Accertamento induttivo e principio di capacità contributiva

Il Fisco viola il principio costituzionale della capacità contributiva se non considera anche solo induttivamente i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, anche in caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente

Accertamento induttivo e capacità contributiva: il principio di diritto

accertamento induttivo capacità contributivaLa Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di costi deducibili statuendo che, anche in caso di omessa dichiarazione, l’Ufficio deve determinare la base imponibile considerando i costi, anche solo induttivamente, relativi ai maggiori costi accertati.

 

Questi gli argomenti qui trattati:

 

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Il caso

L’Agenzia delle Entrate notificava ad una società estera diversi avvisi di accertamento contestando che l’ente avesse operato in Italia mediante una stabile organizzazione occulta, senza presentare alcuna dichiarazione dei redditi.

Conseguentemente i redditi venivano riconosciuti induttivamente sui quali erano pretese imposte, interessi e sanzioni.

La società de qua impugnava l’avviso di accertamento in contestazione dinanzi al giudice tributario e, tra i diversi motivi di doglianza, lamentava che la ricostruzione induttiva operata dall’Ufficio non considerava le spese, essendo stata equiparata la fatturazione complessiva al reddito imponibile.

Il ricorso della società contribuente veniva respinto sia dai giudici di prime che di seconde cure.

A seguito del rigetto dei ricorsi da parte dei giudici di merito, la società così proponeva ricorso per Cassazione, eccependo la violazione della norma sulla determinazione dell’imponibile- atteso che era stato ricostruito induttivamente il reddito senza tener conto delle spese- con la conseguente violazione del principio costituzionalmente garantito della capacità contributiva.

 

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La motivazione dell’ordinanza

I giudici di legittimità, in accoglimento del motivo di doglianza esaminato nel presente contributo, hanno, in via preliminare, rilevato che in conformità del dictum della Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione si era già pronunciata  così statuendo:

“[…]in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38 (accertamento sintetico) o nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39 (accertamento induttivo), bensì nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75 (ora articolo 109), in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorchè infedele, sia comunque sussistente (cfr. Cass. V, n. 1506/2017, ma già anche Cass. V, n. 3995/09)”.

Tanto premesso, a parere del Collegio di legittimità, in riferimento all’accertamento globalmente induttivo del reddito d’impresa, vale sempre la regola che il Fisco deve ricostruire il reddito, tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinandole induttivamente e/o presuntivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva, venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anzichè quello netto (Cass. VI-5, n. 26748/2018; Cass. V, n. 23314/2013; Cass. V, n. 13119/ 2020; conf. Circ. AdE, n. 9/E/2015, par.2).

A tal proposito, la Suprema Corte ha sottolineato che tale assunto:

“[…] ben si raccorda con le stesse indicazioni di prassi del fisco, secondo cui, in queste fattispecie, “l’ufficio non può non tener conto, (…), di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei (…) ricavi accertati (…)” e “il riconoscimento di costi deve essere livellato – anche in misura percentualistica – in ragione dei… ricavi accertati…” (Circ. AdE, n. 32/E/2006)”.

Inoltre, la Corte di Cassazione ha evidenziato che il citato principio trova ulteriore conforto anche sul piano delle fonti internazionali, con l’articolo 7 (§3) del Modello OCSE e con l’articolo 7 (§3) della Convenzione Italia-Egitto, laddove si precisa che nella determinazione del reddito della stabile organizzazione vanno considerati anche gli oneri per gli scopi perseguiti (es. direzione, spese generali), e con il Comm. OCSE, sub articolo 7 (§ 15), laddove si effettuano talune esemplificazioni estimative.

 

I recenti orientamenti conformi della giurisprudenza di legittimità

Al fine di una maggior chiarezza espositiva, appare opportuno dare contezza degli altri recenti arresti  della giurisprudenza di legittimità, che in linea con il principio espresso dall’ordinanza in commento (Cassazione  n. 2581/2021), hanno chiarito  che  i costi relativi ai maggiori ricavi accertati devono essere riconosciuti anche solo induttivamente  in percentuale forfettaria.

A questo punto, giova premettere che,  in tema di determinazione del reddito d’impresa, l’articolo 109, comma 4, Tuir stabilisce che le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza.

Tuttavia, laddove, in ipotesi di accertamento induttivo di maggiori ricavi non contabilizzati, non venissero riconosciuti i costi correlati, tale disposizione confliggerebbe con il principio della capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost.

In riferimento a ciò, recentemente la Suprema Corte, con la sentenza n. 19191/2019 ha ribadito un suo consolidato principio, secondo cui:

“[…] nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’articolo 38, (accertamento sintetico) o nell’articolo 39, (accertamento induttivo), bensì nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41, (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75, (ora 109), in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorchè infedele, sia comunque sussistente (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1506).

Lo stesso principio di valorizzazione dei costi si applica anche alle ipotesi di accertamento induttivo “puro”, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, quando trovano applicazione le presunzioni prive dei requisiti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d, (in termini Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 225; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26748, proprio tenendo conto del principio della capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost.; Cass., 19 febbraio 2009, n. 3995)”.

In predetta sentenza (Cass.n.19191/2019), i giudici di legittimità hanno sottolineato che ai fini della rideterminazione induttiva del maggior reddito devono essere considerati i componenti negativi collegati allo svolgimento dell’attività, perchè altrimenti si assoggetterebbe ad imposta il profitto lordo, anzichè quello netto, in violazione dell’articolo 53 Cost. (v. in tal senso anche Cass.n.26748/2018)

Non osta a ciò l’art. 109 TUIR in base al quale i costi sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano imputati al conto economico.

La citata disposizione normativa, però, secondo la Corte di Cassazione:

“[…] non è applicabile in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentuale dei costi (Cass., 28740/2017; Cass., 1166/2012; Cass., 3995/2009; Cass., 28028/2008; Cass., 640/2001; Cass. 3317/1996; Cass., 3567/2017; in tal senso si veda anche circolare Agenzia delle entrate 32/E/2006)”.

Si ribadisce, pertanto, il principio per cui, nel caso di verifiche diverse da quelle analitiche, e ai fini della ricostruzione del reddito, i costi non registrati devono essere riconosciuti anche nel caso in cui non siano stati annotati nelle scritture contabili ed anche quando sia stata omessa la dichiarazione dei redditi. Va, dunque, applicata l’imposta sull’utile netto, ossia portando in deduzione i costi non registrati, sia pure forfettariamente stabiliti.

In breve, i giudici di legittimità hanno concluso che dei costi si deve tenere conto anche quando il reddito viene accertato con il metodo induttivo “puro” o, comunque, in conseguenza della mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi, in entrambi i casi utilizzandosi le presunzioni supersemplici.

Tale principio ermeneutico è stato ribadito successivamente dalla Suprema Corte, con l’ordinanza n.28322 del 5 novembre 2019,  secondo cui:

“[…] l’Amministrazione finanziarla deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (…) è  il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, e debba, procedere al loro riconoscimento forfettario ( vedi in tal senso anche Cass. n. 22868 del 2017; v Cass. n. 9888 del 2017; Cass. n. 34209 del 201, Cass. n. 230 del 2020).

Tale consolidato orientamento è stato da ultimo  evidenziato dalla Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13119 del 30.06.2020, secondo cui:

“In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall’art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 917 del 1986 in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente”.

Tanto chiarito, si evidenzia altresì che il Collegio di legittimità, nella recente sentenza n.23093/2020 in conformità ai propri precedenti (Cass. n.25317/2014), ha ritenuto che:

“[…] in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in particolare in sede di accertamento induttivo, l’Amministrazione finanziaria, debba procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente”.

Al riguardo, inoltre, il Supremo Consesso ha sottolineato che deve escludersi l’automatica  inclusione, fra le componenti negative, delle operazioni di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili,  atteso che le operazioni sui conti medesimi, sia attive che passive, vanno considerate ricavi, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili ( v. in tal senso anche Cassazione n. 31024/2017). 

In altri termini, a parere dei giudici di legittimità:

qualora l’Amministrazione proceda con l’accertamento induttivo delle imposte sui redditi, la stessa è tenuta a ricostruire la situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, purché emergenti dagli accertamenti o dimostrate dal contribuente, su cui grava l’onere della prova dei costi deducibili dall’ammontare dei ricavi induttivamente determinati (Cassazione n. 22266/2016)”.

In ultimo, per maggior  chiarezza del  complessivo quadro giurisprudenziale fin qui delineato, si segnala  la recentissima ordinanza della Suprema Corte, la n.20220/2020,  che in tema di movimentazioni bancarie, ha così chiarito:

“[…]l’amministrazione è tenuta a ricostruire la situazione reddituale complessiva del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, purchè esse “siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente (Cass., sez. V, n. 8811/16; cfr. Cass. un. 6332/16, 1314/15, 25317/11, 20679/11, 5192/11, 3995/09)”.

Difatti, tale assunto…

[…]ritrae fondamento dalle regole probatorie che governano la materia, in guisa delle quali se compete all’ufficio provare in base ad un quadro di presunzioni gravi, precisi e concordanti l’esistenza in capo al contribuente di attività non dichiarate ovvero l’inesistenza di passività dichiarate che alterano il risultato reddituale e generano un debito tributario, è per contro onere della parte che voglia confutare fruttuosamente gli esiti di verifica – come assai chiaramente evidenzia la stessa disciplina delle movimentazioni bancarie”.

 

Conclusioni

Alla luce del principio di diritto enucleato nella recente ordinanza esaminata (Cass.n.2581/2021) e dei recenti arresti giurisprudenziali in materia di deducibilità di costi presunti, si conclude che la giurisprudenza di legittimità è oramai pacifica nel ritenere che l’accertamento “induttivo” dei maggiori ricavi non contabilizzati presuppone l’esistenza necessaria di costi deducibili da determinarsi anche induttivamente.

Dunque, in merito al recupero a tassazione dei maggiori ricavi non dichiarati dal contribuente, la giurisprudenza di legittimità è oramai pacifica nel riconoscere i costi correlati a tali ricavi, con la conseguente deduzione degli stessi in ragione del principio della capacità contributiva.

Invece, in ipotesi di accertamento analitico o analitico-induttivo, si afferma in maniera altrettanto costante che è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario, dovendosi riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” ex articolo 39, comma 2, D.P.R. 600/1973.

Alla luce di tali principi di diritto, devono essere riconosciuti i maggiori costi inerenti ai maggiori ricavi accertati, poiché altrimenti si assoggetterebbe a imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in violazione del principio della capacità contributiva contemplato dall’art. 53 Cost.

In definitiva, quindi, devono essere dedotti i costi correlati ai maggiori ricavi, con la differenza che, in ipotesi di accertamento induttivo, questi devono essere riconosciuti de plano in misura forfettaria, mentre, in caso di accertamento analitico o analitico-induttivo, il contribuente deve dimostrare, con onere probatorio a suo carico, l’esistenza dei presupposti per la deducibilità degli stessi.

 

Fonte: Ordinanza Corte di Cassazione n. 2581 del 4 febbraio 2021

 

Sull’accertamento induttivo abbiamo recentemente pubblicato anche:

Accertamento induttivo in assenza di istanza di dissequestro della documentazione contabile

Accertamento induttivo e saldo di cassa negativo

 

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