Operazioni soggettivamente inesistenti e reato di dichiarazione infedele

La Suprema Corte è ritornata ad affrontare il problema delle operazioni soggettivamente inesistenti in relazione al reato di dichiarazione infedele.

Il caso di Cassazione: operazioni soggettivamente inesistenti e reato di dichiarazione infedele

operazioni inesistenti dichiarazione infedeleLa vicenda processuale oggetto della decisione in esame può essere così di seguito riassunta.

La Corte di appello di Brescia, giudicando in sede di rinvio della Corte di Cassazione, ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo nei confronti di Tizio, qualificando il reato originariamente ascritto – delitto di cui all’art. 2 del D.lgs n.74/2000 – ai sensi dell’articolo 4 del citato decreto e, ritenuta contestata la recidiva ed esclusa la continuazione, ha rideterminato la pena inflitta in due anni e sei mesi di reclusione nonchè la durata delle pene accessorie in due anni e sei mesi, con la conferma di ogni altra statuizione.

Più nel dettaglio, Tizio è stato tratto in giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 2 del D.lgs n. 74/2000 perchè, quale legale rappresentante di una impresa, aveva indicato nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto del 2010 elementi passivi fittizi per € 1.118.994 ai fini delle imposte dirette ed iva per € 223.799, con sottrazione di imposta sui redditi e di iva.

Alla luce di tanto, il Tribunale di Bergamo ha dichiarato l’imputato colpevole del reato continuato a lui ascritto. 

In seguito, i giudici di seconde cure hanno parzialmente riformato la sentenza riqualificando il fatto ai sensi dell’art. 3 del D.lgs n. 74/2000, confermando la pena inflitta e applicando la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per tre anni.

Quest’ultima sentenza è stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione, secondo cui nella fattispecie doveva trovare applicazione l’articolo 3 del citato decreto, come da norma vigente al momento del fatto più favorevole rispetto a quella successivamente entrata in vigore.

Tale norma indicava tra gli elementi del fatto anche la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie; ma i giudici di merito avevano ritenuto non accertato tale elemento.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rilevato che la fittizietà delle poste passive afferenti alle operazioni riferibili ai vari soggetti economici indicati nel capo di imputazione e annotate nella dichiarazione presentata dalla società, di cui il ricorrente era il legale rappresentante, poteva integrare il delitto di dichiarazione infedele punito dall’art. 4 del D.lgs n.74/2000, a condizione che fosse accertato il superamento della soglia prevista.

Sulla scorta di tali considerazioni, come precisato in premessa, la Corte di appello di Brescia, giudicando in sede di rinvio della Corte di Cassazione, ritenuto che le soglie previste fossero state superate, ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo nei confronti di Tizio, riqualificando il reato originariamente ascritto ai sensi dell’articolo 4 del citato decreto.

Avverso la suddetta sentenza, il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione per i motivi esposti di seguito.

 

La motivazione della sentenza e gli orientamenti giurisprudenziali conformi

Il ricorrente con un unico motivo di doglianza ha dedotto la violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3 e dell’articolo 125 c.p.p., comma 3 nonché il difetto di motivazione perché la Corte di appello ha ritenuto superata la soglia prevista per l’ammontare dell’imposta diretta evasa non avendo computato i costi sostenuti dalla società che, seppur relativi ad operazione soggettivamente inesistenti, erano stati ciò non di meno effettivamente sostenuti.

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Fonte: Corte di Cassazione, Ordinanza n. 471 del 12 gennaio 2022

 

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A cura di Avv. Maurizio Villani e Avv. Lucia Morciano

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