Come evitare la spada di Damocle di declaratoria di inammissibilità del gravame per impugnazione tardiva? Quando è possibile invocare, in particolare, la rimessione in termini, per poter compiere l’attività, pur quando siano scaduti i termini previsti al riguardo dalla legge?
I termini del processo tributario: premessa
Il conteggio dei termini del processo tributario ha una valenza importante sia per l’impugnazione dell’atto impositivo e della sentenza, sia per il deposito di atti e documenti prima della trattazione vera e propria della controversia.
Effettuare il calcolo dei termini del processo tributario in modo corretto è imprescindibile, perché l’errore ha come pena l’inammissibilità dell’atto.
Nell’ambito del processo tributario assume una fondamentale rilevanza un corretto computo dei termini, e ciò soprattutto nelle ipotesi in cui gli stessi non siano meramente ordinatori, ma perentori, ovvero quando il loro superamento comporti una vera e propria decadenza dalla possibilità di compiere un atto o di esercitare un diritto.
Il presente contributo si prefigge di eliminare i dubbi interpretativi, sui termini del processo tributario, alla luce della recente giurisprudenza.
La conoscenza della consolidata evoluzione giurisprudenziale sul precisato argomento permette all’operatore tributario di scegliere quella soluzione interpretativa che meglio lo tutela.
Questi gli argomenti che affrontiamo in questa sede:
- Nozione di termine processuale
- Funzione: termini dilatori e acceleratori (perentori e ordinatori)
- Processo tributario
- Decorrenza dei termini: termini comuni e termini liberi
- Termini a decorrenza successiva e termini a ritroso
- Equiparazione del sabato ad un giorno festivo
- Cause di sospensione dei termini
- Computo dei termini
- Deposito dei documenti e memorie
- Giorno festivo
- Ricorso
- Costituzione in giudizio
- Costituzione in giudizio della parte resistente
- Deposito di documenti
- Sospensione feriale dei termini
- Mediazione
- Accertamento con adesione
- Santo patrono e termini processuali
- Rimessione in termini
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Nozione di termine processuale
Il termine è il mezzo attraverso il quale il diritto interviene a regolare la durata di un’attività, più specificamente, per termine processuale si intende il periodo di tempo entro il quale o dopo il quale deve o può compiersi una determinata attività processuale.
I termini processuali sono stabiliti dalla legge (termini legali); possono essere stabiliti dal giudice, anche a pena di decadenza, ma solo per espressa previsione di legge (termini giudiziari).
Funzione: termini dilatori e acceleratori (perentori e ordinatori)
I termini processuali sono riconducibili a una delle tre categorie tradizionali: termini dilatori[1], termini perentori (per es. termine per l’impugnazione, termine per l’integrazione del contraddittorio), termini ordinatori (per es. termine per il deposito della sentenza).
I termini dilatori consistono in un periodo di tempo che si inserisce tra un atto perfetto nella sua struttura e un determinato effetto giuridico; essi si limitano a paralizzare temporaneamente l’effetto di un atto completo nei suoi elementi essenziali.
La categoria dei termini ordinatori[2] è una categoria di risulta che raccoglie tutti i termini che non sono dilatori o perentori.
La distinzione è importante non solo per le diverse conseguenze in caso di inosservanza dei termini[3], ma anche perché i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti, mentre i termini ordinatori possono essere abbreviati o prorogati, anche d’ufficio, prima della scadenza, così come previsto dagli artt. 153 e 154 Cod. proc. civ.
Anche i termini dilatori possono subire modificazioni (dispensa, abbreviazione) nei casi previsti dalla legge; è dibattuta la questione della generale applicabilità dell’art. 154 Cod. proc. civ. anche a detti termini. Sotto il profilo ontologico occorre, quindi, distinguere, in relazione alla loro funzione, i termini dilatori (cfr. art. 31 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992) da quelli acceleratori (quest’ultimi suddivisi in perentori e ordinatori).
I primi segnano il periodo di tempo solo dopo il quale l’attività può compiersi, mentre i secondi sono i termini entro i quali l’attività deve (art. 21, D.Lgs. n. 546/1992) o può compiersi.[4]
I termini sollecitatori
I cosiddetti termini «sollecitatori» sono quei termini diretti a «sollecitare» il tempestivo compimento di una data attività, senza prevedere alcun effetto negativo in caso di mancato rispetto.
Invero, date le eguali conseguenze previste, il termine sollecitatorio si distingue ben poco da quello ordinatorio.
Il termine perentorio
Un termine viene detto perentorio[5] se un dato atto o una data attività deve essere compiuta entro il lasso temporale di scadenza del medesimo.
Se il termine non viene rispettato, l’atto o l’attività, pur se eventualmente compiuta, risulta inutile, nel senso che non viene considerata utile ai fini di certi effetti favorevoli, con conseguente applicazione di effetti sfavorevoli.
Un termine viene detto, invece, ordinatorio, se, all’inosservanza del medesimo, non sono previste effetti sfavorevoli.
La funzione del termine perentorio è quella di obbligare, in termini assoluti, il compimento di una data attività entro un determinato lasso temporale, al fine di fornire tempestività e certezza temporale all’attività medesima.
Alla base e a fondamento del termine perentorio, vi è un giudizio di valore, nel senso che la previsione di un termine di tal genere esprime l’importanza che il legislatore conferisce al tempestivo compimento di quella data attività.
Il termine ha, senza alcun dubbio, carattere perentorio, qualora la legge preveda una decadenza.
Il problema sorge quando la legge nulla dice in merito.
Secondo una precisa ricostruzione la qualificazione del medesimo come perentorio dipende dalla particolare esigenza perseguita manifestamente dalla legge.
I termini fissati dalla legge per l’esercizio di un diritto hanno natura ordinatoria, salvo che la stessa legge non disponga espressamente il contrario o che la perentorietà sia desumibile da concrete ragioni pubblicistiche.
È importante la ricerca interpretativa, diretta a indagare la natura del termine, che investa gli scopi perseguiti dalla legge, i quali possono fornire preziosi e decisivi ragguagli al riguardo.
Per attribuire il carattere perentorio a un termine fissato dal legislatore, non è necessario rinvenire un’esplicita previsione al riguardo, potendosi attribuire tale carattere anche in considerazione degli scopi perseguiti dalla legge e della funzione che esso adempie.
Sono perentori, quindi, soltanto i termini dichiarati tali espressamente dalla legge o dal giudice nei casi previsti dalla legge.
Il carattere perentorio di un termine può anche essere desunto dalla funzione che esso è destinato ad assolvere.
Processo tributario
Nell’ambito del processo tributario assume una fondamentale rilevanza un corretto computo dei termini, e ciò soprattutto nelle ipotesi in cui gli stessi non siano meramente ordinatori, ma perentori, ovvero quando il loro superamento comporti una vera e propria decadenza dalla possibilità di compiere un atto o di esercitare un diritto.
Si pensi ad esempio all’estinzione del processo che può essere pronunciata anche per inattività delle parti nei casi in cui esse non provvedano a riassumere il processo entro i termini perentori di legge (nei casi di sospensione, interruzione del processo e di litisconsorzio necessario).
Decorrenza dei termini: termini comuni e termini liberi
Ai fini del computo della decorrenza dei termini, occorre distinguere tra:
- termini comuni, [6] per i quali non si computa il giorno iniziale mentre si computa il giorno finale. Questa è la regola che si applica generalmente, salvo che i termini non siano qualificati «liberi» dalla leg