E' legge la riforma del processo tributario

Con la riforma del processo tributario è stato introdotto un ruolo autonomo e professionale della magistratura tributaria con 576 giudici tributari reclutati tramite concorso per esami mentre 100 degli attuali giudici togati, 50 provenienti dalla magistratura ordinaria e 50 dalle altre magistrature, potranno transitare definitivamente e a tempo pieno nella giurisdizione tributaria speciale.
Sul piano processuale le controversie di modico valore vengono devolute a un giudice monocratico, si rafforza la conciliazione giudiziale e viene definitivamente superato il divieto di prova testimoniale.
Questi alcuni dei punti salienti della legge di riforma. Andiamo ad approfondire…

Pubblicata la legge di Riforma della Giustizia e del Processo Tributario

riforma processo tributarioÈ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 204, del 1° settembre 2022, la legge di riforma della giustizia e del processo tributario, n. 130 del 31 agosto 2022, la cui approvazione è stata imposta dalla necessità di garantire il conseguimento dei benefici previsti dal PNRR.

L’articolo 1, comma 1, modifica il decreto legislativo n. 545 del 1992 il quale disciplina l’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione.

In particolare, il provvedimento:

  • modifica la denominazione delle commissioni tributarie in corti di giustizia tributaria;
     
  • stabilisce che la giurisdizione tributaria è esercitata dai nuovi magistrati tributari a tempo pieno, reclutati mediante procedure concorsuali appositamente disciplinate;
     
  • disciplina il tirocinio e alla formazione professionale dei magistrati.

Vengono, inoltre, disciplinate la nomina alle funzioni direttive e le progressioni in carriera dei componenti delle commissioni tributarie.

La nomina a magistrato tributario si consegue mediante un concorso per esami bandito in relazione ai posti vacanti e a quelli che si renderanno vacanti nel quadriennio successivo, per i quali può essere attivata la procedura di reclutamento.

Il concorso sarà articolato in:

  • una prova scritta, che ha la prevalente funzione di verificare la capacità di inquadramento logico sistematico del candidato e che consiste nella redazione di due elaborati teorici (rispettivamente vertenti sul diritto tributario e sul diritto civile o commerciale);
     
  • una prova teorico-pratica di diritto processuale tributario;
     
  • e una prova orale.

Con riferimento agli elaborati teorici e alla prova pratica il punteggio minimo da conseguire per accedere alla prova orale è pari a dodici ventesimi (12/20).

La prova orale verte su:

  • diritto
    • tributario e diritto processuale tributario;
    • civile e procedura civile;
    • penale;
    • amministrativo e costituzionale;
    • commerciale e fallimentare;
    • dell’Unione europea; diritto internazionale pubblico e privato;
  • contabilità aziendale e bilancio;
  • elementi di informatica giuridica;
  • colloquio su una lingua straniera (a scelta fra inglese, spagnolo, francese o tedesco).

Conseguono l’idoneità i candidati che ottengono un punteggio non inferiore a sei decimi (6/10) in ciascuna delle materie della prova orale e un giudizio di sufficienza nel colloquio nella lingua straniera prescelta, e comunque una votazione complessiva nelle due prove non inferiore a novanta punti ([12*3] + [6*9] = 90).

 

Effetti premiali per i soggetti cui si applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA)

L’articolo 2, della legge 31 agosto 2022, n. 130, disciplina la prestazione di garanzia per la sospensione parziale dell’atto impugnato, prevedendo che tale garanzia sia esclusa per i contribuenti con “bollino di affidabilità fiscale”, cioè quei contribuenti a cui sia attribuito un determinato punteggio di affidabilità fiscale in base alla disciplina degli appositi indicatori.

Si prevede, in particolare, che la prestazione della garanzia è esclusa per i ricorrenti con “bollino di affidabilità fiscale”.

Ai fini di tale disposizione, i ricorrenti con “bollino di affidabilità fiscale” sono i contribuenti soggetti alla disciplina degli indici sintetici di affidabilità fiscale di cui all’articolo 9-bis, del decreto-legge n. 50 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 96 del 2017, ai quali sia stato attribuito un punteggio di affidabilità pari ad almeno nove negli ultimi tre periodi d’imposta precedenti a quello di proposizione del ricorso, per i quali tali punteggi siano disponibili.

 

Competenza del giudice monocratico

Sono attribuite alla competenza del giudice monocratico, in primo grado, le controversie entro il limite di 3.000 euro di valore, con l’obiettivo di deflazionare il contenzioso delle Corti di giustizia tributaria di primo grado (vengono così rinominate dalla riforma le Commissioni tributarie provinciali), sottraendo alla giudice collegiale la decisione su controversie di modico valore.

A tal fine è introdotto un nuovo articolo 4-bis, nel D.Lgs. n. 546 del 1992.

In particolare, il comma 1, dell’art. 4-bis, attribuisce al giudice monocratico la competenza sulle controversie entro il limite di 3.000 euro di valore.

Sono escluse esplicitamente dall’ambito di competenza del giudice monocratico le controversie il cui valore non sia determinabile.

Ai fini della determinazione del valore della lite, il comma 2, dell’art. 4-bis, opera un rinvio all’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, secondo cui il valore si calcola considerando l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato, mentre se la lite è relativa all’irrogazione di sanzioni il valore è costituito dalla somma delle sanzioni stesse.

Si deve inoltre, tenere conto anche dell’imposta virtuale calcolata a seguito della rettifica di perdite.

Si ricorda, inoltre che, sempre in base alle disposizioni di cui all’art. 12, comma 2, sopra richiamato, per le controversie di valore fino a 3.000 euro le parti possono stare in giudizio senza assistenza tecnica.

Il comma 3, dell’articolo 4-bis, stabilisce che nel procedimento attivato presso il giudice monocratico si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni riferite ai giudizi resi in composizione collegiale contenute nel d.lgs. n. 546/1992, laddove non espressamente derogate dal medesimo decreto legislativo.

 

La novità dell’introduzione della prova testimoniale nel processo tributario

È introdotta la possibilità per il giudice tributario di ammettere la prova testimoniale, in forma scritta, in presenza di specifici presupposti.

A tal fine, la legge in commento sostituisce il comma 4, dell’art. 7, del decreto legislativo n. 546 del 1992, che attualmente esclude nel processo tributario l’ammissione della prova testimoniale.

L’istruttoria probatoria nel processo tributario segue all’istruzione svolta dall’amministrazione finanziaria.

Istruttoria amministrativa (c.d. primaria) e istruttoria processuale (c.d. secondaria) sono collegate tra loro, nel senso che l’amministrazione riversa nel giudizio tributario gli elementi di prova raccolti nell’istruttoria amministrativa.

La raccolta delle prove è demandata principalmente (anche se non esclusivamente) all’attività delle parti.

L’art. 7, del d.lgs. n. 546 del 1992, attribuisce alle Commissioni tributarie alcuni speciali poteri istruttori d’ufficio, in forza dei quali esse possono:

  • disporre accessi e ispezioni;
  • richiedere dati, informazioni e chiarimenti agli uffici tributari;
  • richiedere relazioni tecniche ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici (compreso il Corpo della Guardia di Finanza);
  • disporre l’esperimento di una consulenza tecnica.

La Commissione tributaria poi, ai sensi dell’art. 210 codice procedura civile, «su istanza di parte, può ordinare all’altra parte o ad un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo».

I poteri istruttori del giudice tributario, pur se modellati su quelli degli uffici, non possono avere finalità esplorative, ma devono essere esercitati – come recita l’art. 7, comma 1, del d.lgs. 546/92 – «nei limiti dei fatti dedotti dalle parti».

In particolare, la Commissione non può svolgere indagini al fine di ricercare fatti non dedotti dall’amministrazione finanziaria e porli a sostegno dell’atto impositivo in luogo di quelli su cui l’atto è fondato.

La Corte di cassazione ha affermato, sul punto, che le Commissioni tributarie, a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio spettante alle parti, possono acquisire d’ufficio le prove solo quando sia sommamente difficile o addirittura impossibile, per la parte di chi vi è onerata, fornire tali prove (come quando, ad es., si tratti di documenti decisivi per il giudizio in possesso dell’altra parte).

L’art. 7, del d.lgs. n. 546 del 1992 esclude espressamente il giuramento e la testimonianza.

L’esclusione del giuramento trova il suo fondamento nel carattere indisponibile dei diritti controversi.

L’esclusione della prova testimoniale, invece, trovava la sua ragion d’essere nel carattere essenzialmente documentale del processo tributario.

Questa esclusione era stata in più occasioni sottoposta al vaglio della Corte costituzionale che ha sempre ritenuto il divieto di prova testimoniale non lesivo del diritto alla difesa e del principio di parità delle parti (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 18 del 2000).

In particolare, a parere della Corte, il processo tributario presenta una “spiccata specificità” derivante dalla natura della pretesa fatta valere dall’ente impositore, nonché dalla prevalente forma scritta del rito; peculiarità che dunque giustificherebbe un trattamento differenziato rispetto a quello previsto negli altri processi.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, tuttavia, l’esclusione della prova testimoniale non comporta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei terzi riprodotte nei processi verbali della Guardia di Finanza o dell’amministrazione finanziaria, anche se non rese in contraddittorio con il contribuente.

Si pensi, ad esempio, ai verbali nei quali la Guardia di finanza, in esito a una verifica fiscale, riporta sommarie informazioni acquisite oralmente.

Tali informazioni, rispetto alle quali non si è svolto un contraddittorio, vengono trasfuse in un documento scritto che viene acquisito nel processo tributario e che il giudice tributario può valutare come elemento di prova indiziaria.

La novità nel confermare l’inammissibilità del giuramento, consente l’assunzione della testimonianza in sede processuale quando la Corte di giustizia tributaria di primo grado lo ritenga necessario ai fini della decisione anche in mancanza di accordo tra le parti.

La prova testimoniale deve essere assunta nelle forme della testimonianza scritta, di cui all’art. 257-bis del codice di procedura civile.

La disposizione richiamata prevede che il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, possa disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.

Il giudice dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza e lo faccia notificare al testimone.

Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione, spedendo poi le risposte in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice.

L’art. 257-bis del codice di rito, peraltro, consente al giudice, una volta esaminate le risposte o le dichiarazioni, di disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato.

Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso la prova è ammessa soltanto su circostanze oggettive diverse da quelle attestate da pubblico ufficiale.

 

Spese del giudizio in caso di mancata conciliazione

L’articolo 4, comma 1, lett. d), della legge 130/2020, prevede un addebito delle spese di giudizio, maggiorate del 50 per cento, per la parte che dopo non aver accettato una proposta di conciliazione si veda riconosciuta nel merito una pretesa inferiore a quanto previsto in sede di conciliazione.

In particolare, la legge interviene sull’art. 15, del decreto legislativo n. 546 del 1992, che disciplina le spese del giudizio tributario.

Nel processo tributario le spese del giudizio (che comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’IVA, se dovuti) seguono la soccombenza (art. 15, commi 1 e 2-ter).

La Commissione tributaria può compensare in tutto o in parte le spese solo in caso di soccombenza reciproca o sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate dal giudice (comma 2).

Se la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, la commissione tributaria la condanna, su istanza dell’altra parte, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni liquidati, anche d’ufficio nella sentenza.

Inoltre, anche d’ufficio, il giudice può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata (il comma 2-bis richiama infatti l’art. 96, primo e terzo comma, c.p.c., in materia di responsabilità aggravata per la cd. lite temeraria).

Le spese di giudizio sono maggiorate del 50% nelle controversie di valore non superiore a 50 mila euro (comma 2-septies, che richiama le controversie di cui all’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992), a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento.

Infine, il comma 2-octies dell’articolo 15, al fine di incentivare la deflazione del contenzioso, stabilisce che la parte che abbia rifiutato, senza giustificato motivo, la proposta conciliativa formulata dall’altra parte è tenuta a sopportare le spese processuali quando il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della stessa proposta conciliativa.

Si tratta di una disposizione mutuata dall’art. 91 del codice di procedura civile in materia di condanna alle spese processuali.

Rispetto alla disciplina previgente, che già pone le spese del giudizio a carico della parte che abbia rifiutato senza motivo una conciliazione per poi vedersi riconosciuta dal giudice una pretesa inferiore a quanto proposto in sede di conciliazione, la riforma del processo tributario:

  • coordina il contenuto dell’art. 2-octies con la possibilità che la proposta di conciliazione venga dalla Corte di giustizia tributaria di primo e di secondo grado;
     
  • aggiunge all’obbligo di pagare le spese processuali, la previsione della loro maggiorazione del 50%.

L’intento del legislatore è chiaramente quello di incentivare l’accettazione della proposta di conciliazione, soprattutto quando la stessa proviene dal giudice tributario, per non incorrere nel rischio concreto di dover pagare il doppio delle spese processuali.

La disciplina in esame trova applicazione, con riguardo ai ricorsi notificati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge (16 settembre 2022).

 

Abbiamo ampiamente trattato l’argomento e seguito l’evolversi della riforma. Ti invitiamo ad approfondire anche nei seguenti articoli:

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A cura di Federico Gavioli

Venerdì 9 settembre 2022

 

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