Dichiarazione infedele e soglia di punibilità: il parere della Cassazione
La Corte di Cassazione, Sezione Terza penale, ha riaffermato che:
«con riguardo alla dichiarazione infedele presentata da chi amministri una società di persone e più in particolare dal socio accomandatario, la norma incriminatrice pone a carico di costui, nella veste rappresentativa così assunta e tale da imporre a suo carico l'obbligo dichiarativo, la condotta penalmente rilevante; con l'ulteriore portato della inevitabile valutazione unitaria, siccome riguardante la società di riferimento cui inerisce la dichiarazione, della imposta evasa, anche ai fini della verifica della soglia di punibilità.
Del resto questa Corte ha avuto già modo di affermare che il reato ex art. 4 cit. è commesso da “colui che inserisce all'interno della dichiarazione fiscale per l'anno di riferimento elementi passivi fittizi o comunque dati che rendono quella dichiarazione infedele” ed ha espressamente ricollegato il reato esclusivamente alla posizione di rappresentanza e gestione fiscale della società in accomandita semplice assunta dal socio» (così, in motivazione, Cass. Sez. III, n. 19228/2019).
Per la Corte «In ogni caso, peraltro, è stato parimenti osservato che le società in accomandita semplice sono tenute a presentare le dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi, ma il risultato di esercizio deve essere imputato direttamente ai singoli soci, ovviamente ciascuno per la sua quota di partecipazione.
Ne deriva che il reato di cui all'art. 4 cit. può