Contabilità in nero rinvenuta presso terzi: legittimo l’accertamento senza ispezione contabile?

la Corte di Cassazione si è più volte pronunciata a favore della legittimità dell’accertamento nei confronti di un contribuente, per il quale siano stati rinvenuti elementi dimostrativi di omessa dichiarazione di materia imponibile, desunti dalla documentazione extracontabile rinvenuta in sede di ispezione presso altri contribuenti. Nello scritto, attraverso l’analisi della recente pronuncia, viene illustrato l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte sul tema. a cura di Alessandro Borgoglio.

Contabilità in nero rinvenuta presso terzi e accertamento fiscale

contabilità in nero e accertamenti fiscali induttiviLa Corte di Cassazione si è più volte pronunciata a favore della legittimità dell’accertamento nei confronti di un contribuente, per il quale siano stati rinvenuti elementi dimostrativi di omessa dichiarazione di materia imponibile, desunti dalla documentazione extracontabile rinvenuta in sede di ispezione presso altri contribuenti.

Nello scritto, attraverso l’analisi della recente pronuncia del 6 novembre 2009, numero 23585, viene illustrato l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte sul tema.

Agli Uffici dell’Agenzia delle Entrate vengono spesso trasmessi dei processi verbali di constatazione1, soprattutto da parte della Guardia di Finanza, che contengono rilievi formulati nei confronti di contribuenti, che non sono stati sottoposti direttamente a verifica da parte dei militari, ma verso i quali sono emerse delle risultanze di evasione d’imposta a seguito di attività istruttorie eseguite nei confronti di altri contribuenti. Un caso tipico di tale fattispecie è rappresentato da due soggetti che intrattengono la classica relazione commerciale di cliente – fornitore.

La Guardia di Finanza, in tale ultima ipotesi, procedendo a verifica del cliente, potrebbe “scovare”, presso questi, una contabilità “in nero” dalla quale poter desumere l’omessa contabilizzazione di corrispettivi da parte del fornitore: l’agenda, il block-notes od il brogliaccio rinvenuto potrebbe, cioè, attestare l’esistenza di costi non dichiarati per il cliente, che però costituiscono corrispettivi non contabilizzati per il fornitore.

Poiché a costi “in nero” corrispondono solitamente ricavi non dichiarati, al cliente verrebbe probabilmente contestata l’omessa dichiarazione della relativa materia imponibile. Ma a carico del fornitore sarebbe invece possibile contestare, sic et simpliciter, l’omessa contabilizzazione di corrispettivi, soltanto sulla base dei documenti extracontabili rinvenuti presso il cliente e senza procedere preventivamente al riscontro della sua contabilità?

Una risposta a questo interessante interrogativo è stata recentemente fornita dalla Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza del 6 novembre 2009, numero 23585.

 

 

LA SENTENZA NUMERO 23585 DEL 6 NOVEMBRE 2009

Nel corso di una verifica eseguita dalla Guardia di Finanza nei confronti di una società, veniva reperita della documentazione extracontabile, costituita da un brogliaccio, dal quale si desumeva l’omessa contabilizzazione di corrispettivi da parte di una ditta individuale, che era concessionaria in esclusiva dei prodotti della società.

Tali risultanze venivano quindi raccolte nel processo verbale di constatazione redatto a carico ed in contraddittorio con il contribuente.

L’allora Ufficio Iva di Teramo recepiva, nell’avviso di accertamento notificato al contribuente, i rilievi formalizzati dai militari delle Fiamme Gialle, senza procedere, in via preventiva, al riscontro con le scritture contabili.

Il contribuente proponeva allora ricorso alla Commissione tributaria provinciale, che l’accoglieva per insufficiente motivazione dell’atto impositivo e per l’inidoneità della documentazione allegata – il brogliaccio rinvenuto in sede di accesso presso terzi – a provare l’asserita evasione, in assenza di qualsivoglia riscontro con la contabilità del ricorrente.

L’Ufficio si opponeva ma il giudice di appello confermava la sentenza di primo grado.

Avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale proponeva ricorso per cassazione l’Amministrazione Finanziaria, con un motivo articolato in due censure:
1. violazione e falsa applicazione dell’articolo 54 del DPR 633/19722 per aver i giudici regionali “erroneamente interpretato la norma” ritenendo che “la documentazione extracontabile rinvenuta presso terzi fosse priva di rilevanza probatoria e lesiva del diritto di difesa del contribuente”;

2. insufficiente motivazione, in quanto i giudici di appello non avrebbero attribuito il giusto valore probatorio al materiale allegato dall’Ufficio fin dal primo grado di giudizio e, peraltro, mai confutato dal contribuente.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, ha proclamato una sentenza piuttosto netta e chiara, che può illustrarsi nei seguenti termini.

Innanzitutto i Giudici del Palazzaccio hanno richiamato l’articolo 54, comma 2, del DPR 633/1972, che consente le rettifiche Iva quando l’esistenza di operazioni imponibili non dichiarate sia desumibile, in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari ed ispezioni eseguite anche nei confronti di altri contribuenti.

I Supremi Giudici hanno proseguito, poi, affermando che

“questa Corte si è più volte pronunciata, ritenendo che, in tema di Iva, l’uso di elementi acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti altri soggetti non viola disposizioni che regolano l’accertamento o il principio del contraddittorio, atteso che l’art. 63, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, dispone espressamente che, nell’ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di finanza trasmette agli uffici stessi tutte le notizie acquisite, anche indirettamente, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria e che l’art. 54, comma 2, del citato decreto del Presidente della Repubblica dispone che gli uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti (cfr., ex multis, Cass. civ., nn. 9100/2001 e 19337/2005)”.

La Corte di Cassazione ha ribadito, inoltre, la piena idoneità della documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso per il suo utilizzo nell’ambito dell’accertamento induttivo dell’imponibile ai fini Iva3, in quanto il ritrovamento di un brogliaccio su cui sia stata annotata una contabilità informale costituisce certamente – secondo i giudici di legittimità – una presunzione grave, precisa e concordante tale da consentire l’accertamento induttivo da parte dell’Amministrazione Finanziaria4.

I Giudici di piazza Cavour hanno escluso, infine, che sia stato violato, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, il principio del contraddittorio, atteso che le risultanze dell’attività istruttoria eseguita presso terzi, da cui è derivata la pretesa erariale avanzata nei confronti del contribuente, sono state preventivamente trasfuse nel pvc redatto a carico ed in contraddittorio con questi, come più volte ricordato nei precedenti gradi di giudizio.

In conclusione, dopo aver ritenuto fondata anche la censura di omessa motivazione per aver il giudice d’appello omesso “di valutare gli elementi emergenti dal processo verbale di constatazione perché basato su fatti risultanti da una verifica eseguita presso terzi”, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, rinviando la causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo.

 

 

La valenza probatoria della documentazione extracontabile

Il primo aspetto che emerge con chiarezza dalla sentenza 23585 è la nuova conferma, riproposta dalla Suprema Corte, dell’idoneità della documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso a costituire una presunzione grave, precisa e concordante di materia imponibile non dichiarata5.

I Giudici del Palazzaccio parrebbero aver ormai consolidato tale orientamento sul tema, giacché si rilevano copiose sentenze in tal senso. Anche recentemente6 i Giudici di legittimità hanno ribadito, più volte, tale linea di pensiero7.

Per rimanere alle pronunce più recenti, la Cassazione ha stabilito, nella sentenza del 24 luglio 2009, numero 17365, che

“la cd. contabilità “in nero”, risultante da appunti personali ed informali dell’imprenditore ovvero come nella specie in indicazioni contenute in floppy disk, costituisca valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti della legge”8.

 

In precedenti occasioni, però, i Supremi Giudici avevano addirittura già affermato che si trattava di un orientamento ormai consolidato. Infatti, nella sentenza del 12 marzo 2009, numero 5947, si legge che

“Il ricorso si rivela manifestamente fondato, dovendosi confermare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui gli ‘appunti riportati su agende’ costituiscono adeguato mezzo di prova. Infatti, la cosiddetta contabilità ‘in nero’, risultante da appunti personali ed informali dell’imprenditore, costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dell’art. 39 d.p.r. n. 600 del 1973 (Cass. 17627/2008; 1987/2006; 11459/2001). […] E spetta al contribuente fornire prove in senso contrario (Cass. 25610/2006; 19329/2006; 19598/2003)”.

 

Ancora nella sentenza numero 14218 del 19 giugno 2007, la Cassazione aveva già sostenuto che costituiva jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il ritrovamento di scritture contabili informali tenute su documenti non ufficiali quali brogliacci, appunti, annotazioni ovvero il rinvenimento di matrici di assegni, agende o block-notes, costituissero indizi forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da legittimare l’Amministrazione finanziaria a procedere alla determinazione del maggior reddito imponibile con accertamento induttivo.

Tale posizione insita nella giurisprudenza di legittimità deve ritenersi valida sia per quanto concerne l’accertamento in materia di imposte dirette, come evidenziato dalle suesposte sentenze, ma anche relativamente all’imposta sul valore aggiunto, come confermato dalla Suprema Corte nelle sentenze del 27 marzo 2006, numero 6949, e del 1 febbraio 2006, numero 2217. A tal proposito, con la più recente pronuncia del 23 gennaio 2008, numero 1400, la Cassazione ha elaborato la seguente massima:

“In tema di IVA, alla luce delle previsioni del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 4, e art. 54, comma 2, la documentazione extracontabile reperita presso la sede dell’impresa, ancorché consistente in annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento,  indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità”.

Essendo evidente, pertanto, l’elevato valore probatorio attribuito dalla Suprema Corte alla documentazione extracontabile rinvenuta, sotto le più disparate forme, nel corso degli accessi presso i locali del contribuente, resta, tuttavia, da comprendere se anche il ritrovamento di tale materiale “occulto” nel corso di ispezioni eseguite presso soggetti terzi possa legittimamente costituire, da solo ed in assenza di riscontri con le scritture contabili del contribuente, una presunzione qualificata tale da consentire l’accertamento analitico-induttivo da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

 

 

La documentazione in nero rinvenuta presso terzi e l’articolo 54 dell’Iva

Per risolvere il dubbio poc’anzi espresso viene in soccorso, ancora una volta, la giurisprudenza di legittimità.

Infatti, già con la sentenza numero 11694 del 22 novembre 1997, i Giudici del Palazzaccio avevano affermato la massima per cui

“È legittimo l’accertamento che utilizza la documentazione extracontabile (brogliaccio) rinvenuta presso terzi che dimostri ragionevolmente i fatti rilevanti ai fini impositivi.

Il ricorso al giudizio presuntivo, infatti (e tanto più in assenza di deduzioni, ad opera della parte interessata, che consentano la verifica della attendibilità della ricorrenza, nel caso concreto, di possibili elementi perturbatori di una normale consecuzione causale) è legittimo anche quando il fatto da provare sia desumibili, da quelli noti, “come conseguenza ragionevolmente probabile secondo un criterio di normalità”.

 

Ancora nel 2001, con la sentenza numero 9100, la Cassazione aveva stabilito che

“Quanto alla pretesa illegittimità dell’uso di elementi acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti altri soggetti, che, a dire della ricorrente, comporterebbe la violazione del principio del contraddittorio, va rilevato che l’art. 63, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, dispone espressamente che nell’ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di finanza trasmette agli uffici stessi tutte le notizie … acquisite anche indirettamente, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria.

Gli uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti (art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972), tratti da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di “verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti” (art. 54, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972)”.

 

In tempi più recenti, i Supremi Giudici, con la sentenza del 10 marzo 2008, numero 6311, hanno addirittura pronunciato il seguente principio di diritto:

“L’Amministrazione Finanziaria può procedere ad accertamento induttivo utilizzando documentazione reperita presso terzi e da costoro elaborata, purché fornisca la prova anche attraverso presunzioni della veridicità di tale documentazione e conseguentemente della inattendibilità della documentazione elaborata dal contribuente”.

Infine, anche la più recente sentenza del 6 novembre 2009, numero 23585, ha confermato la legittimità della rettifica Iva operata dall’Amministrazione Finanziaria sulla base della documentazione extracontabile rinvenuta presso terzi, ed in assenza di un preventivo riscontro con la contabilità del contribuente.

Per tutta la giurisprudenza sopra esposta parrebbe allora potersi affermare che si sia ormai formato, sul punto, un orientamento condiviso in seno alla Suprema Corte, atteso che, come è stato precedentemente illustrato, l’operato degli Uffici è stato quasi sempre avallato dalla Cassazione.

Non bisogna, tuttavia, dimenticare di sottolineare che la documentazione extracontabile rinvenuta presso terzi, per poter essere legittimamente utilizzata nell’ambito dell’accertamento analitico-induttivo, deve comunque contenere degli elementi probatori sufficienti ad integrare una presunzione qualificata, comprovante il maggior reddito non dichiarato dal contribuente; tali elementi potrebbero essere, ad esempio, quelli dimostranti l’esistenza di rapporti commerciali tra i soggetti in questione, ovvero la chiara indicazione delle operazioni imponibili intercorse ed occultate9.

Non resta che evidenziare, in conclusione, che autorevoli osservatori(10) hanno sottolineato che l’articolo 54, comma 3, del DPR 633/1972, a cui fa riferimento la Suprema Corte, consente le rettifiche Iva, senza la necessità di un preventivo riscontro contabile, soltanto qualora la prova dell’evasione risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali redatti nei confronti di altri soggetti, mentre gli stessi Giudici di legittimità sostengono che il ritrovamento di una contabilità ”in nero” presso un soggetto terzo costituisca soltanto una presunzione, ancorché grave, precisa e concordante, dell’evasione operata dal contribuente, ma non certo una prova diretta.

Questa contraddizione potrebbe forse costituire un ostacolo per l’accertamento Iva, anche se, come desumibile dalla giurisprudenza sopra illustrata, la Suprema Corte non sembra aver considerato significativamente tale aspetto, ribadendo, invece, anche recentemente, la legittimità delle rettifiche Iva fondate sulla documentazione extracontabile reperita presso terzi ed in assenza di un preventivo riscontro con la contabilità del contribuente.

 

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Alessandro Borgoglio

25 Novembre 2009

 

 

NOTE

1 I processi verbali di constatazione o semplicemente verbali ovvero Pvc sono atti pubblici, compilati dai militari della Guardia di Finanza o da altro personale civile dipendente da altri organi di controllo (Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane, Inps, Ministero del Lavoro, etc), nei quali vengono inserite le risultanze dell’attività istruttoria compiuta, per esempio le conclusioni a cui sia giunta una verifica delle Fiamme Gialle.

2 L’articolo 54 del DPR 633/1972, nell’attuale formulazione, dispone che: “1. L’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto procede alla rettifica della dichiarazione annuale presentata dal contribuente quando ritiene che ne risulti un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero una eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante. 2. L’infedeltà della dichiarazione, qualora non emerga o direttamente dal contenuto di essa o dal confronto con gli elementi di calcolo delle liquidazioni di cui agli artt. 27 e 33 e con le precedenti dichiarazioni annuali, deve essere accertata mediante il confronto tra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli annotati nei registri di cui agli artt. 23, 24 e 25 e mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta delle fatture ed altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili e degli altri dati e notizie raccolti nei modi previsti negli artt. 51 e 51-bis. Le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte da tali risultanze, dati e notizie a norma dell’art. 53 o anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti. 3. L’ufficio può tuttavia procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di cui ai numeri 2), 3) e 4) del secondo comma dell’articolo 51, dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in suo possesso. 4. (Abrogato). 5. Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’articolo 57, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche nonché dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati o di detrazioni in tutto o in parte non spettanti, può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l’imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante, nonché l’imposta o la maggiore imposta non versata, escluse le ipotesi di cui all’articolo 54-bis, anche avvalendosi delle procedure previste dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.
6. (Abrogato). 7. Gli avvisi di accertamento parziale possono essere notificati mediante invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La notifica si considera avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal destinatario ovvero da persona di famiglia o addetto alla casa. 8. Gli avvisi di accertamento parziale sono annullati dall’ufficio che li ha emessi se, dalla documentazione prodotta dal contribuente, risultano infondati in tutto o in parte”.

3 Sentenza della Corte di Cassazione del 15 maggio 1992, numero 5786.
4 Sentenza della Corte di Cassazione del 27 marzo 2006, numero 6949.
5 Le presunzioni gravi, precise e concordanti, anche note come presunzioni qualificate, consentono l’accertamento analitico-induttivo di cui all’articolo 39, comma 1, lettera d), del DPR 600/1973, e dell’articolo 54, comma 2, del DPR 633/1972. Per un approfondimento sul tema si veda Antico – Carrirolo – Fusconi – Tucci – Zappi, “L’accertamento fiscale”, IlSole24Ore, II ed. 2007.
6 Sentenze dalla Corte di Cassazione del 16 aprile 2009 e del 28 ottobre 2009, rispettivamente numero 13201 e 22769.
7 Per un approfondimento sul tema si veda C. Pagano, “I giudici condannano chi tiene la contabilità in nero” in Commercialistatelematico.com del 8 novembre 2008; F. Buetto, “Contabilità parallela: la Cassazione conferma il principio di utilizzabilità” in Commercialistatelematico.com del 19 agosto 2009.

8 Si veda, per un commento della sentenza, S. Cascarano, “Contabilità parallela in floppy” in Commercialistatelematico.com del 5 novembre 2009.

9 La Corte di Cassazione, nella sentenza del 17 giugno 2009, numero 14014, pur riconoscendo, in punto di diritto, che “gli uffici possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”, nel caso specifico, ha respinto il ricorso dell’Amministrazione poiché la concreta inidoneità delle circostanze di fatto prese a base del recupero (si trattava di “cerchietti colorati accanto alle liste di carico” rinvenute nel corso dell’ispezione) a costituire presunzioni “gravi, precise e concordanti” risultava priva di incongruenze. Così impostata la questione, la Corte ha ricordato che l’esame degli elementi di fatto della controversia – come l’utilizzo corretto delle presunzioni da parte degli uffici – poiché concerne un esame di merito è rimesso alla valutazione delle Commissioni tributarie.
10 A. Marcheselli, “Non serve il riscontro della contabilità del fornitore” in “Il quotidiano Ipsoa” del 12 novembre 2009.

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