La motivazione esatta per anticipare l'invio dell'accertamento

La notifica dell’accertamento prima della scadenza del termine di 60 giorni dalla data di chiusura delle operazioni di verifica, rende nullo l’atto di accertamento stesso, anche se l’Agenzia delle Entrate adduce, quale motivazione di particolare urgenza, l’imminente scadenza del termine di verifica!

L’invio dell’accertamento non può essere l’imminente scadenza del termine di verifica!

notifica della cartella presso la residenza del contribuenteLa notifica dell’accertamento prima della scadenza del termine di 60 giorni dalla data di chiusura delle operazioni di verifica, rende nullo l’atto di accertamento stesso, anche se l’agenzia delle entrate adduce, quale motivazione di particolare urgenza, l’imminente scadenza del termine di verifica.

È quanto affermato dalla suprema corte di Cassazione nella sentenza n. 3142 del 12 febbraio 2014, con la quale i giudici ermellini elaborano una sintesi di chiusura, quasi perfetta, della corretta interpretazione della controversia disposizione normativa del comma 7 dell’articolo 12 della L. 212/2000.

Come noto, tale norma prevede che:

“nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici.

L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

 

La norma ha la funzione di dare diretta attuazione ad un principio generale comunitario inderogabile nonché ai principi costituzionali indicati negli articoli 3, 53 e 97 della Cost..

 

In particolare, osservano i supremi giudici, come già stabilito dalle SSUU in data 29 luglio 2013 n. 18184, la norma in trattativa costituisce concreta attuazione dei principi di collaborazione e buona fede che, a loro volta, sono diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), di capacità contributiva (art. 57 Cost.) e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), come pure del generale principio di derivazione comunitaria secondo il quale,

“ogni attività amministrativa che determina un’ingerenza della sfera giuridica e/o patrimoniale del destinatario e sia quindi ad esso lesiva, deve essere preceduta dal confronto con il medesimo, nell’ambito del quale questi possa esprimere e manifestare le proprie osservazioni, argomentazioni e richieste anche sul merito, prima che sia notificato l’atto amministrativo (Corte di giustizia 18 dicembre 2008 Causa C-349-07 ‘Sopropè’)”.

 

Ne deriva che, la violazione della norma di cui al comma 7 dell’articolo 12 della Legge dello statuto del contribuente rappresenta circostanza fattuale di assoluta particolare gravità, costituendo fattispecie di illegalità e di illegittimità della formazione dell’atto impositivo che deve necessariamente e “ineludibilmente” essere sanzionata con la nullità dell’atto stesso.

La violazione, si aggiunge, è lesione sostanziale di diritti fondamentali del contribuente e non può quindi essere retrocessa a semplice violazione formale, sanabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 21-octies della L. 241/1990. Tale disposizione prevede che

“non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

 

I Supremi giudici chiariscono che, evidentemente, tale disposizione potrà al più consentire di sanare vizi procedimentali aventi natura “formale” e non certo vizi procedimentali idonei a ledere sostanzialmente l’interesse del contribuente destinatario del provvedimento impositivo, come nell’ipotesi di violazione del termine posto a tutela dell’esercizio anticipato del diritto di difesa del contribuente (fondamentale e costituzionalmente prescritto).

Le SS.UU avevano già affermato tale principio stabilendo che il vizio di legittimità riconducibile alla violazione del termine di cui al comma 7 dell’articolo 12 della L. 212/2000, sottende non una mera difformità dallo schema formale del procedimento, ma un vizio di natura sostanziale.

La sentenza della Cassazione in trattativa conferma che la circostanza fattuale della “particolare e motivata urgenza” deve sussistere, e laddove eccepita in giudizio di primo grado, dovrà essere sostenuta dall’amministrazione mediante la dimostrazione e allegazione della effettiva esistenza. Irrilevante quindi l’indicazione nelle motivazioni dell’atto impositivo.

Tale interpretazione appare poco appagante e non perfettamente condivisibile, costituendo di fatto una lesione del diritto di corretta valutazione della legittimità dell’atto da parte del destinatario che potrà quindi avere computo, conoscenza e coscienza del presupposto prescritto dalla norma solo in sede giudiziale e quindi solo successivamente all’avvio dell’azione giudiziaria.

Secondo i Supremi giudici, il presupposto della particolare e motivata urgenza è fatto estraneo agli elementi essenziali evocati dall’articolo 3 della L. 241/1990 e pertanto la sua mancata allegazione non potrà costituire presupposto di nullità dell’atto ai sensi del successivo art. 21-septies della medesima Legge.

Chiarita la portata consequenziale del mancato rispetto del termine di 60 giorni di cui al comma 7 dell’articolo 12 della L. 212/2000, rimane da comprendere quali possano essere i connotati perimetrali che possano descrivere, in linea di massima, il presupposto di particolare e motivata urgenza.

La sentenza del 12 febbraio 2014 n. 3142, formula sul punto un rilevante chiarimento, stabilendo il principio secondo il quale, il presupposto di fatto su cui l’amministrazione radica la particolare e motivata urgenza non può essere affatto riconducibile alla volontà o alla colpa dell’amministrazione perché deve essere completamente estraneo alla sua attività.

Più precisamente è affermato che, il fatto impeditivo del rispetto di una norma imperativa (per la ampie ragioni sopra esposte) deve consistere in una “oggettiva impossibilità” di adempimento dell’obbligo di osservanza del termine di legge.

Ne deriva quindi la consequenziale elementare conclusione secondo la quale, la particolare e motivata urgenza non può essere ricondotta ad una situazione fattuale derivante da condotte a qualsiasi titolo imputabili all’amministrazione e pertanto l’amministrazione non potrà mai invocare l’immanente scadenza del termine per legittimamente giustificare l’inosservanza del prescritto termine di legge.

Grave quindi e da censurare con la decisione di nullità dell’atto, l’accertamento notificato al contribuente senza il rispetto del termine di 60 giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica laddove la violazione dell’imperativo termine sia giustificato dall’immanente scadenza della decadenza dell’accertamento, situazione di fatto riconducibile ad una “colpa” dell’amministrazione che potrà anche essere chiamata a riscontrare tale grave inefficienza quando sia rilevato che la legittima pretesa tributaria sia vanificata e persa per ritardi nell’attività amministrativa.

Un orientamento quello della giurisprudenza che tende a riporre nel giusto equilibrio l’esercizio dei reciproci diritti tutelai, privati e pubblici, ma che pare aprire una nuova stagione di verifiche sulla responsabilità dei funzionari della pubblica amministrazione che non solo dovranno guardarsi bene dall’evitare di insistere e persistere con atti lesivi dei fondamentali diritti dei contribuenti, ma che potrebbero essere chiamati a dimostrare la propria non colpa con riferimento al ritardato agire dell’azione di accertamento e all’assenza di presupposti fattuali dell’abuso di potere.

Si tratta a questo punto di attendere quale sarà la posizione giuridica con riferimento all’applicazione della norma nei casi di verifica a tavolino.

Ultimo baluardo e ultima flebile resistenza dell’amministrazione che intende sostenere, pericolosamente, che il termine di cui al comma 7 dell’articolo 12 della l.212/2000 non si applichi per tali modalità di accertamento.

Ma già la prima giurisprudenza ha espresso un principio, anche se non completamente condiviso, secondo il quale affermare che l’amministrazione, scegliendo la modalità di accertamento, potrà anche scegliere la modalità di trattamento e compressione dei diritti fondamentali del contribuente appare lettura miope e interpretazione non corretta.

L’amministrazione dovrà quindi adeguare le proprie procedure di verifica, controllo e accertamento, ed in particolare dovrà opportunamente adottare il giusto procedimento che consiste nella predisposizione e consegna del verbale di chiusura delle attività di verifica anche per le attività di controllo a tavolino, che appare comportamento sicuramente più virtuoso e rispettoso dei diritti dei contribuente. Comportamento virtuoso e corretto che è ragionevole attendersi dall’amministrazione finanziaria, sempre.

11 aprile 2014

Mario Agostinelli