La valutazione equitativa non è ammessa nel giudizio tributario

di Massimo Genovesi

Pubblicato il 21 ottobre 2020

Analisi di un caso di ricostruzione analitico-induttiva dei ricavi (nel caso il caffettometro di un bar): in sede di giudizio i giudici possono affidarsi alla valutazione equitativa?

Valutazione equitativa non ammessa nel giudizio tributario:

valutazione equitativa giudizio tributarioL’Agenzia delle Entrate notificava al contribuente un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione maggiori ricavi derivanti dall’attività di bar, attraverso una ricostruzione analitico/induttivo: da un lato, attraverso il c.d. caffettometro, veniva ricostruito un maggiore ricavo derivante dalla vendita di caffè rispetto a quello dichiarato; dall’altro, venivano ricostruiti ulteriori ricavi, applicando una medesima percentuale di ricarico al costo del venduto relativo a tutti gli altri prodotti venduti dal bar.

A seguito del ricorso del contribuente, la Commissione provinciale di Caserta accoglieva parzialmente le istanze difensive, procedendo ad una riduzione pari al 40% dei maggiori ricavi accertati.

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L'Ordinanza n. 8926 del 14/05/2020

La decisione veniva confermata dai giudici regionali i quali ritenevano che la percentuale “di riduzione” individuata dai giudici di prime cure tenesse già in debita considerazione le obiezioni mosse al riguardo dal contribuente.

La Suprema Corte, tuttavia, procedeva a cassare la sentenza poiché i giudici regionali avevano “omesso di indicare in concreto le presunzioni poste a base dell'accertamento induttivo, nonché di valutare i calcoli che avevano condotto all'accertamento e di palesare le ragioni per cui tali contestazioni dovevano ritenersi già considerate nella riduzione del 40 %” (Ordinanza Cassazione Civile Sez. 5 n. 8926 del 14/05/2020)

Investita della causa, la Commissione regionale rigettava l’appello dell’ufficio finanziario “rilevando che era "opportuna, fondata ed equa la riduzione globale del 40 %" applicata dai giudici di prime cure ai ricavi ed all'avviamento, dichiarato in Euro 20.000,00 e definito in adesione con l'Ufficio del registro in Euro 31.154,00, quale plusvalenza imponibile. La riduzione del 40 % era fondata su "dati certi ed oggettivi, frutto della vissuta esperienza di mercato", con riduzione della percentuale di ricarico dal 150 % al 90 % e dell'avviamento da Euro 31.154,00 ad Euro 18.692,00”.

Seguiva nuovamente ricorso per Cassazione proposto dal contribuente, che veniva accolto con rinvio alla commissione regionale in diversa composizione, che avrebbe dovuto decidere anche sulle spese.

Secondo gli Ermellini, infatti, i giudici del rinvio avevano errato perché avrebbero dovuto procedere “ad una nuova valutazione degli elementi di fatto, senza incorrere nelle medesime errate valutazioni già oggetto di censura[1].

Infatti i giudici - anziché fondare la decisione su concreti elementi di fatto - avevano nuovamente confermato la decisione dei giudici provinciali che avevano ritenuto “opportuna, fondata ed equa la riduzione globale del 40 %”.

Al riguardo, l’organo di nomofilachia osserva chiaramente che:

tale valutazione equitativa non è consentita nei giudizi estimatori che caratterizzano il processo tributario”.

Alla luce dell’articolo 113, comma 1 codice procedura civile che prevede che il giudice, nel pronunciare sulla causa, debba seguire le norme del diritto, tranne che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità, la Suprema Corte osserva che:

L'equità, dunque, costituisce una deroga eccezionale al principio di legalità della decisione giudiziaria, sicché il giudizio di equità presuppone sempre una espressa previsione legislativa che lo autorizzi. (…)

Poiché nei casi in cui la legge consente il giudizio di equità si verifica una vera e propria sostituzione del giudizio di st