La corresponsabilità del professionista nel reato di indebita compensazione di crediti

Per la corresponsabilità del professionista nel reato di indebita compensazione di crediti occorrono prove e non presunzioni, ancorché oggettive.
Analizziamo le condizioni in presenza delle quali anche il professionista può incorrere, come correo, in tale reato. Secondo l’accusa la responsabilità a titolo di dolo eventuale dovrebbe rilevare per non aver esercitato il controllo sulla documentazione consegnatagli.

Nei giudizi penali tributari può capitare che anche il professionista venga coinvolto, in concorso con il proprio cliente

È il caso di cui ad una recente sentenza della Cassazione (la n. 35133 del 21/8/2023), riguardante il caso di indebita compensazione di un credito IVA (inesistente e/o non spettante).

 

La corresponsabilità del professionista nel reato di indebita compensazione di crediti secondo la Cassazione

corresponsabilità professionista indebita compensazioneSecondo l’accusa, il Tribunale adito (che ha accolto il ricorso del professionista) non avrebbe considerato la costante giurisprudenza di legittimità, che, in riferimento al reato commesso con l’inoltro di modelli F24 da parte del professionista (indebita compensazione di crediti per importo totale superiore a 50.000 euro), riconoscerebbe la responsabilità anche a titolo di dolo eventuale, per non aver egli esercitato un controllo sulla documentazione offertagli.

Dagli atti emergerebbero elementi sintomatici dell’inesistenza dei crediti IVA compensati e che il professionista avrebbe dovuto e potuto rilevare, anche accedendo alle banche dati dell’Agenzia delle entrate e della Camera di commercio.

La Cassazione rigetta il ricorso per infondatezza e si sofferma su alcune interessanti considerazioni.

In particolare, afferma come la sentenza impugnata non presenti il vizio contestato (ossia una motivazione inesistente, o comunque meramente apparente), contenendo invero un’effettiva e congrua motivazione sul dolo del delitto in commento di indebita compensazione.

 

I comportamenti attenzionati dai giudici in merito alla corresponsabilità del professionista

La sentenza del Tribunale ha evidenziato:

  1. l’assenza di un qualunque elemento (conversazioni, dichiarazioni, documenti) che attestasse la partecipazione dell’indagato al disegno criminoso volto a frodare l’Erario, in termini diversi dal mero inoltro di 3 modelli F24;
     
  2. il numero stesso dei modelli inviati, che “non depone di certo nel senso di un suo consapevole inserimento nella trama fraudolenta”, necessariamente a base della frode, peraltro evidentemente sostenuta da atti preordinati (contratto di accollo, pagamenti) nei quali il professionista non risultava aver mai coperto alcun ruolo o essere stato coinvolto;
     
  3. la cessazione del rapporto professionale, avvenuta appena dopo l’invio dei modelli F24.
    Il professionista aveva inoltrato per conto della società solo tre modelli F24, peraltro il primo per un importo rilevante (circa 110 mila euro), mentre i successivi per somme modeste (957,71 euro e 601,77 euro), così da far emergere ulteriormente l’insussistenza del profilo soggettivo del reato.
    Nessun elemento, infine, aveva supportato l’ipotesi che l’indagato rivestisse il ruolo di ideatore della frode, e che si fosse poi allontanato dalla società soltanto per escludere da sé ogni sospetto.

 

In conclusione…

La sentenza della Corte non afferma di certo che il professionista non possa incorrere nel delitto in concorso con il proprio cliente, quanto che per configurarlo devono emergere indici del tutto evidenti, da apprezzare ictu oculi (Cassazione n. 26007/III/19); diversamente, si configurerebbe un inammissibile giudizio di responsabilità fondato su mere presunzioni oggettive.

 

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A cura di Danilo Sciuto

Lunedì 11 settembre 2023