Con l’ordinanza n. 28311 del 27 novembre 2017, la Corte di Cassazione ha confermato che “In tema di imposte sui redditi, è legittimo il ricorso all’accertamento del reddito d’impresa con metodo induttivo ex art. 39, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, così violando la prescrizione dell’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973” (cfr. Cass. sent. n. 5995/2017).
Brevi Note sulla carenza di inventario
L'ufficio, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del DPR n. 600/73, può determinare il reddito d'impresa e il reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni, in deroga alle disposizioni previste dal comma 1, del citato articolo 39, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, in suo possesso, prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili, e con facoltà di avvalersi di presunzioni semplici anche se non gravi, precise e concordanti, nelle seguenti ipotesi:
- se il reddito d'impresa non è stato indicato nella dichiarazione;
- se dal verbale d'ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o a ha sottratto all'ispezione una o più scritture che era obbligato a tenere o se le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;
- se le irregolarità formali, le omissioni, falsità e inesattezze delle scritture risultanti dal verbale d'ispezione sono così gravi, ripetute e numerose da rendere inattendibili le scritture stesse nel loro complesso.
L'ufficio, inoltre, può ricorrere all'accertamento induttivo anche se il contribuente non ha risposto e non ha ottemperato agli inviti di esibire atti e documenti, compilare questionari o comparire di persona (art. 38 u.c. del DPR n. 600/1973, aggiunto dall'art. 25 L 18.02.1999 n. 28).
L’attività di controllo, unita ad una analisi sulle caratteristiche dell’attività svolta e