L’estraneità della contribuente ad ogni coinvolgimento nelle operazioni soggettivamente inesistenti può essere riconosciuta anche in mancanza, da parte del fornitore, di una sede operativa adeguata allo svolgimento dell’attività commerciale ed omissione della tenuta della contabilità.
Tali circostanze, da sole, sono inidonee a costituire prova presuntiva dello stato soggettivo del contraente, di consapevolezza che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta.
La Corte di Cassazione ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di operazioni soggettivamente inesistenti e conoscibilità della frode.
Il caso di contestazione di fatture false
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che, nell’ambito di una controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA, relativa all’indebita detrazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, aveva rigettato l’appello proposto dall’Amministrazione.
La Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che le risultanze istruttorie avevano confermato l’effettività delle operazioni relative all’acquisto (nella specie, di bestiame).
L’Agenzia delle Entrate deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 54 del Dpr. 26 ottobre 1972 n. 633, in combinato disposto con l’art. 2697 codice civile, per essere stato (a suo avviso) erroneamente ritenuto dal giudice di appello che le operazioni documentate dalle fatture emesse dal terzo fornitore fossero reali e non fittizie.
Il parere della Cassazione in tema di onere della prova
Second