Le novità nel processo tributario

Con gli interventi legislativi del 2011 sono tante le novità in materia di procedura civile che riguardano anche il processo tributario: contributo unificato, PEC, nota d’iscrizione a ruolo…

Processo tributario – Premessa

L’art. 37, c. 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è intervenuto sul DPR 30 maggio 2002, n. 1152 estendendo l’applicazione del contributo unificato al processo tributario, in sostituzione dell’imposta di bollo.

Il contributo, da determinare con riferimento al valore della lite, si applica ai ricorsi notificati ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 adecorrere dal 7 luglio 2011.

Ulteriori interventi sulla disciplina del contributo unificato sono stati operati dall’art. 2, c. 35-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, che trovano applicazione a decorrere dal giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, ossia per i ricorsi notificati dal 17 settembre 2011.

 

Effetti sul processo del mancato versamento del contributo unificato

Il mancato pagamento del contributo unificato non determina l’inammissibilità del ricorso, ma comporta solo l’obbligo di procedere all’esazione del tributo, con l’eventuale irrogazione delle sanzioni pecuniarie connesse all’inadempimento

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Giudizi di gravame

Con l’atto di appello si introduce un nuovo giudizio che è successivo alla data del 7 luglio 2011 e pertanto si seguiranno le regole del contributo unificato: quantificazione e dichiarazione nell’atto del valore della causa e pagamento del contributo secondo le previste modalità (F23, bollettino postale, presso il tabaccaio).

Ai fini dell’applicazione del contributo unificato nel processo tributario, ai sensi del comma 3-bis dell’articolo 14 del DPR n. 115 del 2002, le parti devono rendere apposita dichiarazione nelle conclusioni del ricorso dalla quale risulti il valore della controversia. Il nuovo comma 3-bis dell’articolo 14 del Testo unico delle spese di giustizia,

“nei processi tributari, il valore della lite … deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell’ipotesi di prenotazione a debito”.

La mancanza, per i ricorsi notificati a partire dal 17 settembre, è “punita” con l’applicazione del contributo previsto per lo scaglione più alto, attestandosi, quindi, sui 1.500 euro.

L’importo del contributo unificato deve essere determinato con riferimento al valore della lite. Ai sensi del comma 3-bis dell’articolo 14 del DPR n. 115 del 2002, comma 2 Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. modificato dal decreto-legge n. 98 del 2011, nei processi tributari il valore della lite è determinato ai sensi del comma 5 dell’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992, ossia tenendo conto dello

“importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.

Per le controversie tributarie di valore indeterminabile il contributo unificato si applica nella misura di 120,00 euro ai sensi della lettera c del comma 6-quater dell’articolo 13 del DPR n. 115 del 2002, come modificato dalla lettera f del comma 35-bis dell’articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011.

La misura di 120,00 euro si applica per i ricorsi notificati a decorrere dalla data successiva a quella di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 138, ossia notificati dal 17 settembre 2011.

L’art. 2, c. 35-bis, lett. c del decreto-legge n. 138 del 2011, come modificato in sede di conversione, ha inserito nell’art. 13, c. 6, del DPR n. 115 del 2002, il seguente periodo: “Se manca la dichiarazione di cui al comma 3- bis dell’articolo 14, il processo si presume del valore indicato al comma 6- quater, lettera f)”, ossia di valore superiore a 200.000,00 euro con conseguente applicazione del contributo unificato nella misura di 1.500,00 euro.

Tale previsione opera per i ricorsi notificati a decorrere dal giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, ossia per i ricorsi notificati dal 17 settembre 2011.

Per i ricorsi notificati precedentemente alla suddetta data e che non contengono la dichiarazione del valore della lite, non può applicarsi alcuna maggiorazione del contributo unificato (v. circolare n. 1/DF del 2011, cit.).

Con riferimento alla determinazione del valore della lite nel giudizio di appello, la circolare n. 1/DF del 2011 distingue le seguenti ipotesi: “Qualora la sentenza abbia accolto o respinto in toto il ricorso in primo grado, il valore della lite in appello sarà pari a quello determinato in primo grado.

Qualora la sentenza abbia accolto parzialmente il ricorso e riformato in parte l’atto impugnato, il valore della controversia cui commisurare il C.U. sarà pari a quello determinato nella sentenza appellata.

Nell’appello incidentale, il valore della controversia è costituito dalla parte della sentenza che è oggetto dell’appello stesso”.

Esemplificando, in riferimento ad un atto impositivo che reca una maggiore imposta accertata pari ad euro 30.000:

  • la Commissione Tributaria Provinciale ha accolto integralmente il ricorso. Se l’ufficio impugna integralmente la sentenza, il valore della lite è pari ad euro 30.000.Se, invece, l’impugnazione è parziale, ad esempio limitatamente ad euro 20.000, occorre fare riferimento a tale valore poiché la lite risulta ormai definita per la restante parte;

  • la Commissione Tributaria Provinciale ha accolto parzialmente il ricorso del contribuente, rideterminando l’imposta nella misura di euro 20.000.

Se l’ufficio impugna la sentenza (con appello principale/incidentale) relativamente alla parte che lo vede soccombente, il valore della lite ai fini dell’applicazione del contributo unificato è pari ad euro 10.000.

Nell’ipotesi disoccombenza parziale in primo grado, in cui la sentenza sia stataappellata con distinti ricorsi dal contribuente e dall’amministrazione,ciascuna parte che ricorre è tenuta al pagamento del contributo inrelazione al valore della controversia oggetto dei rispettivi ricorsi.

Nel caso in cui una delle parti, parzialmente soccombente, si limiti a controdedurre in relazione all’appello dell’altra parte, il contributo unificato non risulta dovuto.

Nell’esempio fatto, quindi, se entrambe le parti impugnano la sentenza per la parte che le vede soccombenti il valore della lite è pari ad euro 10.000 per l’ufficio e pari ad euro 20.000 per il contribuente.

In buona sostanza, sulla determinazione del contributo unificato dovuto per i giudizi di secondo grado possono verificarsi le maggiori difficoltà di calcolo.

Se per tali ricorsi vale la regola del contributo unificato commisurato al valore della lite, ossia al tributo, allora sarà opportuno ricordare che molte sentenze di primo grado, riformatrici dell’atto impugnato, prevedono la rideterminazione degli imponibili, e non delle imposte. Al fine di individuare il valore della lite per l’impugnativa di secondo grado occorre aver riguardo ai seguenti passaggi :

  • Verifica della revisione riduttiva degli imponibili

  • rideterminazione delle imposte e individuazione degli importi dovuti quale contributo unificato.

In definitiva ,nell’atto di appello il contributo deve essere quantificato avendo riguardo all’importo oggetto dell’impugnazione presso la commissione regionale. Nel caso di soccombenza parziale, sarà quantificato con riferimento alle sole imposte oggetto di appello.

 

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Appello incidentale

Il tempo costituisce il solo criterio per distinguere tra appello principale e appello incidentale; l’incidentalità dell’appello si determina in base al criterio cronologico e non ontologico.

In definitiva, è principale l’impugnazione proposta per prima. L’impugnazione incidentale è la forma necessaria delle impugnazioni contro una sentenza dopo l’impugnazione principale; essa è il mezzo che permette l’unità del procedimento d’impugnazione avverso una stessa sentenza (c.d. principio d’unità dell’impugnazione).

Il dato normativo (art. 333 c.p.c.) reputa incidentali tutte le impugnazioni, successive alla prima, rivolte contro la stessa sentenza, intesa come unità formale contenente una pluralità di capi sulle domande delle parti. In definitiva, alla stregua del principio dell’unità del procedimento d’impugnazione, desumibile dall’art. 333 del c.p.c. i gravami successivi all’appello principale devono essere proposti nelle forme dell’appello incidentale.

Nell’appello incidentale il contributo si calcola sulla parte di imposte oggetto di impugnazione e quindi relative alla soccombenza parziale in primo grado Potrebbe verificarsi che la somma delle imposte oggetto dell’appello principale e quelle oggetto dell’appello incidentale potrebbero rientrare nel medesimo scaglione.

Si pensi al caso in cui l’accertamento iniziale abbia un valore ai fini del contributo di 190 mila euro (contributo di 500 euro per lo scaglione da 75mila a 2oomila euro).

La sentenza di primo accoglie il ricorso del contribuente per 110 mila euro e lo respinge per 8o mila euro. L’ufficio nel proporre appello principale (per 100 mila) quantifica il contributo in 500 euro. Il contribuente se intende proporre appello incidentale (per 8omila euro) dovrebbe quantificare il contributo in 5oo euro: in realtà così il contributo complessivo dell’appello è di 1.000 euro ma il valore complessivo (190 mila) rientrava nello scaglione che prevedeva un contributo di 500 euro.

In tale ipotesi, il contributo da parte dell’appellante incidentale non è dovuto in quanto assorbito da quello dell’appello principale, altrimenti si verificherebbe una duplicazione dell’importo Si può ancora verificare che il contribuente si è visto totalmente accogliere il ricorso con compensazione delle spese. A seguito dell’appello proposto dall’ufficio egli presenta appello incidentale per richiedere la condanna alle spese dell’ufficio. Anche in questa ipotesi si ritiene che nessun contributo sia dovuto dal contribuente in quanto il valore della causa è rappresentato dalle imposte oggetto di impugnazione o di appello.

 

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Giudizio di ottemperanza

L’art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992 delinea per il giudizio di ottemperanza un iter procedimentale sostanziale mutuato dalle leggi sulla giustizia amministrativa, diverso, quindi, da quello ordinariamente previsto dagli artt. 18 e ss. del citato decreto legislativo per l’impugnativa degli atti. Il ricorso del contribuente all’istituto del giudizio di ottemperanza (ex art. 70 Dlgs 546/92) per ottenere l’esecuzione delle sentenze favorevoli e definitive delle Commissioni tributaire, a partire dallo scorso 7 luglio (data di entrata in vigore del decreto 98/2011) è diventato più oneroso per effetto della prevista applicazione, anche a tale istituto, del nuovo contributo unificato.(circolare n.1/DF del 21/9/2011 emanata dal Mef).

Nel giudizio di ottemperanza, è tenuta al pagamento del contributo la parte proponente il relativo giudizio.

Nel caso del giudizio di ottemperanza, si può fare riferimento, nelle liti di rimborso, alle somme che il contribuente chiede in restituzione a titolo di imposta; stessa cosa nel caso di ottemperanza instaurata in quanto l’ente non ha restituito le somme versate per effetto della riscossione frazionata, sempre facendo riferimento alla sola imposta, al netto di sanzioni e interessi.

Per il giudizio di ottemperanza il versamento del contributo unificato nella misura fissa di euro 120, è difficilmente ipotizzabile.

Sono controversie di valore indeterminabile: quelle relative alle operazioni catastali (intestazione, delimitazione, figura, estensione e classamento dei terreni, ripartizione dell’estimo tra compossessori, consistenza, classamento delle singole unità immobiliari urbane e attribuzione della rendita catastale), l’impugnazione del provvedimento di cancellazione o di diniego di iscrizione all’anagrafe delle Onlus.

La misura del contributo è determinata, anche per tale tipo di ricorso di natura prettamente esecutiva, in ragione del «valore della controversia», vale a dire applicando l’apposita tariffa per scaglioni stabilita dal nuovo comma 6-quater dell’articolo 13 del Tusg (Dpr 115/2002).

Secondo una precisa ricostruzione ermeneutica trattasi di un onere irripetibilità in ragione della specifica natura del ricorso per l’ottemperanza rispetto al ricorso ordinario.

Se infatti nel sentenziare in ordine al ricorso ordinario è previsto che le Commissioni tributarie debbano decidere anche in ordine al rimborso delle «spese di lite» a carico della parte soccombente, garantendo dunque al contribuente la ragionevole speranza di recuperare almeno in parte le spese di difesa e l’intero contributo unificato sostenuto per produrre il ricorso, tale aspettativa è del tutto assente nel ricorso per l’ottemperanza ove al giudice è demandato il solo compito di garantire, anche con strumenti coattivi, l’esecuzione della sentenza già passata in giudicato.

In definitiva, il nuovo contributo unificato applicato anche al giudizio di ottemperanza rappresenta un onere «non ripetibile» per il contribuente e, dunque, produrrà certamente l’effetto, almeno per le pratiche di un certo importo, se non di dissuadere quanto meno di rallentare la scelta di avvalersene; di contro, garantirà all’Amministrazione finanziaria un valido alleato per diminuire e diluire la crescente pressione esercitata dai giudici a favore dell’esecuzione tempestiva delle sentenze.

Peraltro, secondo diverso orientamento, l’art. 13, c. 6-bis, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 dispone che

“L’onere relativo al pagamento dei suddetti contributi [contributo unificato] è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio”.

In altre parole, la parte soccombente, anche del giudizio di ottemperanza, è tenuta in ogni caso a rimborsare a quella vittoriosa il contributo unificato da essa versato; ed è chiaro dal contesto della norma che si tratta di una obbligazione ex lege sottratta alla potestà del giudice di disporne la compensazione ovvero di liquidarne autonomamente l’ammontare (poiché quest’ultimo non può che corrispondere all’importo versato).

Si sostiene, infine, da altro orientamento che dopo l’ordinanza di chiusura del giudizio di ottemperanza che conclude il giudizio, cui è riferito il contributo unificato non tempestivamente versato dal debitore d’imposta (ricorrente nel giudizio di ottemperanza), l’invito al pagamento deve essere inviato sempre e comunque a quest’ultimo, il quale, a sua volta, potrà ottenere il rimborso di quanto pagato, rivolgendosi, in sede di rivalsa, alla parte soccombente (ufficio). Giova precisare che il contributo unificato è aumentato della metàove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) ovvero qualora la parte ometta di indicare il proprio codice fiscale nel ricorso.

Si ritiene che la maggiorazione debba essere applicata solo al ricorso in primo grado o a quello di appello principale o incidentale ma non agli altri atti del processo sottoposti a contributo( come il giudizio di ottemperanza), stante la generalità del divieto di analogia in malam partem. Il contributo unificato è aumentato della metà ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, così come quando la parte ometta di indicare il proprio codice fiscale nel ricorso.

La maggiorazione scatta solo per il ricorso in primo grado o per l’appello principale o incidentale.

 

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Nota di iscrizione al ruolo

Il comma 35-quater dell’articolo 2 del decreto legge n. 138 del 2011, come modificato in sede di conversione, ha aggiunto all’art. 22, c. 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 il seguente periodo: “All’atto della costituzione in giudizio, il ricorrente deve depositare la nota di iscrizione al ruolo, contenente l’indicazione delle parti, del difensore che si costituisce, dell‟atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data di notificazione del ricorso”.

La predetta nota di iscrizione a ruolo, reperibile sul sito internet del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sostituisce – con riferimento alle costituzioni in giudizio effettuate a decorrere dal 17 settembre 20117 – la nota di deposito atti e documenti.

Ai fini del contributo unificato – la dichiarazione del valore della lite deve essere contenuta “nella redazione delle conclusioni del ricorso, indipendentemente dal valore dichiarato nella nota di iscrizione a ruolo da presentare unitamente al ricorso”. Occorre pertanto porre particolare attenzione ad inserire la dichiarazione del valore della lite nelle conclusioni dell’atto, in quanto l’indicazione di tale valore nella sola nota di iscrizione a ruolo non soddisfa la prescrizione normativa.

Indicazione negli atti processuali del codice fiscale e dell’indirizzo PEC

L’art. 13, c. 3-bis, del DPR n. 115 del 2002, dispone che “Ove il difensore non indichi … il proprio indirizzo di posta elettronica certificata ai sensi dell’articolo 16, comma 1-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nell’atto introduttivo del giudizio o, per il processo tributario, nel ricorso il contributo unificato è aumentato della metà”. Occorre indicare nei propri atti l’indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC), in conformità a quanto previsto dall’art. 16, c. 1-bis, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, ai sensi del quale – ai fini delle comunicazioni – “L’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto difensivo”.

E’ obbligatorio inserire nell’atto introduttivo del giudizio:

  • l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore (pec);

  • il numero di fax del difensore abilitato;

  • il codice fiscale della parte.

Tale obbligo di indicazione decorre dallo scorso 17 settembre 2011, in seguito alla modifica dell’articolo 18 del dlgs n. 546/92.

Quale effetto produce sul processo l’omessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata e del recapito fax.

La mancata evidenziazione della pec non genererà mai la nullità dell’atto, ma semplicemente una sanzione economica pari a un incremento del contributo unificato dovuto per la causa in oggetto pari al 50% dell’importo dello stesso contributo unificato.

Medesima sanzione è prevista anche nel caso in cui venga omesso il codice fiscale della parte nel ricorso. Le nuove disposizioni obbligano all’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) del difensore e del codice fiscale del contribuente e, nel caso di mancata indicazione, scatta l’applicazione di una sanzione amministrativa specifica, mediante la quale il contributo unificato dovuto è maggiorato del 50%. Per quanto concerne l’aspetto sanzionatorio si deve far riferimento, per espresso rinvio a cura dell’articolo 16, del dpr n. 115/2002, all’articolo 71, del dpr n. 131/1986 (Tur), il quale rende applicabile la sanzione per un ammontare dal 100% al 200% dell’imposta dovuta. L’articolo 37, dl n. 98 del 2011, in vigore dal 6/07/2011 e rubricato «Disposizioni per efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie», dispone che

“… al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese giustizia, di cui al decreto del presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modificazioni: q) all’articolo 13, dopo il comma 3, è inserito il seguente: 3-bis. Ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax ai sensi degli articoli 125, primo comma, del codice di procedura civile e 16, comma 1-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nell’atto introduttivo del giudizio o, per il processo tributario, nel ricorso il contributo unificato è aumentato della metà”.

 

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Sanatoria

Trattandosi, comunque, di una previsione di natura sanzionatoria, deve ammettersi la possibilità che, anche su espresso invito della segreteria della Commissione tributaria e, in questo caso nel termine all’uopo accordato, l’interessato possa sanare l’omissione, depositando in giudizio un atto che rechi l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica e del fax. Non occorre che tale atto sia previamente notificato alla controparte eventualmente costituita.

Poiché la maggiorazione si configura quale sanzione amministrativa, la mancata indicazione della PEC e del codice fiscale può essere sanata tempestivamente dalla parte – previa apposita richiesta, anche informale, della Segreteria della Commissione tributaria competente – con il deposito di un atto contenente le indicazioni mancanti .Tenuto conto che la maggiorazione si configura quale sanzione amministrativa, si ritiene che la mancata indicazione della PEC e del codice fiscale possa essere sanata tempestivamente dalla parte – previa apposita richiesta, anche informale, della Segreteria della Commissione tributaria competente – con il deposito di un atto contenente le indicazioni mancanti. Non è necessario che tale atto venga notificato alla controparte prima del deposito

 

Codice fiscale difensore

Nel ricorso introduttivo è più che opportuno indicare il codice fiscale anche del difensore, malgrado l’obbligo sia stato disposto nel processo civile e non richiesto dalle specifiche disposizioni del processo tributario.

E quanto emerge, nonostante le perplessità sulla necessaria applicazione delle relative disposizioni, dal mancato coordinamento del comma 2, dell’art. 18, del dlgs n. 546/1992 (contenente le indicazioni obbligatorie nel ricorso) e dell’art. 125 del codice di procedura civile, nella nuova formulazione, che ne richiede espressamente l’indicazione, a pena d’inammissibilità.

Il contribuente (o il professionista delegato) deve prestare particolare attenzione ai dati obbligatori da inserire all’interno del ricorso che potrebbero far dichiarare inammissibile lo stesso in Commissione tributaria, in aggiunta alle cause ordinarie che, ancorché non concernenti la predisposizione dell’atto, possono produrre i medesimi effetti. Con l’articolo 125 c.p.c., come novellato dal dl n. 193/2009, il legislatore riformatore ha prescritto che, negli atti processuali, debba essere inserito anche il codice fiscale del difensore; al fine di evitare qualsiasi eccezione in merito, si ritiene quantomeno consigliabile l’inserimento dello stesso all’interno del ricorso tributario.

 

18 gennaio 2012

Antonio Terlizzi