Analisi giurisprudenziale del litisconsorzio necessario

La recente giurisprudenza di merito e legittimità ha introdotto importanti cambiamenti nella disciplina del litisconsorzio necessario e facoltativo in ambito tributario a favore del contribuente, accogliendo la tesi della comune responsabilità dell’agenzia delle entrate e del servizio di riscossione e dell’integrazione del contraddittorio come chiamati in causa pur nelle diverse funzioni nella fase di accertamento ed esecutiva di gestione e riscossione dei tributi

Il litisconsorzio necessario

Analisi giurisprudenziale del litisconsorzio necessario

Per litisconsorzio necessario si intende la necessità di far partecipare alla causa tutte le parti interessate, a differenza di:

  • quello facoltativo, quando le parti possono essere chiamate in causa congiuntamente per riunire questioni identiche;
     
  • del cumulo necessario o litisconsorzio unitario che si ha quando ciascuna delle parti può impugnare per conto suo la pretesa del fisco, ma le impugnazioni proposte devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza.

 

In ambito tributario l’agente della riscossione partecipa al processo se responsabile di vizi formali dell’atto emesso.

Responsabile dell’atto di accertamento è invece l’Agenzia delle entrate.

Questi tuttavia vengono talvolta chiamati in causa perché considerati entrambi responsabili dell’azione di recupero delle imposte.

L’agente di riscossione è responsabile pienamente degli atti impugnati perchè da esso dipende la validità degli atti emessi nel rispetto dei termini di prescrizione e decadenza previsti dalla vigente normativa tributaria.

La più recente  giurisprudenza di merito e legittimità non prevede alcuna chiamata di litisconcosrzio facoltativo o necessario da parte ricorrente per ottenere ragione dei suoi diritti di difesa dalla pretese del fisco nei confronti dell’ente creditore dell’agente di riscossione dovendo rispondere questo ultimo anche per eventuali mancanze dello stesso sul quale potrà rivalersi per la eventuale soccombenza o provvedere entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso introduttivo ad integrare il contraddittorio con la chiamata dello stesso in giudizio (art. 39 d.lgs. n. 112/1999; Cass. SS.UU. sent. 16412/2007; Cass. sent. n. 15332/2010; n.13331/2013; n.12746/2014; ord. n. 97/2015; CTP Taranto sent. n. 3088/02/15).

Già nel 2013 con la sentenza n.13331 facendo riferimento ad una sentenza precedente del 2007 la Corte di legittimità pronunciò che in materia di impugnazione della cartella esattoriale, la tardività della notificazione della cartella non costituisce vizio proprio di questa tale da legittimare in via esclusiva il concessionario a contraddire nel relativo giudizio; la legittimazione passiva spetta pertanto all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, sul quale, se è fallo destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio l’ente predetto, se non vuole rispondere all’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario (Cass. 30 ottobre 2007, n. 22939).

A tal proposito una pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Taranto nel richiamare importanti pronunce di legittimità afferma:

“l’azione del contribuente, diretta a fare valere la nullità dell’atto impugnato, può essere svolta indifferentemente nei confronti dell’ente creditore o del concessionario della riscossione (dovendosi escludere nella specie un litisconsorzio necessario tra i due), essendo rimessa al concessionario, ove unico a essere stato evocato in giudizio, la facoltà di chiamata nei riguardi dell’ente creditore, pena la soccombenza in caso di esito favorevole per il ricorrente della lite)”.

 

Difatti, la legge prevede che, il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite.

Di conseguenza, qualora il contribuente individui nel concessionario della riscossione o nell’ente creditore il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione, la domanda resta ammissibile,

“ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio”.

 

Quindi legittimato passivo nel processo tributario è il servizio di riscossione per i vizi formali della cartella esattoriale mentre per i vizi di merito o legati all’attività di accertamento ne risponde l’Agenzia delle entrate.

Una delle difese che equitalia avanza per far valere le sue ragioni è quindi la necessità di rivolgersi non solo alla stessa ma anzi esclusivamente all’Agenzia delle entrate senza considerare l’orientamento prevalente secondo cui l’agente di riscossione può stare in giudizio solo tramite determinati procuratori pertanto sembra assurdo che la stessa chiami altri in causa quando la norma pone limiti alla sua stessa difesa dovendo essa essere consapevole che la tesi del litisconsorzio o della chiamata in causa di entrambi gli attori (ex equitalia ed agenzia delle entrate) è pretestuosa.

La Cassazione, infatti, con l’ordinanza n. 5474 del 03 marzo 2017, ha confermato il consolidato principio che, qualora il contribuente cita in giudizio solamente Equitalia, non vi è alcun difetto di contraddittorio se non è citato anche l’Ente creditore (Agenzia delle Entrate, Inps, Comune e altri Enti Pubblici).

In passato, la Cassazione ha emesso la sentenza n. 1052 del 18 gennaio 2007 secondo la quale ogni volta che per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria (oggi l’Agenzia delle Entrate) l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario ai sensi dell’ art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992.

Questo principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza su riportata è tuttavia rivolta a tutelare meglio il contribuente non gli enti impositori o di accertamento e riscossione.

La Suprema Corte ha inoltre precisato che la disciplina litisconsortile nel processo tributario risponde a regole non omogenee a quelle che presidiano la disciplina avente lo stesso oggetto nel processo ordinario il quale prevede che se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del contradittorio in un termine perentorio da lui stabilito.

Tornando al ragionamento sin qui sviluppato, va osservato che l’obiettivo della giusta imposizione è un obiettivo di sistema al raggiungimento del quale è funzionale tanto il dovere di trasparenza dell’ azione impositiva nel quadro di un rapporto tra contribuente e amministrazione finanziaria ispirato al principio di collaborazione e di buona fede, quanto la dinamica processualtributaria tesa a verificare (e, nel caso, a ripristinare) la coerenza dell’ esperienza concreta alle regole fondamentali espresse, al livello più alto, dalla Costituzione, da un lato, e dallo Statuto del contribuente, dall’altro.

Ogni volta che per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria (oggi l’Agenzia delle Entrate) l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’ obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario ai sensi dell’ art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992.

Il semplice rinvio alle norme del codice di procedura civile del D.P.R. 636/72 non si è dimostrato sufficiente a chiarire come ed in quali casi gli istituti processualcivilistici potessero essere applicati nell’ambito del contenzioso tributario.

Le difficoltà applicative incontrate in passato hanno di fatto impedito che le commissioni tributarie fossero in grado di gestire rapporti processuali plurilaterali.

L’obiettivo dell’articolo 14 è quello ricordato dalla relazione ministeriale di accompagnamento: fornire una “embrionale disciplina dei processi con pluralità di parti”, nonché la “necessaria disciplina formale”.

Resta fuori dalla previsione normativa una indicazione degli ambiti di applicazione ai casi concreti dei rapporti tributari.

La norma prevede la necessarietà del litisconsorzio “se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti“.

L’oggetto del ricorso, però, altro non è che la pretesa tributaria portata dall’atto impugnato, per cui il litisconsorzio necessario si ha solo se esiste un unico rapporto tributario controverso comune a più contribuenti.

Pertanto, se il giudizio viene promosso senza la presenza di tutti i litisconsorti, e cioè da alcune parti o contro alcune soltanto di esse, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito; se tale onere non viene adempiuto nel termine, il processo si estingue (art. 307 c.p.c.) se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti.

Queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo.

Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito.

La norma in commento appartiene alla categoria delle c.d. norme in bianco, per cui spetta all’interprete accertare i casi in cui sussiste il litisconsorzio necessario oltre quelli già normativamente previsti.

Qualora, in primo grado, il contribuente abbia presentato ricorso contro l’atto esattivo eccependo vizi imputabili sia all’Agenzia delle Entrate che all’Agente della riscossione, in appello si configura il c.d. “litisconsorzio processuale”, con applicazione dell’art. 331 c.p.c. pertanto, se l’appellante non ha notificato l’appello a tutte le parti del primo grado, l’appello non è, di per sé inammissibile, in quanto spetta al giudice ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso.

E’ quanto sostiene la Cassazione (Sent. n. 10934 del 27.5.2015) annullando la sentenza di secondo grado per aver il giudice omesso l’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti del concessionario per la riscossione, litisconsorte necessario processuale.

Il concetto di causa “inscindibile (di cui all’art. 331 c.p.c.) va riferito non solo alle ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, ma anche alle ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio (Cass. 22.1.1998 n. 567). 

Tuttavia, come chiaramente risulta dalla lettura dell’art. 331 c.p.c, la mancata impugnazione della sentenza – pronunciata tra più parti in causa inscindibile – nei confronti non di tutte le parti, ma solo nei confronti di una (o più), non determina, l’inammissibilità del gravame, bensì l’ordine del giudice d’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa (Cass, sent. n.12007 del 10/06/2015).

 

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Luca Labano

16 febbraio 2019