o esclusi) potrebbe essere anch’essa inferiore alla tassazione ad aliquota nominale.

L’esistenza di un tax rate effettivo inferiore a quello italiano non preclude peraltro la possibilità di ottenere la disapplicazione producendo la «seconda esimente»: in tale prospettiva va considerata con attenzione la sistematica distribuzione di dividendi da parte della CFC alla «madre» italiana, la quale

«da un lato rafforza la dimostrazione della carenza di intenti elusivi, dall’altro immette l’utile prodotto dalla CFC in circuiti totalmente accessibili all’Amministrazione finanziaria italiana ai fini dell’acquisizione delle relative informazioni».

È a tale riguardo necessario comprovare – con idonea documentazione – la sistematica distribuzione verso l’Italia dell’utile proveniente dalla CFC,

«nel presupposto che risulti contemporaneamente verificata la precedente condizione, e cioè che l’imposizione effettiva complessivamente gravante sull’utile ante imposte della CFC sia congrua rispetto al livello di imposizione gravante in Italia, a prescindere dal luogo in cui il reddito si considera prodotto e dallo Stato (o dagli Stati) in cui avviene detta tassazione».

 

Secondo la circolare n. 23/E del 2011 (punto 4 – D2), la verifica della «convenienza fiscale» a mantenere la partecipata estera (in considerazione di regimi tributari comparativamente più favorevoli rispetto a quello italiano) si riflette anche sulla possibilità di valutare il carattere «artificioso» della struttura non residente: insomma, se la convenienza fiscale è evidente, mentre non è altrettanto evidente la ragione economica extrafiscale, l’amministrazione potrebbe propendere per un orientamento negativo.

AVVERTENZE GENERALI:

  • nell’ambito dell’interpello CFC è necessario fornire una serie di riscontri puntuali (benché cartolari), riferiti sia all’effettiva esistenza della struttura in loco, sia alla sua «commercialità» e finalizzazione all’attività di impresa, sia – infine – al radicamento nei mercati (di approvvigionamento e di sbocco) e alle valide ragioni economiche;
  • il riferimento ai «mercati» viene inteso con una certa ampiezza, cioè per aree geografiche più che per «Stati» (Middle East, Far East, etc.);
  • è opportuno evitare la prospettazione di questioni e situazioni in maniera generica e indimostrata, con riferimento ad attività non meglio specificate, senza un adeguato supporto anche dal punto di vista contrattuale o senza che ne sia dimostrato il «costrutto» sotto il profilo economico.

 

CFC: le dimostrazioni da fornire

CFC dimostrazioni da fornire

 

CFC seconda esimente

 

CFC: gli indici di artificiosità della struttura estera (CFC white)

CFC white indici di artificiosità

 

Leggi anche:

Il nuovo interpello: coordinamento tra il decreto abuso e i decreti interpello, internazionalizzazioni e sanzioni 

Presentare un’istanza di interpello per disapplicare le norme antielusive ai fini ACE

 

12 febbraio 2013

Fabio Carrirolo

 

NOTE

1 Le ragioni e le conseguenze della soppressione del Comitato consultivo «antielusivo» sono state esplicitate nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 40/E del 27.6.2007. È in tale pronuncia rammentato che il D.L. 4.7.2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4.8.2006, n. 248, ha previsto, all’art. 29, che, per realizzare la finalità di contenimento della spesa sostenuta dalle amministrazioni pubbliche per organi collegiali ed altri organismi operanti nelle predette amministrazioni, si doveva procedere al « … riordino degli organismi, anche mediante soppressione …».

2 Può infatti qualificarsi come «provvedimento amministrativo» solamente la manifestazione di volontà avente rilevanza esterna, proveniente da una Pubblica Amministrazione nell’esercizio di un’attività amministrativa, indirizzata a soggetti determinati o determinabili ed in grado di apportare una modificazione unilaterale nella sfera giuridica degli stessi, mentre il parere ex art. 21 esplicava un vero e proprio effetto solamente in ambito processuale, e ora, dopo la soppressione del Comitato antielusivo, potrebbe tutt’al più generare un’aspettativa nei contribuenti istanti, ossia il loro «affidamento» nel comportamento coerente dell’Amministrazione.

3 Secondo la circolare, nel caso degli interpelli di qualsiasi tipologia riguardanti i soggetti di rilevanti dimensioni, occorre indirizzare le istanze alla DCNC per il tramite della direzione regionale, la quale provvederà entro 15 giorni agli adempimenti di propria competenza (prima istruttoria) e alla trasmissione all’Organo centrale. Nel caso in cui l’istanza venga direttamente inoltrata alla DCNC, ovvero a un altro ufficio non competente per la ricezione, essa verrà trasmessa alla direzione regionale per l’istruttoria preliminare, e il dies a quo decorrerà dalla ricezione da parte dell’ufficio regionale.

4 Cfr. l’art. 27, commi nono e dodicesimo, del D.L. 29.11.2008, n. 185, convertito con modificazioni della L. 28.01.2009, n. 2.

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