Senza prove contrarie, lo studio di settore regge…

il contribuente che non riesce a smontare le presunzioni che nascono dallo studio di settore rischia di dover pagare anche le spese processuali

Con ordinanza n. 12346 del 17 luglio 2012 (ud. 20 giugno 2012) la Cassazione ha ritenuto insufficiente, dal punto di vista probatorio, il prospetto di incassi/provvigioni redatto dallo stesso contribuente, al fine di dimostrare l’inapplicabilità dello studio nel caso di specie.

 

La sentenza

Innanzitutto, la Corte prende spunto dai principi affermati dalla sentenza n. 26635/2009, secondo cui

“la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ‘ex lege’ determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli ‘standards’ in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli ‘standards’ o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello ‘standard’ prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.

L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli ‘standards’ al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.

In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli ‘standards’, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.

Nel caso specifico, per i giudici, la decisione impugnata è esente da censure, poichè dopo avere rilevato la insufficienza probatoria del prospetto di incassi/provvigioni redatto dallo stesso contribuente, nonchè delle incongruenze e carenze documentali e qualificato

“generiche e meramente discorsive oltre che smentite dai fatti” le giustificazioni addotte dal contribuente, ha rigettato l’appello del contribuente affermando: “che il contribuente non ha fornito alcun convincente elemento di prova idoneo ad inficiare la portata presuntiva dei parametri”.

 

Né, osserva la Corte, è questa la sede per potere riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

La Corte, quindi, rigetta il ricorso e condanna il contribuente alla rifusione, in favore dell’Amministrazione Finanziaria, delle spese del grado, liquidate in complessivi € 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.

 

Brevi note

L’atto di accertamento fondato sugli studi di settore è legittimo se il contribuente non fornisce la prova contraria.

In pratica, il dato di partenza è la legittimità dello studio, che può essere modificato solo se il contribuente dimostra di non essere in una situazione di normalità.

Per certi versi, gli ultimi orientamenti giurisprudenziali si avvicinano molto al pensiero della circolare n. 5/E del 23 gennaio 2008, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha fornito una serie di indicazioni, in ordine alle modalità di utilizzo dello studio di settore, in fase di accertamento.

Ma come affermato dalla Commissione tecnica per lo studio e l’approfondimento delle problematiche di tipo giuridico ed economico inerenti alla materia degli Studi di Settore (cd. Commissione Rey1) “gli studi di settore (sds) sono un elemento indispensabile per migliorare i rapporti fra Fisco e contribuente economicamente di modesta rilevanza economica (micro, piccole e medio piccole-imprese, lavoratori autonomi, professionisti)”.

Una volta acclarato il valore di presunzione semplice degli studi di settore “(2729 c.c.: lasciata alla prudenza del giudice, il quale le ammette solo se gravi precise e concordanti), non in ordine all’effettiva entità dei ricavi conseguiti attraverso operazioni economiche singolarmente identificate, ma sulla base di un ragionamento probabilistico”, e premesso che

“sul piano dei ricavi complessivi stimati, gli sds hanno indubbia attitudine ad essere utilizzati dall’agenzia e poi dal giudice tributario (ove questi, secondo prudenza, ritenga di condividere la valenza presuntiva, nel complessivo contesto probatorio di cui dispone, inclusa la possibilità di avvalersi di ausiliari quali i consulenti tecnici)”,

la relazione afferma che

“risulta erronea, e comunque frutto di un equivoco, la tesi che sostiene l’inidoneità degli sds a legittimare un accertamento basato sulla sola constatazione della divergenza tra ricavi e sds ricavi dichiarati. Sul piano letterale, la tesi travisa il dato dell’art. 62 sexies d.l. 331/93, richiamato poi dalla legge 146/98, art. 10, il quale non richiede affatto gravi incongruenze, nella situazione economico contabile del soggetto controllato, ulteriori rispetto allo scostamento, ma al contrario identifica il presupposto dell’accertamento proprio nell’incongruenza (non qualsiasi, ma grave), tra Rsds e ricavi dichiarati. Come è del resto storicamente confermato dalla circostanza che nell’introdurre gli studi il legislatore non ha affatto inteso fare passi indietro rispetto alla svolta compiuta nel 1989 con i coefficienti: tutti i metodi susseguitisi, nella stessa logica, hanno la funzione di rendere possibile per l’ufficio una rettifica presuntiva dei ricavi senza dover preventivamente ispezionare, e magari invalidare, le scritture contabili.

Lo scostamento è, dunque, a tutti gli effetti un’anomalia che può anche sorreggere da sola l’accertamento, tenuto conto del contesto probatorio complessivo. La ragione per cui gli sds non possono essere utilizzati in via automatica non deriva dalla necessità di abbinare agli stessi ulteriori, gravi incongruenze, ma dalla circostanza che la procedura richiede, a norma di legge, necessariamente un contraddittorio preventivo (che l’agenzia deve obbligatoriamente attivare, ma senza doverlo far precedere da attività istruttorie) cioè un confronto concreto tra situazione specifica del soggetto e Rsds, confronto, la cui ampiezza e complessità dipende dalla quantità e qualità degli elementi, anche presuntivi, che il contribuente offrirà alla fase partecipativa. A contribuente inerte o silente, potrà essere notificato un accertamento basato anche sul mero scostamento, mentre l’applicazione dello studio risulterà più complessa e articolata (fino a poter essere del tutto impedita) là dove lo scostamento trovi giustificazione negli elementi addotti in contraddittorio, e dei quali la motivazione dell’avviso dovrà dare conto. Tale relatività delle Rsds in ordine alla quantificazione dell’accertamento, caratterizza sia la fase procedimentale destinata a sfociare auspicabilmente in un accertamento con adesione, sia quella processuale, nella quale spetterà al giudice procedere ad una quantificazione che, ove le domande del ricorrente lo consentano, potrà anche essere intermedia tra Rsds e dichiarato”.

Gli stessi principi continuano quindi ad essere fatti propri anche dai giudici di merito. Ricordiamo, infatti, che la CTR di Venezia-Mestre, nella sentenza n. 24 del 4 maggio 2009 (ud. del 17 febbraio 2009) ha affermato che è fondato l’avviso di accertamento del reddito di lavoro autonomo incentrato sull’uso di parametri e studi di settore qualora il contribuente non dimostri il carattere di marginalità dell’attività esercitata.

 

1 agosto 2012

Roberta De Marchi

1 Presidente Prof. Guido Rey – Membri Prof. Massimo Basilavecchia e Dott. Roberto Monducci.