La prova testimoniale nel processo tributario: un utilissimo approfondimento per chi si occupa di contenzioso tributario

di Nicola Monfreda

Pubblicato il 5 dicembre 2014

la giurisprudenza in merito alle dichiarazioni di terzi ammissibili nel processo tributario è in continua evoluzione: facciamo il punto sulle più recenti pronunce di Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19965 del 22 settembre 2014, è tornata a pronunciarsi con riguardo all’ambito applicativo del divieto di cui all’art.7 del D.Lgs. n. 546/1992 e, quindi, in relazione alla valenza processuale delle dichiarazioni rese da terzi nel corso dell’attività istruttoria.

In estrema sintesi, il Supremo Collegio – uniformandosi a precedenti orientamenti giurisprudenziali di analoga direzione1 – ha affermato che, in tema di contenzioso tributario, la disposizione contenuta nel citato art.7, comma 4 del D.Lgs. n. 546/1992 - secondo cui nel processo tributario "non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale" - in quanto limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni, vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio.

Le dichiarazioni dei terzi raccolte, invece, dai verificatori, quand'anche nell'ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova nel processo tributario. Tali dichiarazioni hanno valore di elementi indiziari, che devono essere obbligatoriamente valutati dal giudice, seppur in concorso con altri elementi: ne consegue che è illegittima la sentenza che, nell’escludere una tale valenza, ne ometta una qualsiasi valutazione.



Tenuto conto di quanto affermato nella richiamata pronuncia, si reputa opportuno formulare alcune considerazioni interpretative sul vigente divieto, nel processo tributario, della prova testimoniale e del giuramento, come espressamente disposto dall’art.7, comma 4 del D.Lgs. n. 546/1992, il quale disciplina tassative limitazioni ai mezzi istruttori ammissibili.

In realtà, anche alla luce dell’evoluzione dei rapporti tra l’Amministrazione Finanziaria ed il contribuente, il dianzi citato principio ha subito, con particolare riguardo all’ambito giurisprudenziale, sensibili attenuazioni tese a consentire l’ingresso di dichiarazioni di parte al ricorrere di particolari casi concreti ed attenuare, quindi, la supposto “inferiorità istruttoria” del privato rispetto all’Istituzione pubblica.

Infatti, con riguardo a quanto in precedenza sottolineato, si reputa opportuno riportare le principali pronunce esistenti in materia:

  • nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo - acquisite, come nel caso concreto, dalla Polizia Tributaria nel corso di un'ispezione, e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito nell'avviso di accertamento - hanno per lo più valore meramente indiziario, per cui concorrono a formare il convincimento del giudice, se confortate da altri elementi di prova. Tuttavia, tali dichiarazioni - nel concorso di particolari circostanze - possono rivestire i caratteri delle presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell'art. 2729 c.c., dando luogo, di conseguenza, non ad un mero indizio, bensì ad una prova presuntiva, idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell'avviso di accertamento in rettifica, da parte dell'Amministrazione finanziaria.” Cass. civ. Sez. V, 05-05-2011, n. 9876;

  • nel caso in cui il contribuente dimostri di trovarsi nell'incolpevole impossibilità di produrre tali documenti (nella specie, a causa di furto) e di non essere neppure in grado di acquisire copia delle fatture presso i fornitori dei beni o dei servizi, trova applicazione la regola generale prevista dall'art. 2724 c.c., n. 3, secondo cui la perdita incolpevole del documento occorrente alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole non costituisce motivo di esenzione dall'onere della prova, nè trasferisce lo stesso a carico dell'Ufficio, ma autorizza soltanto il ricorso alla prova per testimoni o per presunzioni, in deroga ai limiti per essa stabiliti” Cass. civ. Sez. V, Sent., 09-12-2009, n. 25713;

  • In assenza di diverse previsioni, si deve fare riferimento alla regola generale fissata dall'art. 2724 c.c., n. 3. Secondo tale disposizione la perdita senza colpa del documento, che occorra alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole, non integra ragione di esenzione dall'onere della prova, nè sposta il medesimo sulla controparte, ma rileva esclusivamente come situazione autorizzativa della prova per testimoni (o per presunzioni), in deroga ai limiti per essa previsti, hi applicazione della suddetta norma, è da ritenersi che l'incolpevole smarrimento della contabilità, richiesta per la detrazione di IVA "a credito", non introduce una presunzione di veridicità di quanto in proposito denunciato dal contribuente con la dichiarazione annuale, nè comporta l'onere per l'ufficio di dimostrarne la non rispondenza a realtà, ma spiega influenza solo al fine di ammettere il contribuente, in fase di opposizione alla rettifica disconoscitiva di posizioni addotte a credito (rettifica doverosa, in assenza del prescritto corredo documentale), ad offrire con altri mezzi un'adeguata dimostrazione delle operazioni assertivamente produttive delle posizioni stesse”. Cass. civ. Sez. V, 15-05-2008, n. 12201.



Pertanto, la previsione in esame relativa al divieto di prova testimoniale e confessione è stato oggetto, sia in dottrina che in giurisprudenza, di un vivace dibattito con particolare riferimento alla legittimità di tale limitazione istruttoria alla luce dei principi costituzionali di eguaglianza, di capacità contributiva ed in materia di diritto difesa.

Infatti, è stata posta in dubbio la correttezza della disposizione in analisi in ragione del possibile nocumento che potrebbe essere arrecato al cittadino che, tra le parti del processo, si viene a trovare nella necessità di avvalersi della prova testimoniale per dimostrare un fatto rilevante ai fini della decisione, non suscettibile di essere diversamente provato; in altre parole, la richiamata disposizione processuale potrebbe essere ritenuta idonea a cristallizzare una situazione di inferiorità difensiva del contribuente e di alterazione dell’equilibrio della “parità istruttoria” delle parti in causa, anche alla luce del fatto che la normativa tributaria prevede una serie di presunzioni legali a favore dell’Amministrazione Finanziaria che trasferiscono sul contribuente l’onere della prova contraria e, in determinate ipotesi, prevede, altresì, l’utilizzabilità di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’ art.2729 c.c..

In altre parole, un’interpretazione restrittiva del già citato art.7, comma 4 del D.Lgs. n. 546/1992 comporta l’impossibilità per il contribuente, privo dell’idonea documentazione per causa a lui non imputabile, di poter fornire, in sede giurisdizionale, la prova contraria, necessaria a vincere le presunzioni di cui l’Amministrazione Finanziaria si sia eventualmente avvalsa in sede di procedimento amministrativo di accertamento tributario, per il tramite della prova testimoniale.

Poniamo il caso di un accertamento fondato sulle risultanze delle indagini finanziarie; sussiste, in virtù di quanto disposto dall’art.32, comma 1 nr.2 del D.P.R. nr.600/1973, come modificato dall’art.1, commi 402 a 404 della Legge nr.311 del 30 dicembre 2004, una presunzione di ricavi iuris tantum connessa ai prelevamenti sui conti correnti bancari. Tale presunzione legale2 relativa, pertanto, è finalizzata al recupero a tassazione di un maggior reddito che si ritiene conseguito in virtù del fatto che a prelevamenti bancari non giustificati possono ragionevolmente corrispondere acquisti non contabilizzati di beni o servizi utilizzati per la successiva cessione di beni o prestazione di servizi i cui ricavi non sono transitati in contabilità. In altre parole, agli ammontari prelevati potrebbero corrispondere spese non dichiarate cui possono fare seguito ricavi occultati all’Amministrazione Finanziaria e percepiti nell’ambito dell’attività esercitata; di conseguenza, come affermato, altresì, dalla Corte di Cassazione con sentenza nr. 18016 del 9 ottobre 2005, tutti i movimenti risultanti dai conti bancari, sia le operazioni di prelievo che di versamento, devono essere imputati a ricavo, salva la prova contraria fornita dal contribuente che è tenuto a provare, altresì, la sussistenza di costi non contabilizzati riconducibili alle operazioni di prelievo, in quanto non è lecito presumere che se un soggetto ha occultato componenti positivi di reddito debba avere anche dichiarato parzialmente i costi sostenuti nell’esercizio dell’attività visto che, al contrario, "la norma muove dal presupposto che il contribuente tenda ad occultare i ricavi, ma non i costi".

Il Legislatore, pertanto, ha temperato la presunzione di cui sopra con il riconoscimento della possibilità per il contribuente di fornire, tramite idonea documentazione, la prova contraria; Quid juris se, per cause di forza maggiore e/o caso fortuito e, quindi, per cause non imputabili al contribuente ( ad esempio nell’ipotesi di smarrimento, distruzione o furto della contabilità e di altra documentazione), quest’ultimo non ha più la disponibilità della documentazione necessaria per vincere la presunzione suddetta?

L’indisponibilità della documentazione di rilevanza fiscale, inoltre, comporta l’impossibilità per il contribuente di ottemperare agli eventuali inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, primo comma, numeri 3) e 4) del D.P.R. n. 600/1973 o dell’art. 58, secondo comma, numeri 3) e 4) del D.P.R. n. 633/1972 e di mettere a disposizione degli operatori la stessa documentazione in caso di accesso ai sensi dell’art.52, comma 5 del D.P.R. n. 633/1972, con la conseguenza che:

  • l’Amministrazione Finanziaria è legittimata all’utilizzo del metodo induttivo o extracontabile di cui al comma 2 dell’art.39 del D.P.R. n. 600/1973 e, quindi, può giungere alla rideterminazione del reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, prescindendo in tutto o in parte dalle risultanze contabili ove esistenti, con la possibilità di avvalersi di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 cod. civ.;

  • in caso di successivo ritrovamento della documentazione non esibita in sede di accesso, il contribuente potrà comunque utilizzare la stessa in sede amministrativa o contenziosa atteso che, come ribadito recentemente dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 27556 del 29 Dicembre 2009, non integrano i presupposti applicativi della preclusione all’utilizzabilità di cui al comma 5 dell’art.52 del D.P.R. n. 633/1972 le dichiarazioni, corrispondenti al vero, circa l’indisponibilità del documento, sia se questo sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, sia se imputabile a colpa;

  • in caso di successivo ritrovamento della documentazione precedentemente non trasmessa a seguito degli inviti formulati dall’Amministrazione Finanziaria ai sensi dell’art. 32, primo comma, numeri 3) e 4) del D.P.R. n. 600/1973 o dell’art. 58, secondo comma, numeri 3) e 4) del D.P.R. n. 633/1972, il contribuente potrà comunque depositare in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa tutte le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri di cui non è stata possibile la produzione per causa, debitamente provata, a lui non imputabile;

  • nel caso in cui, invece, non vi sia il ritrovamento della documentazione necessaria, pur essendo tale indisponibilità da addebitarsi a causa non imputabile al contribuente, quest’ultimo, in base ad una interpretazione restrittiva del divieto di prova testimoniale di cui all’art.7, comma 4 del D.Lgs. n. 546/1992, non potrebbe, in sede giurisdizionale, “vincere” le presunzioni alle quali l’Amministrazione Finanziaria ha fatto legittimamente ricorso attraverso l’utilizzo del metodo induttivo.

Infatti, la Corte di Cassazione, confermando quanto già chiarito in precedenti e numerose pronunce, con la sentenza nr. 9919 del 23 gennaio 2008 e depositata il 16 aprile 2008, nel ribadire che l’Amministrazione Finanziaria è legittimata al ricorso all’accertamento induttivo anche nel momento in cui le scritture contabili obbligatorie siano state oggetto di illecita sottrazione da parte di soggetti terzi, ha affermato che permane in capo al contribuente l’onere probatorio relativo agli elementi di fatto e di diritto a sostegno della sussistenza di componenti negative, dedotte dal reddito d’impresa; a detta della Corte di Cassazione, pertanto, lo smarrimento o furto della documentazione contabile non può costituire elemento idoneo a giustificare la deduzione di costi qualora lo stesso contribuente non sia in grado di provare i fatti che legittimano il riconoscimento dei costi stessi.

In tal caso, la Corte di Cassazione ammette, comunque, la possibilità che il contribuente, in sede contenziosa, possa ricostruire la propria corretta posizione reddituale attraverso la presentazione di idonea documentazione fiscale o di altra documentazione avente carattere equipollente; d’altra parte, se il contribuente non è in grado di fornire la documentazione de quibus per causa di forza maggiore, non spetta all’Amministrazione Finanziaria operare un esame dei dati contabili tramite controlli incrociati, ma è lo stesso contribuente che, al fine di dimostrare la fonte che giustifica la deduzione operata, è tenuto ad attivarsi presso i propri fornitori per ottenere copia delle fatture emesse o di documentazione equipollente.

In ragione dell’analisi di cui sopra, pertanto, è necessario capire se, nei prospettati casi e, quindi, innanzi ad una incolpevole indisponibilità della documentazione necessaria a superare le presunzioni impiegate dall’Amministrazione Finanziaria, il contribuente possa o meno, in sede contenziosa, avvalersi della prova testimoniale pur essendo la stessa espressamente esclusa dal processo tributario. La legittimità della preclusione alla prova testimoniale di cui trattasi è stata peraltro confermata dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n.18 del 21 gennaio 2000, ha ribadito che:

  • il divieto di prova testimoniale, essendo formulato in termini generali ed astratti, non può collidere con il dettame dell’art.3 della Costituzione e, quindi, con il principio di "parità delle armi" che rappresenta l'espressione, in campo processuale, del principio di eguaglianza;

  • non esiste affatto un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo e, quindi, tra il processo tributario e quello civile ove, invece, la prova testimoniale è ammessa; infatti, i diversi ordinamenti processuali ben possono differenziarsi sulla base di una scelta razionale del Legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in giudizio;

  • l'esclusione della prova testimoniale nel processo tributario non costituisce, di per sé, violazione del diritto di difesa, potendo quest'ultimo, ai fini della formazione del convincimento del giudice, essere diversamente regolato dal legislatore, nella sua discrezionalità, in funzione delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti;

  • il divieto della prova testimoniale trova una sua non irragionevole giustificazione sia nella "spiccata specificità" del processo tributario rispetto a quello civile ed amministrativo, correlata alla configurazione dell'organo decidente ed al rapporto sostanziale oggetto del giudizio, sia nella circostanza che il processo tributario è ancora, specie sul piano istruttorio, in massima parte scritto e documentale.

La portata applicativa del divieto di cui trattasi è stata comunque chiarita da diversi orientamenti giurisprudenziali che, in linea generale, ne hanno attenuato la rigidità, ammettendo, in determinati casi, la possibilità di porre in essere giustificate eccezioni, facendo ricorso al principio generale cristallizzato nell’art.2724 c.c.. Infatti, la disposizione codicistica disciplinante le “Eccezioni al divieto della prova testimoniale”, prevede che la prova per testimoni è ammessa in ogni caso:

  • quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato;

  • quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta;

  • quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.

A tal proposito, nella sentenza della Corte di Cassazione del 26.09.1995 n. 10174, si afferma che “in tema d'Iva, l'onere del contribuente di provare per iscritto i crediti che alleghi con la dichiarazione annuale, per imposta pagata al fine dell'acquisizione di beni o servizi inerenti all'esercizio dell'impresa (art. 19, 25 e 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633), non viene meno nel caso d'incolpevole impossibilità di produrre i relativi documenti (nella specie, a causa di distruzione provocata da incendio fortuito), trattandosi di circostanza che rileva sotto il diverso profilo di rendere applicabile l'art. 2724 n. 3 c.c., e, quindi, di autorizzare con altri mezzi di prova (incluse le testimonianze e le presunzioni) la dimostrazione delle operazioni che assuma produttive di dette posizioni creditorie.”

Ex pluribus, la Corte di Cassazione, con sentenza nr. 9610 del 21 marzo 2008 e depositata l’11 aprile 2008, ha affermato che, nel caso di oggettiva impossibilità di reperimento della documentazione presso i fornitori, si riconosce il diritto del contribuente di dimostrare la reale sussistenza delle operazioni economiche rilevanti ai fini della legittimità delle detrazioni tramite l’istituto di cui all’art. 2724, n. 3 c.c. in ragione del quale, in deroga al divieto di prova testimoniale di cui all’art.7, nr.4 del D.Lgs. nr.546/1992, si dispone che la prova testimoniale è in ogni caso ammessa quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova, salvo la necessità di dimostrare, non solo l’esistenza del documento stesso ma anche il relativo contenuto. Infatti, a detta della Corte, la fondata impossibilità di produzione documentale “rileva esclusivamente come situazione autorizzativa della prova per testimoni (o per presunzioni), in deroga ai limiti per essa previsti" in quanto “si deve fare riferimento alla regola generale fissata dall'articolo 2724, n. 3) del codice civile”.3

L’intera questione in analisi è stato oggetto di una recente pronuncia della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 587 del 15.01.2010, ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di una della Commissione tributaria Regionale che aveva affermato l’illegittimità di un accertamento induttivo basato sulle risultanze delle indagini bancarie "stante la impossibilità di difesa del contribuente sui dati esposti dall'Ufficio, in quanto la contabilità era andata distrutta in un incendio.

La Corte di Cassazione, in particolare, ha ribadito che:

  • nel processo tributario, nel caso in cui l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziano si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell'onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti;

  • nel caso in cui il contribuente si trovi nell'incolpevole impossibilità di produrre documentazione contabile a prova contraria (a causa di furto o, come nella fattispecie, di incendio), “trova applicazione la regola generale prevista dall'art. 2724 cod. civ., n. 3, secondo cui la perdita incolpevole del documento occorrente alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole non costituisce motivo di esenzione dall'onere della prova, nè trasferisce lo stesso a carico dell'Ufficio, ma autorizza soltanto il ricorso alla prova per testimoni o per presunzioni, in deroga ai limiti per essa stabiliti”.



5 dicembre 2014

Nicola Monfreda

1 Cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20032 del 30/09/2011.

2 Ai sensi dell’art.2728 c.c. le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite.

3La linea interpretativa adottata in questa pronuncia è conforme a quanto già prospettato dalla medesima Corte di Cassazione nella sentenza nr.21233 del 18 maggio 2006.