Società in Nome Collettivo SNC: i prelevamenti dei soci

In taluni casi eventuali prelevamenti effettuati in acconto dai soci di una società di persone possono portare a una diminuzione del capitale della società riducendo così l’affidabilità finanziaria della società e rischiando anche che i funzionari dell’Agenzia delle Entrate si sentano legittimati a ricostruire i ricavi tramite accertamento induttivo.

La normativa di riferimento per il prelevamento soci

snc prelevamenti sociI prelevamenti dalle casse sociali effettuati dai soci di società di persone in corso d’anno costituiscono una prassi spesso consolidata. A ben vedere, però, questa consuetudine può essere fonte sia per i soci, che per la società stessa:

  • di problemi penali, finanziari, fiscali;
     
  • di responsabilità sociale, ex art. 2260 del Codice civile[1], nei confronti degli amministratori qualora questi avessero effettuato prelievi in misura superiore agli utili realizzati nell’esercizio.

 

Società semplici

Premesso ciò, osserviamo che per il prelevamento soci la norma di riferimento nell’ambito delle società semplici è l’art. 2262 del Codice civile[2].

Una disposizione che:

  • vincola la distribuzione degli utili all’approvazione del rendiconto;
     
  • legittima i soci a prevedere nello statuto della società la possibilità di effettuare prelievi in acconto sugli utili.

Per queste ragioni, fino all’approvazione del rendiconto il socio non matura alcun diritto a percepire utili, a meno che:

  • non sia stata stabilita una apposita clausola statutaria che consente di prelevare in acconto prima dell’approvazione dello stesso rendiconto;
     
  • non sussista una deliberazione da assumere tra i soci con la maggioranza prevista per effettuare le modifiche statutarie.

In mancanza, della clausola statutaria o della deliberazione dell’assemblea il socio matura il diritto a percepire utili in proporzione alla quota societaria posseduta, solo dopo l’approvazione del rendiconto.

 

Società in nome collettivo

Per quanto attiene, invece, alle società in nome collettivo (Snc) la disciplina di riferimento per il prelevamento soci è contenuta nell’art. 2303 del Codice civile[3]. Una norma che stabilisce il divieto di distribuire utili, se non realmente conseguiti, ma che diversamente dall’art. 2262 del Codice civile (società semplici), non prevede la formula “salvo patto contrario”.

Il che, in forza di una interpretazione letterale, potrebbe portare ad escludere la possibilità di effettuare prelievi in acconto per i soci di una Snc.

A scongiurare questa eventualità sembrerebbe averci pensato la Suprema Corte con la sentenza n. 1240/1996 dove è stato chiarito che:

“Nella società c.d. di fatto, e più in generale nella Snc, è possibile distribuire ai soci somme a titolo di utili, conseguiti in uno o più esercizi sociali, anche prima dell’approvazione del rendiconto, e ciò in quanto la norma di cui all’articolo 2262 cod. civ., che ne subordina il conseguimento solamente all’esito dell’approvazione del rendiconto stesso, ammette espressamente il patto contrario”.

 

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Il diritto alla percezione degli utili nelle Snc

Un altro diritto riconosciuto dall’art. 2303 del Codice civile ai soci delle Snc è quello di partecipare alla distribuzione degli utili prodotti dalla società.

In particolare, la norma precisa che il rendiconto è l’unico strumento idoneo ad accertare la presenza di utili e ad attribuire i soci il relativo diritto alla percezione degli stessi.

Sul punto i massimi giudici nella già citata sentenza n. 1240/1996 hanno chiarito che:

Il rendiconto fornisce, infatti, nelle società di persone una fotografia della situazione contabile societaria che equivale, quanto ai criteri fondamentali di valutazione, a quella di un bilancio, il quale è la sintesi contabile della consistenza patrimoniale della società al termine di un anno di attività”.

Occorre rilevare, però, che al secondo comma dell’art. 2303 del Codice civile viene stabilito che in presenza di perdite, gli utili non possono essere ripartiti tra i soci, se non dopo aver reintegrato il capitale sociale o averlo ridotto in misura corrispondente.

Chiara anche su questa questione è la posizione della Corte di Cassazione che nella sentenza n. 23/2017 ha precisato che:

nelle società di persone in caso di azzeramento del capitale per perdite, non sussiste alcun obbligo di ricostituzione dello stesso o di messa in liquidazione della società, fermo restando, però, che, riportate a nuovo le perdite, il calcolo degli utili ripartibili tra i soci, ai sensi dell’articolo 2303, cod. civ., dovrà essere operato sul patrimonio effettivo della società e, dunque, ripianando integralmente le perdite subìte nell’esercizio precedente”.

Dal tenore della norma e da questa interpretazione giurisprudenziale discende chiaramente come la ripartizione degli utili deve essere indirizzata:

  • prioritariamente al rafforzamento del patrimonio sociale, per consentire alla società di conseguire agevolmente il proprio fine sociale;
     
  • secondariamente alla distribuzione degli utili.

In buona sostanza, occorre assicurare la conservazione e l’integrità del patrimonio sociale, garantendo in tal modo i terzi e la società stessa.

 

Il diritto alla percezione degli utili

Come stabilito dall’art. 2262 del Codice civile il socio di una società di persone ha diritto a percepire gli utili subito dopo l’approvazione del rendiconto.

La metodologia, quindi, è del tutto diversa da quella delle società di capitali, dove a norma dell’art. 2433 del Codice civile[4], la distribuzione degli utili può, invece, essere effettuata solo a seguito dell’assemblea che approva il bilancio e delibera sulla stessa distribuzione.

Premesso ciò, occorre chiarire fin da subito che anche nella società di persone il socio matura il diritto a percepire gli utili, solo se questi sono effettivamente conseguiti.

Pertanto, fatta salva l’impossibilità di distribuire utili non realizzati, nella società di persone esiste ampia discrezionalità nella distribuzione.

Nelle società di persone non è nemmeno necessario distribuire gli utili in proporzione alla quota posseduta.

L’unico limite normativo è quello fissato dall’art. 2265 del Codice civile, ovvero dal divieto del cosiddetto “patto leonino”, in forza del quale:

È nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”.

Di conseguenza nelle società di persone:

  • i soci possono scegliere liberamente come regolamentare statutariamente la distribuzione degli utili.
    In mancanza, però, di una apposita clausola statutaria si presume che il diritto alla percezione degli utili sia proporzionale al conferimento effettuato;
     
  • il diritto alla percezione degli utili nasce a seguito dell’approvazione del rendiconto, ovvero con il consenso di tutti i soci che, salva diversa disposizione statutaria, possono decidere anche di non distribuire gli utili realizzati.
    Segnaliamo sulla questione la posizione dei giudici di legittimità che hanno chiarito che:

    nonostante l’insorgenza del diritto da parte dei soci, dovendo formare oggetto di riparto solamente gli utili realmente conseguiti ed essendo necessario evitare una sopravvalutazione del patrimonio sociale in danno dei creditori e dei terzi, oltre che degli stessi soci la distribuzione degli stessi deve avvenire sempre nel rispetto dei criteri di prudenza e veridicità dei dati contabili”.

Da ciò deriva, quindi, la possibilità per gli amministratori di costituire a fini prudenziali una riserva a copertura di perdite future[5].

 

Rilevazione contabile dei prelevamenti dei soci e rischi di affidabilità

Come abbiamo visto, per soddisfare esigenze personali, i soci di una Snc possono prevedere la distribuzione di utili in acconto, ovvero prima dell’approvazione del rendiconto. Utili che, poi, dovranno essere compensati con la quota effettivamente spettante a fine esercizio.

Sotto un profilo contabile la rilevazione del prelevamento in acconto di utili deve essere evidenziata nell’attivo di bilancio alla voce “crediti verso soci”.

La scrittura “Socio Tizio c/prelevamenti” sta ad indicare, infatti, il credito vantato dalla società nei confronti del socio per il prelievo di utili effettuato prima dell’approvazione del rendiconto.

Osserviamo, inoltre, che diversamente dalla rilevazione degli stipendi[6] la scrittura contabile relativa al prelevamento in acconto di utili non transita per il conto economico e non produce alcuna riduzione del capitale.

Il che, ad un’attenta analisi finanziaria, si traduce in una situazione economica non corrispondente al vero.

Si aggiunga, inoltre, che i prelevamenti in acconto di utili molto spesso non vengono nemmeno rilevati in contabilità, risolvendosi in un semplice giroconto finanziario.

In pratica il credito emergerebbe in contabilità, solo nel momento in cui viene previsto un rimborso da parte del socio a favore della società.

Si fa presente, ad ogni modo, che anche questa situazione può non verificarsi perché nelle Snc è prassi compensare i prelievi con la distribuzione degli utili realizzati a fine esercizio.

Detto ciò, osserviamo che fino a quando gli utili risultano superiori ai prelievi non si pone alcun problema.

Laddove, però, si registrassero a fine esercizio prelievi superiori agli utili realizzati si potrebbero avere ripercussioni negative sull’affidabilità finanziaria della società di persone.

Il verificarsi di una siffatta situazione potrebbe portare, infatti, ad una scarsa affidabilità bancaria, con conseguente rifiuto di nuovi finanziamenti e nei casi più gravi alla revoca di quelli in essere.

Per tutti questi motivi, in ossequio ai principi di prudenza, correttezza e veridicità delle rilevazioni, è auspicabile che tutte le Snc, comprese quelle con un numero esiguo di soci, pianifichino la redazione di rendiconti parziali di periodo, in presenza di prelevamenti straordinari effettuati nel corso dell’anno.

 

Quali conseguenze penali per la distribuzione illecita di utili?

Quanto appena detto non rileva solo ai fini finanziari.

A norma dell’art. 2303, primo comma del Codice civile è fatto, infatti, divieto di distribuire utili fittizi e il mancato rispetto di questo vincolo porta, come previsto dall’art. 2627 del Codice civile[7], a conseguenze penali.

Pertanto, è altamente consigliato procedere con la massima cautela, perché la mera previsione statutaria che consente la distribuzione di utili in acconto non funge da “salvacondotto” a prelievi indiscriminati.

Ad ogni modo, la responsabilità penale ricade sempre sugli amministratori ed integra un comportamento doloso, punibile anche a titolo di colpa. In effetti in simili casi non sembra così difficile dimostrare una ripartizione di utili dovuta a negligenza, incompetenza e/o imperizia degli amministratori.

Occorre, inoltre, osservare che con la disposizione in commento il Legislatore mira a tutelare i soci e i terzi da indebite diminuzioni del capitale sociale, che avvengono per il tramite di utili non realmente realizzati o che per legge devono essere iscritti a riserve obbligatorie.

Segnaliamo, poi, che con l’introduzione della clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, il Legislatore ha previsto la possibilità che la distribuzione illecita di utili possa integrare anche reati più gravi, come ad esempio l’appropriazione indebita.

Da ultimo occorre ricordare, però, che l’eventuale restituzione degli utili, ovvero la ricostituzione delle riserve obbligatorie prima dell’approvazione del rendiconto costituiscono cause di estinzione del reato.

 

Quali conseguenze fiscali per i prelievi in acconto?

In ragione del principio della “trasparenza” i redditi realizzati da una Snc sono imputati a ciascun socio:

  • indipendentemente dalla effettiva percezione;
  • proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili.

Così è stabilito dall’art. 5, primo comma del TUIR[8], che prescindendo dall’effettiva percezione degli utili da parte del socio, istituisce una “presunzione legale di percezione degli utili”.

Dello stesso avviso è la Corte di Cassazione che ha affermato che:

  • ciò si verifica in virtù del principio di “immedesimazione” esistente tra società a base personale e singoli soci, in conseguenza del quale le Snc e più in generale le società di persone si pongono, rispetto all’Agenzia delle entrate come uno schermo dietro il quale operano i soci, che hanno poteri di direzione, di gestione e di controllo, anche quando non ne sono amministratori[9];
     
  • il presupposto d’imposta è costituito dal reddito della società, ma l’obbligazione tributaria ricade sul singolo socio, che deve provvedere al pagamento “non perché ha percepito la somma di sua spettanza, ma per il suo status di socio, in quanto beneficia dell’incremento di ricchezza della società[10].

 

Subentro di un nuovo socio

La tassazione deve comprendere tutti i redditi prodotti dalla società, prescindendo dalle vicende dei singoli soci. È questo, quindi, il principio da adottare in presenza del subentro di un nuovo socio.

I giudici di piazza Cavour hanno, infatti, chiarito che in caso di mutamento della compagine sociale nel corso di un esercizio, con subentro di un socio nella posizione giuridica di un altro, i redditi devono essere imputati “esclusivamente al contribuente che sia socio al momento dell’approvazione del rendiconto[11], in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili, e non già al socio uscente e a quello subentrante attraverso una ripartizione in funzione della rispettiva durata del periodo di partecipazione alla società nel corso dell’esercizio, atteso che tale semplicistica ripartizione che considera il periodo di partecipazione non corrisponde necessariamente alla produzione del reddito da parte della società nei vari periodi (produzione non continua né uniforme nel tempo, e quindi insuscettibile di essere in tale misura frazionata), mentre secondo i principi civilistici in tema di ripartizione degli utili nelle società di persone – cui la disciplina tributaria coerentemente si uniforma – il diritto agli utili matura solo con l’approvazione del rendiconto”.

 

Prelevamento dei soci di Snc: l’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria

I prelievi dalle casse sociali sono monitorati dall’Amministrazione Finanziaria per il tramite della procedura stabilita dall’art. 32 del DPR n. 600/1973.

In buona sostanza l’Ufficio, nella sua attività di verifica prende a riferimento il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità[12] in forza del quale:

In sede di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l’art. 32 del DPR n. 600/1973 fonda una presunzione relativa circa la natura di ricavi sia dei prelevamenti sia dei versamenti su conto corrente, superabile attraverso la prova, da parte del contribuente, che i versamenti siano registrati in contabilità e che i prelevamenti siano serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione (relativa) dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev’essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità[13].

In buona sostanza, sussiste un’inversione dell’onere della prova in base al quale il socio/contribuente deve essere in grado di provare che il prelievo è finalizzato a soddisfare un debito della società, con conseguente formazione di un costo per la stessa. In difetto di detta prova, il prelievo è considerato, infatti, alla stregua di un acconto su utili e come tale deve essere assoggettato a tassazione.

Sempre in ambito tributario risulta interessante la pronuncia della CTP di Lecco n. 54/2015.

In particolare, i giudici hanno precisato che il prelevamento ingiustificato e sproporzionato rispetto all’utile conseguito nell’anno da parte dei soci di una Snc può essere considerato:

una anomalia giustamente fondante la presunzione grave, precisa e concordante della presenza di un maggior reddito non dichiarato, con ripresa a tassazione dello stesso, sul presupposto che in base alle norme codicistiche non fosse possibile effettuare un prelievo soci in conto utili o in conto utili futuri eccedenti il reddito prodotto”.

Nel caso di specie non è stata accolta la tesi del contribuente basata sul presupposto che:

  • l’utile è il risultato delle operazioni attive e passive imputate a Conto Economico per competenza;
     
  • la quantità di denaro a disposizione della società durante l’anno è frutto di operazioni valutate secondo il profilo di cassa, ovvero in base al momento del pagamento o dell’incasso.

In buona sostanza per il contribuente risultava chiaro come queste due “entità” fossero espressione delle stesse operazioni, valutate, però, secondo due principi differenti: quello di competenza e quello di cassa.

Pertanto, non interessando il Conto Economico, la registrazione in contabilità del prelevamento soci (uscita di cassa e contemporaneo credito a favore della società) non doveva influire sul reddito di esercizio e tantomeno sull’utile da sottoporre a tassazione.

Peccato che la CTP abbia rigettato la tesi del contribuente, ed accolto l’ipotesi dell’Amministrazione Finanziaria relativa al conseguimento di ricavi in nero non dichiarati.

 

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***

NOTE

[1] L’art. 2260 del c.c. afferma che:

“I diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato.

Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa”.

[2] L’art. 2262 del c.c. stabilisce che: “Salvo patto contrario ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto”.

[3] L’art. 2303 del c.c. prevede che: “Non può farsi luogo a ripartizione di somme tra soci se non per utili realmente conseguiti.

Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente”.

[4] L’art. 2433 del c.c. afferma che: “La deliberazione sulla distribuzione degli utili è adottata dall’assemblea che approva il bilancio ovvero, qualora il bilancio sia approvato dal consiglio di sorveglianza, dall’assemblea convocata a norma dell’art. 2364 bis, secondo comma”.

Non possono essere pagati dividendi sulle azioni, se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato.

Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente.

I dividendi erogati in violazione delle disposizioni del presente articolo non sono ripetibili, se i soci li hanno riscossi in buona fede in base a bilancio regolarmente approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti”.

[5] Si veda in tal senso la sentenza di Cassazione n. 4454/1995 dove gli ermellini nel dirimere una causa riguardante un socio che agiva nei confronti della società per ottenere i pagamento della propria quota di utili, hanno ritenuto legittimo il comportamento dell’amministratore che in via prudenziale ha accantonato una quota a riserva superiore al 5% in ragione della concreta possibilità di insorgenza di un debito risarcitorio ai danni della società, a causa della chiamata in garanzia della stessa per pretesi vizi di una fornitura”

[6] Il conto salari e stipendi è una voce di conto economico.

[7] L’art. 2627 del c.c. stabilisce che:

“Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l’arresto fino ad un anno.

La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio estingue il reato.”

[8] L’art. 5, primo comma del TUIR prevede che:

“I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.

[9] Cassazione Sezioni Unite n. 125/1993.

[10] Cassazione n. 10909/2019.

[11] In pratica al socio subentrante.

[12] Si vedano in tal senso le sentenze di Cassazione n. 15161/2020, n. 25502/2011 e 15236/2012.

[13] Nella sentenza gli elementi fondanti la pretesa il Fisco, accolti dai massimi giudici riguardavano nell’ordine:

  • la registrazione in contabilità di crediti verso soci;
  • gli ingiustificati prelievi sui conti correnti della società da parte dei soci;
  • le incongruenze di depositi in conto corrente basate prevalentemente su assegni.

 

A cura di Alessandro Marcolla

Mercoledì 26 maggio 2021

 

Questo intervento è tratto dalla circolare settimanale di CommercialistaTelematico…

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