Le presunzioni nel diritto tributario e il caso lista Falciani

Le presunzioni assumono rilevanza fondamentale in fase di accertamento e nel processo tributario.
Come operano nel diritto tributario?
In questo articolo proponiamo le valutazioni della Cassazione sulla natura giuridica delle presunzioni.

La Cassazione sulla natura giuridica delle presunzioni

presunzioni diritto tributarioLa Corte di Cassazione nel decidere varie questioni di diritto tributario ha più volte precisato la natura giuridica delle presunzioni.

In questa sede, non può certo essere ripercorso in dettaglio il dibattito dottrinale sulla natura sostanziale o piuttosto processuale delle presunzioni legali relative, che, come anche di recente osservato, costituisce ancora «il vero punctum dolens» nell’ambito della disciplina generale delle presunzioni legali, su cui, infatti, si sono soffermati tanto gli studiosi del processo civile quanto quelli del diritto civile sostanziale; questione poi che, nell’ambito del diritto tributario, caratterizzato dal cospicuo ricorso agli accertamenti di natura presuntiva, assume indubbiamente un rilievo particolare.

Tuttavia, non può farsi a meno di notare come, pur da autorevole dottrina processual – civilistica, non si sia mancato di porre in risalto come le presunzioni, in quanto ispirate alla finalità di facilitare la tutela di situazioni giuridiche, sotto tale profilo, siano indubbiamente appartenenti al diritto sostanziale, mentre, in quanto espedienti di tecnica legislativa imperniati sulla distribuzione dell’onere della prova, finiscano, sotto tale profilo, con l’assumere rilevanza come limiti o predeterminazioni dell’assetto dell’onere probatorio.

Puoi approfondire l’argomento all’articolo: “L’accertamento analitico-induttivo: le presunzioni semplici e legali”

Le presunzioni nel diritto tributario

Il problema, in effetti, è reso ancor più arduo dal fatto che, specialmente con riferimento al settore del diritto tributario, non tutte le presunzioni legali relative sono certamente riconducibili allo schema classico secondo cui, salva la prova contraria, la legge riconnette ad un fatto noto l’esistenza di un altro fatto ignoto.

In tal caso – come pur si è autorevolmente osservato sul piano della dottrina generale del diritto civile – la presunzione legale relativa non può inquadrarsi perfettamente nell’ambito del fenomeno probatorio, restando «pur sempre il fatto dell’equipollenza, piuttosto che l’evento da provare, ad essere oggetto di prova contraria».

Ritiene, quindi, la Corte di Cassazione che debba essere confermato tale indirizzo (già espresso da Cassazione sez. 6-5, ord. 2 febbraio 2018, n. 2662, solo isolatamente contraddetto da Cass. sez. 6-5, ord. 12 febbraio, n. 3276, e di seguito viceversa riaffermato da Cass. sez. 5, 21 dicembre 2018, n. 33223 e da Cass. sez. 6-5, ord. 30 gennaio 2019, n. 2562), con qualche ulteriore opportuna precisazione.

La prima può essere espressa nel principio secondo cui, per esempio:

«La presunzione legale relativa di evasione introdotta – con riferimento all’omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato – dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009 non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura procedimentale».

Ciò consente di disattendere l’argomento speso dall’Amministrazione circa l’espletamento di ciascun accertamento riferito alle singole annualità d’imposta. Né soltanto processuale, non essendo riferibile esclusivamente al riparto dell’onere della prova, come ancora ulteriormente desumibile dalla collocazione delle norme in tema di presunzioni tra quelle sostanziali, nel codice civile, nonché, in generale (cfr. Cass. sez. lav. 19 marzo 2014, n. 6332), sempre riguardo al principio di distribuzione dell’onere probatorio, più che per la sedes materiae, perché consistenti in regole di giudizio che comportano una decisione di merito.

D’altronde si è ancora dalla Corte di Cassazione, in maniera condivisibile, affermato che una differente interpretazione potrebbe, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., pregiudicare l’effettività del diritto di difesa del contribuente in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione.

L’ulteriore precisazione attiene all’interpretazione, per esempio, dell’incipit del citato comma 2 del d.l. n. 78/2009, così come convertito dalla L. n. 78/2009 «In deroga ad ogni vigente disposizione di legge…», segnatamente se esso possa intendersi come deroga espressa all’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile ed all’art. 3, comma 1, della L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente).

Invero al riguardo non può farsi a meno di osservare, avuto riguardo all’art. 12 delle preleggi, come all’interpretazione letterale della norma debba, comunque, affiancarsi quella sistematica che consenta di rilevare l’intenzione del legislatore (voluntas legis).

Ebbene, come è dato evincere anche dai successivi commi dell’art. 12 del d.l. n. 78/2009 in esame, quale risultante a seguito della legge di conversione, non vi è dubbio che la disposizione abbia la precipua finalità di avvantaggiare la posizione del Fisco sul piano dell’accertamento, dando per certo, salva la prova contraria, il fatto della costituzione degli investimenti ed attività finanziarie non dichiarati nei menzionati Paesi o territori a regime fiscale privilegiato mediante redditi sottratti a tassazione.

Sicché appare coerente concludere nel senso che l’inciso sopra indicato debba intendersi in modo che la deroga espressa ivi contenuta sia da porre in relazione agli ordinari strumenti accertativi.

A tal proposito, si ribadisce, per esempio, quanto già ritenuto, ugualmente in fattispecie inerente alla c.d. lista Falciani, dalla Corte di Cassazione sez. 5, ud. 16 maggio 2019 – dep. 14 novembre 2019, n. 29632, ovverosia:

La circostanza che la presunzione legale di evasione stabilita dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12 comma 2, non sia suscettibile di applicazione retroattiva agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, non preclude all’Ufficio di provare l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 2 con riguardo alla rettifica del reddito delle persone fisiche), senza fare ricorso alla presunzione legale in oggetto.

A tal fine occorre considerare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, civile e tributaria, in tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non devono essere necessariamente più d’uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Sez. 1 -, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018).

Con riferimento alla materia tributaria, il convincimento del giudice, in ordine alla sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati, può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa. (Sez. 5, Ordinanza n. 30803 del 22/12/2017, con specifico riferimento alla lista Falciani Sez. 6 – 5, n. 3276 del 12/02/2018, secondo cui l’Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, se grave e preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica (nella specie, risultanze della cd. “lista Falciani”).

Resta, dunque, confermato il principio di diritto secondo cui:

«La presunzione legale relativa di evasione introdotta – con riferimento all’omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato – dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009 non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura procedimentale e di deroga espressa all’art. 11 delle preleggi e all’art.3 dello statuto del contribuente; laddove il fisco ricorrente denunci anche la violazione dell’art. 2729 cod. civ. la Corte può rinviare al giudice di merito il riesame dei medesimi fatti addotti, sub specie di presunzione semplice)» (conf. anche Cass. sez. 5, ud. 16 maggio 2019 – dep. 14 novembre 2019, n. 29633).

Il caso della lista Falciani

Proprio riguardo a casi riguardanti la c.d. lista Falciani, da Cassazione sez. 6-5, ord. 28 aprile 2015, n. 8605 e 8606, si è stabilito il principio secondo cui:

«In tema di accertamento tributario, è legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica disposizione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale» (cfr. tra le altre, sempre in caso di documentazione bancaria ottenuta dall’autorità italiana nel quadro degli strumenti di cooperazione comunitaria, Cassazione sez. 5, 19 agosto 2015, n. 16950, in tema di c.d. lista Vaduz e n. 16951, in pari data, ancora riguardo alla c.d. “lista Falciani; Cass. sez. 5, 26 agosto 2015, n. 17183, con riferimento alla c.d. lista Pessina; la già citata Cassazione n. 33223/18, in tema di “lista Falciani“).

Né ha escluso che l’acquisizione di essa per il tramite dell’autorità francese potesse di per sé, come chiarito pure dalle citate Cass. nn. 8605 e 8606 del 2015, valere anche come unico elemento indiziario idoneo a fondare l’accertamento in relazione ai requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ., ma ha preso in considerazione una serie di elementi di fatto che, esaminati singolarmente e, quindi, nella loro valutazione complessiva (dunque, in ossequio, ai canoni indicati dalla stessa Cass. n. 17183/2015, pur citata dall’Amministrazione finanziaria ricorrente), sono stati ritenuti dal giudice di merito tali da escludere in concreto che di per sé l’indicazione del nominativo della contribuente sull’unico foglio di quella che dovrebbe intendersi, come la scheda di sintesi riferita al contribuente, potesse ragionevolmente fondare la prova presuntiva in relazione all’art. 2729 cod. civ.

Tali elementi sono stati individuati da ciascuna delle decisioni impugnate nella presenza di «codici che però non si relazionano l’uno con l’altro», nonché di un elenco anonimo di importi afferente alla movimentazione del conto bancario codificato, ed ancora nella mancanza sulla documentazione acquisita di qualsiasi intestazione o riferimento.

Ciò comporta che, sempre secondo la Corte di Cassazione, seppur erronea in sé in diritto la qualificazione, alla stregua di quanto osservato da Cassazione sez. 6-5, ord. 13 maggio 2015, n. 9760, da parte delle decisioni impugnate, comefoglio anonimo della scheda clienti (fiche) della banca prelevata da dipendente della stessa e consegnata all’Autorità francese che, a sua volta, lo ha scambiato con l’Amministrazione finanziaria italiana, “la formulazione della censura, che non attinge il complessivo accertamento in fatto così come svolto dal giudice tributario d’appello in ciascun giudizio ed estrinsecatosi nelle plurime rationes decidendi sopra esposte, deve ritenersi inammissibile” (in tal senso, correttamente, Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile – sentenza n. 33893 depositata il 19 dicembre 2019).

 

A cura di Maurizio e Antonella Villani

Sabato 14 novembre 2020