Normativa sul transfer price e trattamento fiscale degli interessi passivi erogati alla società controllante lussemburghese

Nell’ambito della normativa sul transfer price, la valutazione sulla deducibilità degli interessi passivi infragruppo pagati ad una società estera presenta aspetti peculiari.

transfer pricingE’ utile approfondire il tema del trattamento ai fini IRES degli interessi passivi sostenuti da Società residente in Italia in relazione ai finanziamenti concessi dalla società controllante Società Y S.A., residente in Lussemburgo.

In particolare, si tratta di verificare se l’onere finanziario sostenuto dal soggetto di imposta italiano possa essere integralmente dedotto ai fini della determinazione del reddito d’impresa, in quanto la normativa interna riconosce i costi sostenuti con società non residenti, facenti parte dello stesso “gruppo”, solo se in linea con il cosiddetto valore normale. In altri termini, le disposizioni fiscali non consentono la deduzione degli oneri che derivino da prezzi praticati da società non residenti, appartenenti al medesimo “gruppo”, qualora non siano rispettosi del principio della libera concorrenza; ciò al fine di evitare il trasferimento all’estero di utili prodotti in Italia.

Per un corretto inquadramento della questione, appare opportuno descrivere preliminarmente la normativa in vigore e, poi, procedere all’esame della fattispecie specifica.

La normativa contenuta nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi

In materia di prezzi di trasferimento, l’articolo 110, comma 7, del Tuir stabilisce che

“i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito…”.

La citata disposizione è diretta, come detto, ad impedire il trasferimento di utili da un’impresa residente a società non residenti (facenti parte dello stesso “gruppo”) attraverso la fatturazione delle operazioni al di sotto o al di sopra del loro valore normale. In particolare l’obiettivo di evitare il travaso di utili dal territorio dello Stato italiano all’estero viene raggiunto mettendo a raffronto l’ammontare dei corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, intervenuti con società non residenti, con il rispettivo valore normale (che viene determinato, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo 110, sulla base delle previsioni del precedente articolo 9).

Il valore normale è, dunque, il limite entro il quale è riconosciuta la deducibilità dei costi sostenuti con società non residenti (appartenenti allo stesso “gruppo”), con conseguente ripresa a tassazione dell’eventuale eccedenza.

Per la determinazione del “valore normale” l’articolo 110 del Tuir richiama, come detto, il concetto di valore normale così come definito dall’articolo 9, comma 3, dello stesso Tuir.

Secondo tale articolo, per valore normale si intende

“ … il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”.

Il concetto di valore normale definito dalla normativa fiscale italiana si fonda, sostanzialmente, sul principio di libera concorrenza (cd. “arm’s length principle”)1.

Tale principio è stato raccomandato dal Comitato per gli affari fiscali dell’OCSE, già nel Report del 16 maggio 1979 (“Transfer pricing and multinational enterprises”) e ribadito nella Relazione OCSE del 13 luglio 1995 (“Transfer pricing guidelines for multinational enterprises and tax administration”), nonché è alla base delle attuali Linee Guida OCSE sulla determinazione dei prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, approvate dal Consiglio dell’OCSE in data 22 luglio 2010.

Il valore normale è in sostanza il prezzo che verrebbe fissato per transazioni simili da società indipendenti.

Per quanto riguarda i metodi relativi alla verifica della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento, si può fare riferimento alla suddette Linee Guida OCSE, di cui si dirà nel prosieguo.

Il ruling di standard internazionale

Si segnala che la normativa interna prevede in materia di prezzi di trasferimento un ruling di standard internazionale introdotto dall’articolo 8 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326) ed attuato con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 23 luglio 2004 (Cfr. l’Allegato 1).

La nuova normativa sulla documentazione dei prezzi di trasferimento

La descritta disciplina è stata qualche tempo fa interessata da un intervento normativo diretto a definire un regime di favore per le imprese che predispongono e conservano la documentazione esplicativa della politica del “transfer price”.

In particolare l’articolo 26 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 782 ha stabilito quanto segue:

“A fini di adeguamento alle direttive emanate dalla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento ed ai principi di collaborazione tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, …

In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni di cui all’articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (ossia le operazioni infragruppo con controparti non residenti), da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione di cui al comma 2 (pari da una a due volte la maggiore imposta accertata) non si applica qualora, nel corso dell’accesso, ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene la documentazione prevista dal provvedimento di cui al periodo precedente, deve darne apposita comunicazione all’Amministrazione finanziaria secondo le modalità e i termini ivi indicati”.

In attuazione della citata disposizione è stato emanato il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate 29 settembre 2010 che ha definito la documentazione idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati dalle imprese multinazionali.

Le imprese hanno, pertanto, la facoltà di predisporre la documentazione sul “transfer price” secondo le indicazioni contenute nel citato provvedimento e comunicare all’Agenzia delle Entrate il possesso di detta documentazione. In tal modo si può usufruire della non applicazione delle sanzioni qualora l’Amministrazione finanziaria ritenga di rettificare i prezzi che sono stati applicati infragruppo.

Per quanto attiene alla determinazione di prezzi che siano in linea con il valore normale delle relative transazioni, è importante evidenziare che il citato provvedimento rinvia in più punti alle citate Linee Guida OCSE sulla determinazione dei prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali e le amministrazioni fiscali, approvate dal Consiglio dell’OCSE in data 22 luglio 2010.

 

Le Linee Guida OCSE

Nell’ambito delle Linee Guida non vi è una separata analisi delle operazioni di finanziamento che rientrano, dunque, nell’ambito della più ampia categoria dei servizi infragruppo. La descrizione dei criteri per l’individuazione del valore normale dei servizi infragruppo è contenuta nel capitolo 7 delle citate Linee Guida. In particolare, secondo il paragrafo 7.19, una volta stabilito che in una determinata ipotesi è configurabile l’esistenza di un servizio infragruppo, occorre definire se il costo di tale servizio è stato determinato dalle associate in base all’arm’s length principle.

Ciò significa – così come avviene riguardo alla generalità delle operazioni

  • che è necessario verificare se esso sia pari al valore che sarebbe stato concordato da soggetti indipendenti in circostanze analoghe. Nel successivo paragrafo 7.29 si afferma, poi, che per determinare il giusto prezzo di trasferimento in relazione ai servizi infragruppo è necessario considerare sia la posizione del soggetto che rende il servizio (con particolare riguardo, evidentemente, ai costi – sia interni che esterni – che deve sostenere per poterlo offrire) sia quella di colui che lo riceve (con particolare riguardo al valore del servizio e a quanto sarebbe disposto a pagare per il medesimo un’impresa indipendente). Ciò premesso, il paragrafo 7.31 chiarisce che i metodi utilizzabili per la determinazione del prezzo di libera concorrenza dei servizi infragruppo sono gli stessi applicabili in via generale per tutte le fattispecie e descritti nei capitoli I, II e III.
    Tuttavia, nello stesso paragrafo si ritiene che le indicazioni per la selezione dei metodi da adottare, contenute nei suddetti primi tre capitoli delle Linee Guida, comporteranno prevalentemente l’applicazione del metodo CUP (comparable uncontrolled price, ossia metodo del confronto del prezzo), ovvero del metodo cost plus (metodo del costo maggiorato).
    Più precisamente, il primo sarà utilizzabile ogniqualvolta siano disponibili operazioni comparabili con controparti indipendenti, ossia quando c’è un servizio analogo fornito tra imprese indipendenti nel mercato del beneficiario o quando l’impresa associata fornisce lo stesso servizio ad un impresa indipendente in circostanze Il secondo metodo può essere utilizzato, ove non sia applicabile il CUP, quando le operazioni comparabili siano omogenee sotto il profilo della natura delle attività, delle funzioni svolte dalle parti, dei beni utilizzati e dei rischi assunti.

Qualora non sia applicabile nessuno dei suddetti due metodi, potrà farsi ricorso agli altri metodi previsti nei capitoli II e III delle Linee Guida.

 

L’individuazione dei possibili criteri di determinazione del valore normale

La modalità di determinazione del valore normale per le operazioni di finanziamento non trova, come detto, una specifica analisi nell’ambito delle Linee Guida OCSE, ma occorre fare riferimento ai principi generali in materia di servizi infragruppo.

Appare inoltre opportuno segnalare, in via preliminare, che non è ancora del tutto chiaro come nell’ambito dei rapporti tra società residenti in Stati diversi (appartenenti allo stesso “gruppo”) assuma rilevanza, ai fini della verifica del rispetto del principio della libera concorrenza, oltre all’entità della remunerazione del finanziamento, anche il livello di indebitamento della partecipata, ossia la congruità dei mezzi propri rispetto all’attività che la stessa deve svolgere nel caso in cui vi sia una situazione di sotto-capitalizzazione (così come avviene per le stabili organizzazioni).

Sul punto si è in attesa di una indicazione puntuale da parte dell’OCSE (che nel punto 19 della prefazione alle Linee Guida rinvia a futuri lavori l’esame della “thin capitalisation”).

Pertanto, in questa sede, si analizzerà la sola questione della rispondenza al valore normale del tasso applicato al finanziamento, rinviando ad un eventuale ulteriore approfondimento la questione della adeguatezza dei mezzi propri (la quale richiederebbe, comunque, uno studio per accertare se la società abbia o meno una situazione di sotto-capitalizzazione3).

Prima di procedere all’individuazione dei possibili criteri di determinazione dei prezzi di trasferimento, dettati dall’OCSE, che possano essere applicati alla fattispecie in esame, appare opportuno fare un cenno alle indicazioni che sono state emanate in materia dall’Amministrazione Finanziaria, con la circolare n. 32 del 1980. Si tratta, senza dubbio, di un precedente piuttosto datato che secondo l’opinione prevalente deve considerarsi oramai superato, in quanto non aggiornato rispetto all’evoluzione che nel corso del tempo si è avuta nelle Linee Guida OCSE.

Viene anche evidenziato che il provvedimento sulla documentazione dei prezzi di trasferimento, nonché i connessi chiarimenti contenuti nella circolare n. 58 del 2010 dell’Agenzia delle entrate, fanno esclusivo riferimento alle predette Linee Guida e non citano affatto il precedente di prassi in questione, con la conseguenza che anche l’Amministrazione finanziaria sembra ritenerlo non più attuale. Pur con tutte queste precisazioni e cautele si ritiene, comunque, utile rammentare quanto era stato affermato nella circolare n. 32 del 1980, in quanto contenente alcune indicazioni specifiche sulle operazioni di finanziamento.

La circolare n. 32 del 1980

Nella circolare in esame di afferma che, in materia di finanziamenti, il saggio di interesse della transazione deve “essere determinato considerando quello pattuito o che sarebbe stato pattuito per un mutuo similare contratto da imprese indipendenti”. La scelta della transazione “campione” (rectius: da comparare) presenta, tuttavia, alcune difficoltà in quanto bisogna scegliere tra due alternative:

  • prendere in considerazione un mutuo concesso ad una impresa italiana da una impresa indipendente localizzata nello stato di residenza del mutuante; oppure
  • prendere in considerazione un mutuo contratto da imprese italiane sul mercato

In altri termini, ai fini della corretta comparazione delle due transazioni, si deve individuare il mercato “rilevante” e, quindi, stabilire se debba essere considerato “normale” il saggio di interesse che l’impresa italiana avrebbe corrisposto sul mercato interno oppure quello corrente sul mercato del “mutuante”.

L’Amministrazione Finanziaria, a tal proposito, ha ritenuto che “relativamente ai finanziamenti” deve considerarsi rilevante il mercato del “mutuante” (che nel caso di specie è il Lussemburgo).

Tale impostazione, secondo la circolare in esame, risponderebbe in pieno alle esigenze di aderenza al principio di libera concorrenza poiché, in primo luogo, è il mutuatario che si rivolge al mercato del mutuante e non viceversa e, inoltre, le condizioni di un prestito non variano in relazione al cambiamento del mutuatario. In sostanza, per i finanziamenti non esisterebbe un mercato del destinatario (ossia il mutuatario) o, per lo meno, lo stesso sarebbe irrilevante per chi rende la prestazione (mutuante).

La stessa circolare precisa, comunque, che il concetto di mercato del mutuante deve essere interpretato in modo sostanziale e cioè deve tenersi presente il mercato sul quale sono stati attivamente raccolti i fondi oggetto del finanziamento: un mercato che non sempre coincide con quello del Paese di residenza del mutuante4. In altri termini, si deve tenere conto di qual’è il costo del denaro che viene sostenuto nel mercato in cui sono stati approvvigionati i fondi utilizzati per il finanziamento.

Secondo il precedente in esame vi sono, poi, altri fattori che assumono rilevanza per la comparabilità delle transazioni. In particolare, per la corretta applicazione del principio della libera concorrenza, si dovrà avere riguardo non solo al tasso esistente sul mercato del mutuante ma anche ad altri elementi che possono, in concreto, influenzare le condizioni contrattuali, quali ad esempio:

  1. ammontare del prestito;
  2. durata;
  3. titolo, natura ed oggetto del negozio;
  4. posizione finanziaria del mutuante;
  5. moneta di computo;
  6. rischi di cambio;
  7. garanzie prestate in relazione al finanziamento concesso

 

I criteri contenuti nelle Linee Guida OCSE

Come detto in precedenza, la circolare n. 32 del 1980 è oramai piuttosto datata e, dunque, si deve tenere conto anche dell’evoluzione che si è avuta nel corso del tempo nella elaborazione delle Linee Guida OCSE.

Le suddette Linee Guida individuano alcuni criteri generali per determinare il valore normale delle prestazioni di servizi, cui si è già fatto cenno in precedenza, e che sono di seguito riepilogati.

  • Una volta stabilito che è stato prestato un servizio infragruppo si rende necessario, come per altri tipi di trasferimenti infragruppo, determinare se l’ammontare del pagamento viene stabilito sulla base del principio di libera Ciò significa che il pagamento per i servizi infragruppo dovrebbe essere quello che sarebbe stato effettuato e accettato tra imprese indipendenti, in circostanze comparabili.
  • Al fine di determinare il prezzo di libera concorrenza relativo ai servizi infragruppo, occorre porsi nella prospettiva sia del fornitore del servizio che del beneficiario dello A tale proposito, i pagamenti relativi devono considerare il  valore del servizio reso al beneficiario e quanto un’impresa indipendente comparabile sarebbe disposta a pagare per quel servizio in circostanze comparabili, nonché i costi sostenuti dal fornitore del servizio.
  • Ad esempio, dal punto di vista dell’impresa indipendente che necessita di un servizio, i fornitori dello stesso su quel mercato possono o meno essere disposti o in grado di fornirlo ad un prezzo che l’impresa indipendente è pronta a pagare. Se i fornitori possono fornire il servizio richiesto attenendosi a una gamma di prezzi che l’impresa indipendente è disposta a pagare, l’affare verrà concluso. Dal punto di vista del fornitore, i fattori importanti da considerare sono il prezzo al di sotto del quale non fornirebbe il servizio e il costo da esso sostenuto, ma essi non sono determinanti ai fini del
  • Il metodo da utilizzare per determinare il prezzo di trasferimento dei servizi infragruppo deve basarsi sulle direttive di cui ai Capitoli I, II e III delle Linee Guida.
    Spesso, l’applicazione di tali direttive farà si che si utilizzi il metodo CUP o il metodo del costo maggiorato ai fini del pricing dei servizi infragruppo. In generale, è probabile che il metodo CUP venga utilizzato quando un servizio comparabile viene fornito da imprese indipendenti sul mercato del beneficiario oppure quando l’impresa associata fornisce servizi ad un’impresa indipendente in circostanze comparabili.
    E’ così, ad esempio, nel caso dei servizi relativi a contabilità, revisione contabile, consulenza legale o informatica.
    Sarebbe opportuno applicare il metodo del costo maggiorato, in mancanza del metodo CUP (ossia nel caso in cui quest’ultimo non sia applicabile), quando la natura delle attività, i beni utilizzati e i rischi assunti sono comparabili a quelli delle imprese indipendenti. Come indicato nel capitolo II, parte II, delle Linee Guida quando si utilizza il metodo del costo maggiorato, le transazioni tra imprese associate e imprese indipendenti dovrebbero essere omogenee tra loro in relazione a tutte le categorie di costo che vengono considerate.
    Possono essere utilizzati i metodi basati sull’utile della transazione (Transactional profit methods) laddove siano più appropriati nei casi previsti (si vedano i paragrafi 2.1-2.11 delle Linee Guida).
    In casi eccezionali, ad esempio quando potrebbe essere difficile applicare il metodo CUP e il metodo del costo maggiorato, potrà risultare utile prendere in considerazione più di un metodo (si veda il paragrafo 2.11 delle Linee Guida), al fine di determinare correttamente il prezzo di libera concorrenza.

Le stesse Linee Guida suggeriscono un processo per lo sviluppo dell’analisi di comparabilità (processo consigliato ma non obbligatorio). Il citato processo si articola nei seguenti nove step:

Step 1: Determination of years to be covered.
Step 2: Broad-based analysis of the taxpayer’s circumstances.
Step 3: Understanding the controlled transaction(s) under examination, based in particular on a functional analysis, in order to choose the tested party (where needed), the most appropriate transfer pricing method to the circumstances of the case, the financial indicator that will be tested (in the case of a transactional profit method), and to identify the significant comparability factors that should be taken into account.
Step 4: Review of existing internal comparables, if any.
Step 5: Determination of available sources of information on external comparables where such external comparables are needed taking into account their relative reliability.
Step 6: Selection of the most appropriate transfer pricing method and, depending on the method, determination of the relevant financial indicator (e.g. determination of the relevant net profit indicator in case of a transactional net margin method).
Step 7: Identification of potential comparables: determining the key characteristics to be met by any uncontrolled transaction in order to be regarded as potentially comparable, based on the relevant factors identified in Step 3 and in accordance with the comparability factors set forth at paragraphs 1.38-1.63.
Step 8: Determination of and making comparability adjustments where appropriate.
Step 9: Interpretation and use of data collected, determination of the arm’s length remuneration.

 

Le Linee Guida precisano che gli steps da 5 a 7 possono essere ripetuti più di una volta sino a quando il contribuente non raggiunga una soluzione soddisfacente ovvero sia stato selezionato il metodo del prezzo di trasferimento più appropriato. Peraltro lo stesso esame delle fonti di informazione disponibili potrebbe influenzare la scelta del metodo del prezzo di trasferimento, ad esempio quando non è possibile reperire idonee informazioni per applicare correttamente un determinato metodo.

Nel caso dell’erogazione di un finanziamento, dovrebbe essere possibile utilizzare il metodo CUP, ossia individuare una transazione comparabile intercorsa tra parti indipendenti. Assume, quindi, una particolare rilevanza la selezione delle transazioni che possono essere utilizzate per la comparazione.

 

Metodo del confronto del prezzo (CUP)

Con il metodo del confronto, la congruità del prezzo all’interno del gruppo è determinata confrontandolo con quello applicato in una transazione comparabile tra (i) società indipendenti (confronto esterno), o (ii) tra una società del gruppo e una società indipendente (confronto interno).

Le Linee Guida evidenziano che la presenza di azionisti di minoranza è un fattore che potrebbe avere inciso positivamente sulla conformità del prezzo al principio della libera concorrenza, ma solo se detti azionisti possono influire sulla politica dei prezzi di trasferimento della società. Si tratta questo di un aspetto che andrebbe forse valutato nel caso di specie con particolare riferimento ad eventuali accordi tra i soci (patti parasociali).

Va osservato che condizione essenziale per l’applicazione del metodo del confronto del prezzo è che sia soddisfatto il requisito fondamentale della similarità delle operazioni. Le Linee Guida precisano che devono essere tenute in considerazione le differenze materiali tra le transazioni o le imprese oggetto del confronto. Per stabilire il grado di comparabilità reale e disporre in seguito le correzioni opportune per determinare le condizioni di libera concorrenza (o gamma di condizioni), è necessario confrontare le caratteristiche delle transazioni o delle imprese che potrebbero incidere sulle condizioni delle operazioni basate sulla libera concorrenza. I fattori di determinazione della comparabilità sono:

  • Le caratteristiche dei beni o dei servizi;
  • l’analisi funzionale;
  • le condizioni contrattuali;
  • le condizioni economiche;
  • le strategie commerciali.
  • Le differenti caratteristiche del servizio possono spiegare i diversi prezzi praticati. Per quanto attiene ai finanziamenti appare possibile, fare ancora riferimento alle indicazioni contenute nella già citata circolare 32 del 1980, che prendeva in considerazione i seguenti elementi del prestito:
    1. ammontare del prestito;
    2. durata;
    3. moneta di computo;
    4. garanzie prestate in relazione al finanziamento concesso.
  • Nelle relazioni tra due imprese indipendenti, il compenso riflette generalmente le funzioni che ciascuna impresa effettua (considerando i beni utilizzati ed i rischi assunti). Nel caso dei finanziamenti assume particolare rilievo l’entità dei rischi assunti dalle parti in termini di: solvibilità del debitore, oscillazione dei tassi d’interesse ed eventuale oscillazione del cambio.
  • Le condizioni contrattuali di una transazione definiscono generalmente, in modo esplicito o implicito, come debbano essere ripartiti tra le parti le responsabilità, i rischi ed i vantaggi. L’analisi delle condizioni contrattuali deve dunque essere, in quanto tale, parte dell’analisi funzionale di cui al precedente punto 2).
  • I prezzi di libera concorrenza possono variare a seconda dei mercati, anche per transazioni relative agli stessi servizi. Quindi per ottenere la comparabilità occorre che i mercati, in cui operano da una parte le imprese indipendenti e dall’altra quelle associate (ossia facenti parte dello stesso gruppo), siano comparabili e le differenze non abbiano un effetto rilevante sul prezzo ovvero che siano apportate correzioni Le condizioni che possono rivelarsi pertinenti nella determinazione della comparabilità di mercato comprendono: l’ubicazione geografica, la dimensione dei mercati, l’ampiezza della concorrenza nei mercati e le relative posizioni competitive di acquirenti e venditori, i livelli di offerta e domanda sul mercato nel complesso. Secondo le Linee Guida l’individuazione del mercato rilevante è una questione di fatto, da analizzare caso per caso.
  • Occorre esaminare     anche     le     strategie     di    mercato     nell’ambito     della determinazione della comparabilità ai fini del trasfer Infatti tali strategie possono incidere sulla comparabilità delle transazioni (una impresa in fase di start up potrebbe, ad esempio, praticare dei prezzi inferiori a quelli delle altre imprese). In via generale una transazione sul libero mercato è comparabile ad una transazione tra imprese associate (cioè, è una transazione non controllata comparabile) ai fini del metodo CUP se una delle due seguenti condizioni viene soddisfatta: 1) nessuna delle differenze (nel caso ve ne siano) tra le transazioni comparate o tra le imprese che avviano dette transazioni può influenzare in modo rilevante il prezzo di libero mercato; oppure 2) si possono apportare delle correzioni sufficientemente accurate allo scopo di eliminare gli effetti essenziali di dette differenze.

 

Il confronto interno

Le Linee Guida evidenziano come il confronto interno sia da preferire rispetto al confronto esterno, in quanto ha un rapporto più diretto e più vicino alla transazione da esaminare. L’analisi risulta più semplice ed affidabile, in quanto l’impresa dovrebbe adottare principi contabili e pratiche di mercato simili e comparabili. Inoltre l’acquisizione delle informazioni per il confronto è più completa e meno costosa.

Anche secondo la Circolare Minfinanze n. 32 del 22 settembre 1980, il criterio del confronto interno è preferibile, mentre il confronto esterno è un metodo sussidiario. Lo stesso articolo 9, terzo comma, del Tuir, indica la preferenza per il confronto interno, laddove afferma che, al fine di determinare il valore normale, si fa riferimento, per quanto possibile: “ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi”; e solo “in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio”.

Il metodo del confronto interno può comunque essere applicato solo se le due transazioni, quella in esame e quella da utilizzare come comparazioni, presentano caratteristiche analoghe. Le Linee Guida chiariscono che il confronto interno può essere considerato affidabile solo se la transazione da utilizzare soddisfa i cinque fattori di comparabilità (sopra descritti), così come richiesto nel caso di confronto esterno.

 

Il confronto esterno

Il confronto esterno richiede di individuare una affidabile transazione da utilizzare per il paragone. Tale ricerca non è agevole e va condotta solo se non è possibile avvalersi del confronto interno.

Le Linee Guida si soffermano nei paragrafi da 3.30 a 3.34 sui databases da utilizzare per l’individuazione della transazione paragonabile. Nei casi in cui non sia possibile rintracciare una transazione di paragone nello Stato, è anche possibile ricorrere a transazioni non nazionali. Il fatto di fare riferimento a mercati non domestici non inficia la validità del confronto se sono rispettati i cinque fattori di comparabilità.

Le Linee Guida si soffermano in modo specifico sulle modalità di individuazione della transazione paragonabile. Sono delineati due distinti approcci alla ricerca della transazione. Il primo è l’approccio “additivo” in cui la ricerca è diretta a costruire un elenco di terze parti che si ritiene effettuino transazioni potenzialmente comparabili. In pratica la selezione è effettuata direttamente sui soggetti che con maggiore probabilità pongono in essere operazioni comparabili. Si procede, poi, all’analisi delle transazioni poste in essere da detti soggetti verificando se rispettino i cinque fattori di comparabilità. Il secondo è l’approccio “deduttivo” con la quale la ricerca viene effettuata inizialmente ad ampio raggio su un database, selezionando genericamente tutte le imprese del settore a prescindere dalle loro caratteristiche.

Successivamente si procede alla selezione utilizzando vari criteri (di natura dimensionale, relativi alle immobilizzazioni immateriali, all’importanza delle vendite all’estero, alle scorte in valore assoluto o relativo, ecc.).

 

Rettifiche di comparabilità

Come detto in precedenza la comparabilità presuppone che le transazioni da paragonare siano omogenee. In molti casi vi sono però delle differenze che potrebbero incidere sul confronto e, quindi, può essere opportuno effettuare delle rettifiche. Le rettifiche vanno però poste in essere solo se aumentano l’affidabilità dei risultati. Gli adeguamenti sono utili sono per differenze che hanno un impatto rilevante sul confronto e che siano ben identificabili.

 

Metodo del costo maggiorato (cost plus)

Per le prestazioni di servizi, in alternativa al metodo CUP, le Linee Guida OCSE suggeriscono di applicare il metodo del costo maggiorato.

Secondo tale metodo, il “valore normale” delle operazioni intra-gruppo è pari a tutti i costi di produzione (diretti e indiretti) sostenuti dalla società venditrice, maggiorato di un “normale” margine di profitto lordo.

Tale margine di profitto deve essere calcolato confrontando il margine di profitto della transazione in esame (i) con quello ottenuto dalla stessa società in operazioni similari con soggetti terzi (cost-plus interno), oppure, in mancanza, (ii) con quello ottenuto da terze parti indipendenti coinvolte in operazioni analoghe (cost-plus esterno).

Pertanto, anche il metodo “cost plus” richiede il confronto con operazioni analoghe a quelle in esame (per quanto attiene cioè le condizioni contrattuali, l’oggetto delle transazioni, ecc).

Si rinvia, pertanto, alle indicazioni fornite in precedenza, evidenziando che una transazione sul libero mercato può essere paragonata ad una transazione controllata ai fini del metodo del costo maggiorato, se viene soddisfatta una delle seguenti condizioni:

1) nessuna differenza (nel caso in cui esistano) tra le transazioni comparate o tra le imprese che effettuano dette transazioni influenza in modo rilevante il cost plus mark up sul libero mercato;

o 2) correzioni ragionevolmente adeguate possono essere apportate allo scopo di eliminare gli effetti sostanziali di dette differenze.

Si segnala che l’adozione dei descritti metodi può comportare la evidenziazione di più risultati qualora le transazioni utilizzate per il paragone evidenziano prezzi differenti. In questo caso le Linee Guida consentono l’utilizzo di strumenti statistici per restringere la variabilità dei risultati (ad esempio, l’intervallo interquartile o percentili), nonché misurazioni di tendenza come la mediana o la media ponderata.

 

La fattispecie in esame

Come anticipato in precedenza, il metodo da preferire è quello CUP, e in particolare il confronto interno. Nel confronto interno la congruità del prezzo all’interno del gruppo è determinata confrontandolo con quello applicato in una transazione comparabile tra una società del gruppo e una società indipendente (confronto interno). Occorre, pertanto, verificare se la società controllante ha posto in essere finanziamenti a favore di società esterne al gruppo ovvero se la società italiana ha acquisito finanziamenti da soggetti esterni al gruppo. Un volta verificata l’eventuale esistenza di tali transazioni, bisogna effettuare l’analisi di comparabilità sulla base dei cinque fattori descritti in precedenza e accertare se è possibile o meno utilizzare le transazioni con soggetti terzi come paragone ed operare, se necessario, le apposite rettifiche di comparabilità.

Nel caso in esame, non sono state poste in essere dalla società controllante estera. Viceversa, la società italiana, non ha ricevuto finanziamenti da terzi. Pertanto, è da ritenersi non confacente alla fattispecie il metodo del confronto interno, in quanto bisognerebbe rintracciare almeno un operazione posta in essere dalla controllante Lussemburghese.

Una qualche indicazione di massima può essere tratta dalle condizioni previste per i finanziamenti che i soggetti terzi hanno erogato alla società controllata italiana Società B S.p.A. I suddetti finanziamenti di terzi presentano, tuttavia, alcune differenze significative rispetto alle condizioni contrattuali previste nel prestito erogato dalla controllante Lussemburghese. In particolare i prestiti si differenziano sotto il rilevante profilo delle garanzie prestate.

Nessuna garanzia è stata data alla controllante, mentre alla Banca X è stata concessa una duplice garanzia: pegno su un conto corrente avente una giacenza media non inferiore a euro 2 milioni e pegno sui diritti alla istallazione di 5.226 VLT. Inoltre non è detto che il rating di Società B sia analogo a quello della sua controllante.

L’entità del prestito e la durata sono, invece, simili, mentre i tassi uno è fisso e l’altro è variabile. La possibilità di operare il confronto è, dunque, incerta e richiede una significativa attività di rettifica della comparabilità.

Comunque, al solo fine di ottenere un dato meramente segnaletico, utile per una prima valutazione di massima, si può tentare di stimare il costo della garanzia e la differenza tra tasso fisso e tasso variabile per omogeneizzare i due finanziamenti. Società B sostiene un costo per le fideiussioni bancarie presentate ad AAMS dell’1,25%. Il tasso d’interesse applicato da X è pari all’Euribor a sei mesi più un spread del 3,5% e corrisponde ad un tasso medio (sui due prestiti) del 4,68% circa. Lo spread aumenta tuttavia dello 0,25% qualora la società non rispetti i convenants previsti nel contratto con X.

Il finanziamento erogato dalla controllante prevede, invece, un tasso fisso del 10% fino al 30 giugno 2010 e del 15% per il periodo successivo.

La differenza di aliquota esistente tra tasso fisso e tasso variabile potrebbe essere stimata confrontando l’Euribor con l’IRS. Detta stima non è agevole in quanto vi la difficoltà di confrontare le differenti scadenze previste per detti indici. Comunque è plausibile ritenere che la differenza non dovrebbe eccedere l’1,5%.

Se si sommano tutte le predette componenti di omogeneizzazione si previene ad un tasso massimo di paragone del 7,68%, che comunque è sensibilmente inferiore al tasso del 10%, il quale, peraltro, al 30 giugno 2010 si incrementa ulteriormente al 15%.

Il confronto tra i due tassi d’interesse, che sono stati omogeneizzati in modo sommario con le modalità sopra descritte, costituisce un indizio del fatto che il corrispettivo previsto nel contratto con la controllante non residente (soprattutto quando il tasso si incrementa al 15%) potrebbe essere ritenuto dall’Amministrazione finanziaria non conforme al valore normale, con conseguente ripresa a tassazione della quota parte degli interessi passivi ritenuta eccedente le condizioni di libero mercato.

Per quanto attiene, poi, all’eccezione secondo cui la Società A, ribaltando il prestito alla Società B alle stesse condizioni economiche del finanziamento estero, non ne sopporta concretamente l’onere, si ritiene che tale eccezione non possa consentire di considerare non applicabile al caso in esame il disposto dell’articolo 110, comma 7, del Tuir. D’altra parte, se così non fosse, sarebbe alquanto agevole evitare l’applicazione del criterio del valore normale nell’ambito dei gruppi (in quanto sarebbe sufficiente far transitare prima l’operazione tramite altra società residente dello stesso gruppo)5.

In considerazione della descritta situazione, si reputa quindi opportuno effettuare un accurato studio diretto ad individuare il corretto valore normale del corrispettivo relativo al finanziamento erogato dalla controllante estera, onde accertare se vi sia o meno uno scostamento che comporti il non riconoscimento di una quota parte degli interessi passivi sostenuti (da riprendere a tassazione in sede di dichiarazione dei redditi).

Nell’effettuare la selezione del metodo da applicare, nonché nell’individuazione delle transazioni da utilizzare per il paragone, occorre adottare i criteri delineati nelle Linee Guida OCSE. In particolare le soluzioni da adottare potrebbero sinteticamente essere le seguenti:

  • verificare se sia applicabile il metodo CUP con il confronto interno e, dunque, accertare se la controllante abbia effettuato finanziamenti a favore di soggetti terzi indipendenti;
  • nel caso in cui non siano rinvenibili transazioni poste in essere dalla controllante, è possibile avvalersi del metodo CUP con il confronto esterno, ossia individuando transazioni analoghe poste in essere tra parti In considerazione dell’ampiezza del mercato dei finanziamenti alle imprese dovrebbe essere possibile applicare il metodo in esame e selezionare un numero adeguato di transazioni comparabili;
  • qualora non si ritenga di adottare il CUP, è possibile fare ricorso al metodo del costo In tal caso occorre determinare i costi che ha sostenuto la controllante per l’acquisizione presso terzi della provvista finanziaria (nonché gli altri costi relativi all’operazione) e sommarci un mark up quantificato con riferimento alla transazioni analoghe intervenute sul libero mercato. Tale metodo presuppone, però, che la controllante si sia rivolta al mercato e non alla sua proprietà per raccogliere le risorse finanziarie, altrimenti non appare possibile individuare in modo corretto un prezzo di libera concorrenza (in alternativa bisognerebbe accertare il costo della provvista sostenuto dalla proprietà se quest’ultima si è però rivolta al mercato).

Sulle corrette modalità di individuazione del valore normale si rinvia, comunque, a quanto esposto in precedenza.

Rischi connessi al mancato rispetto della normativa sul valore normale

Si segnala, in via preliminare, che le recenti modifiche introdotte sulla documentazione dei prezzi di trasferimento hanno indotto l’Amministrazione finanziaria a dedicare una particolare attenzione ai rapporti infragruppo soggetti alla disciplina dell’articolo 110, comma 7, del Tuir. Un segnale evidente di tale interesse è, oltre alle indicazioni emerse nelle conferenze stampa, l’introduzione nei modelli delle dichiarazioni dei redditi di appositi campi destinati al monitoraggio dei prezzi di trasferimento6 (nonché alla comunicazione sul possesso della documentazione relativa al “transfer price”).

L’eventuale contestazione del prezzo (rectius: tasso d’interesse) applicato comporta il disconoscimento di una quota parte dei costi, corrispondente alla differenza tra il corrispettivo contrattuale e quello determinato in base al valore normale (tranne che il contribuente non si sia già spontaneamente adeguato in sede di dichiarazione dei redditi).

Oltre al recupero delle imposte dirette7 derivanti dal mancato riconoscimento dei costi, l’Amministrazione finanziaria potrebbe contestare anche la mancata applicazione della ritenuta alla fonte sugli interessi corrisposti alla controllante lussemburghese. In particolare, detta controllante si è avvalsa della Direttiva UE sugli interessi e sulle royalties, chiedendo la non applicazione della ritenuta alla società.

Tuttavia l’articolo 26-quater, comma 5, del D.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che

“se il soggetto che effettua il pagamento dei canoni e degli interessi di cui al comma 3 controlla o è controllato, direttamente o indirettamente, dal soggetto che è considerato beneficiario effettivo, ovvero entrambi i soggetti sono controllati, direttamente o indirettamente, da un terzo, e l’importo degli interessi o dei canoni è superiore al valore normale determinato ai sensi dell’articolo 110, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, l’esenzione di cui al comma 1 si applica limitatamente al medesimo valore normale”.

Pertanto, nel caso di rettifica dei prezzi di trasferimento, sul relativo importo accertato potrebbe essere contestata anche la mancata applicazione della ritenuta alla fonte (12,5% o 27% se il soggetto è considerato essere residente in un cosiddetto paradiso fiscale).

Sanzioni amministrative tributarie

A seguito della ripresa a tassazione operata ai fini delle imposte dirette è prevista dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 471 del 1997 una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggiore imposta accertata.

Per quanto attiene alla mancata effettuazione delle ritenute alla fonte è stabilita dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 471 del 1997 una sanzione amministrativa pari al 20% dell’ammontare non trattenuto (salva l’applicazione dell’articolo 13 – sanzione del 30% – per il caso di omesso versamento) e sempre che non si violi il disposto dell’articolo 2 sugli obblighi di dichiarazione del sostituto d’imposta.

Sanzioni penali

Con specifico riferimento alla posizione degli amministratori delegati agli adempimenti tributari, le principali ipotesi delittuose che potrebbero verificarsi nel caso in esame riguardano la disciplina del reati in materia di imposte sui redditi contenuta nel decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.

Si è molto discusso in dottrina sulla individuazione di quale sia la fattispecie delittuosa applicabile in materia di “transfer price”. L’articolo 3 del suddetto decreto rubricato “dichiarazione fraudolenta mediante altri artefici” prevede che “…è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:

  1. l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire centocinquanta milioni;
  2. l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a lire tre miliardi”.

 

Tale ipotesi di delitto punisce, quindi, la violazione dell’obbligo di veritiera esposizione della situazione reddituale, ovvero della base imponibile, allorché la falsa rappresentazione contabile di elementi attivi e passivi sia artificiosamente supportata da “mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento”8.

Al riguardo si deve, però, rilevare che il fenomeno del transfer pricing, a differenza dell’evasione vera e propria, si articola in operazioni commerciali effettive, per le quali vengono pattuiti dei corrispettivi che, sebbene non congrui rispetto alle condizioni di mercato, vengono realmente pagati. In tal caso, pertanto, mancherebbe il comportamento “fraudolento” volto ad occultare materia imponibile. In dottrina, si ritiene pertanto che in ipotesi come quella in esame non possa essere applicato, tranne casi particolari, l’articolo 3, bensì il successivo articolo 4.

Tale articolo, relativo all’ipotesi delittuosa di “dichiarazione infedele”, prevede che “…è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:

  1. l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire duecento milioni (pari a euro 103.291,38);
  2. l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a lire quattro miliardi (pari a euro 065.827,60)”.

Tale norma rende punibile, quindi, la mera “dichiarazione infedele” anche se priva di connotati di frode. L’ipotesi di reato si verifica, quindi, nell’indicazione, in una dichiarazione annuale, di un reddito o di una base imponibile inferiore a quella reale, mediante l’esposizione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo oppure di elementi passivi fittizi.

Le soglie di punibilità sono due e devono verificarsi congiuntamente. Infatti, l’imposta evasa deve essere superiore a euro 103.291,38, corrispondente ad una base imponibile di circa euro 375.605,02, e contemporaneamente gli elementi passivi non deducibili devono eccedere il 10% dell’ammontare degli elementi attivi indicati in dichiarazione (da quantificare in relazione alle due annualità interessate) o comunque essere superiori a euro 2.065.827,60.

Sulla questione penale appare, comunque, opportuno un separato approfondimento, dal momento che in materia di “transfer price” vi sono orientamenti non ancora consolidati e non è neppure chiara la rilevanza delle esimenti previste nel successivo articolo 7 dello stesso decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.

 

Allegato n. 1

Il ruling di standard internazionale

Il ruling di standard internazionale riguarda sia la materia dei prezzi di trasferimento sia altre fattispecie9 richiamate all’articolo 2 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 23 luglio 2004 (di seguito anche il “Provvedimento”) che sono oggetto, a livello internazionale, degli advance tax ruling.

Con specifico riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, tramite l’attivazione del ruling, sono stati introdotti nell’ordinamento italiano gli advance pricing agreement o APA che rappresentano uno strumento avanzato di politica fiscale largamente diffuso presso i Paesi aderenti all’OCSE.

Un APA consiste generalmente in un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria del Paese di residenza del contribuente, che consente, in via preventiva e per un determinato periodo di tempo, di individuare il metodo di calcolo del prezzo di libera concorrenza riferibile alle operazioni oggetto dell’accordo. Nella prassi internazionale sono presenti APA a carattere “unilaterale”, “bilaterale” o “multilaterale”. Il ruling di standard internazionale è assimilabile ad un APA unilaterale in quanto, con riferimento al comma 7 dell’articolo 110 del TUIR, rappresenta nei fatti un accordo che vincola esclusivamente il contribuente e l’Amministrazione finanziaria italiana.

L’accesso alla procedura di ruling di standard internazionale avviene su base volontaria e, diversamente da quanto avviene in altri Paesi, non è soggetto al pagamento di alcun diritto di attivazione. L’istanza di ruling, come previsto dall’articolo 8, comma 5, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, deve essere presentata, su carta libera ed in plico non imbustato a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento.

L’Ufficio Ruling internazionale entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza, convoca l’impresa al fine di riscontrare la completezza delle informazioni ricevute. Nel caso in cui, invece, venga accertata la carenza degli elementi essenziali, l’Ufficio dichiara l’inammissibilità dell’istanza. Nelle more dell’iter istruttorio il termine di trenta giorni rimane sospeso.

Con la prima comunicazione di convocazione l’Ufficio Ruling internazionale invita l’impresa a comparire per mezzo del suo legale rappresentante, ovvero di un suo procuratore, al fine di avviare l’attività istruttoria che si articola in più incontri in contraddittorio con il contribuente nel corso dei quali viene richiesta l’eventuale ulteriore documentazione ritenuta necessaria ai fini della procedura. Nel corso del procedimento, l’Ufficio e l’impresa istante possono concordare l’effettuazione di uno o più accessi presso le sedi di svolgimento dell’attività di impresa allo scopo di acquisire diretta cognizione dei fatti rappresentati nell’istanza.

Il Provvedimento prevede che la procedura debba concludersi entro 180 gg. dal  ricevimento dell’istanza. Tuttavia essendo tale termine meramente ordinatorio, normalmente non viene rispettato e le parti possono concordare la prosecuzione dell’istruttoria oltre il predetto termine. La procedura si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono definiti i criteri ed i metodi di calcolo del valore normale delle transazioni oggetto dell’istanza.

L’accordo di ruling di standard internazionale, vincolante per entrambe le parti, rimane in vigore per un triennio a far data dal periodo d’imposta in cui lo stesso viene sottoscritto. Durante il predetto periodo di vigenza l’Agenzia delle entrate, e più precisamente l’Ufficio Ruling internazionale, procede alla verifica del rispetto dei termini dell’accordo sottoscritto, nonché all’accertamento di un eventuale sopravvenuto mutamento delle condizioni di fatto e di diritto costituenti presupposto delle clausole contrattuali. Tale attività viene svolta mediante l’effettuazione di uno o più accessi concordati presso le sedi di svolgimento dell’attività di impresa.

Al termine del triennio di validità, e almeno novanta giorni prima della scadenza, il contribuente può presentare istanza di rinnovo.

Relativamente alle questioni oggetto di accordo, e per il periodo in cui esso esplica efficacia, sono inibiti i poteri dell’Amministrazione finanziaria ad essa attribuiti dall’articolo 32 e seguenti del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (ossia i poteri di accertamento e controllo).

 

Leggi anche: Profili di applicabilità della disciplina in tema di transfer pricing

 

17 gennaio 2013

Giovanni Mocci

 

NOTE

1 In tal senso si veda la circolare n. 32 del 22 settembre 1980 del Ministero delle Finanze.

2 Il testo integrale dell’articolo 26 del decreto legge 31 maggio 2010, 78 è il seguente: “A fini di adeguamento alle direttive emanate dalla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento ed ai principi di collaborazione tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, all’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il comma 2- bis, è inserito il seguente: “2-ter In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell’ambito delle operazioni di cui all’articolo 110, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione di cui al comma 2 non si applica qualora, nel corso dell’accesso, ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all’Amministrazione finanziaria la documentazione indicata in apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene la documentazione prevista dal provvedimento di cui al periodo precedente, deve darne apposita comunicazione all’Amministrazione finanziaria secondo le modalità e i termini ivi indicati. In assenza di detta comunicazione si rende applicabile il comma 2.”.

Ai fini dell’immediata operatività delle disposizioni di cui al comma 1 il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate deve essere emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. La comunicazione concernente periodi d’imposta anteriori a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, deve essere comunque effettuata entro novanta giorni dalla pubblicazione del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate”.

3 Si deve, comunque, rilevare che la decisione assunta dai soci di apportare a capitale (e a riserva di sovraprezzo) l’intero credito relativo al finanziamento, potrebbe essere ritenuto da parte dell’Amministrazione finanziaria un indizio di una presunta sottocapitalizzazione della società.

4 Nella circolare n. 32 del 1980 si precisa, in particolare, quanto segue: “la determinazione del saggio di interesse sulla base dei valori correnti sul mercato del mutuante deve essere effettuata in maniera elastica. In determinate fattispecie, infatti, ci si potrà discostare dal riferimento al mercato del mutuante qualora sia provato il ricorso, da parte della società finanziatrice, ad un mercato diverso da quello di residenza per ottenere i fondi successivamente girati all’affiliata. Come è noto, le imprese multinazionali ricorrono sovente, per finanziare le operazioni del gruppo, alle disponibilità di unità localizzate in Paesi a bassa fiscalità. In altri casi il mutuante accede direttamente al mercato del mutuatario dove provvede alla raccolta dei fondi destinati all’affiliata. In altri casi ancora, particolari situazioni possono giustificare il riconoscimento di un saggio inferiore a quello corrente sul mercato se il mutuante ha usufruito di agevolazioni speciali per il credito che alcuni Paesi accordano alle imprese per gli investimenti all’estero. In conclusione, il concetto di mercato del mutuante deve essere interpretato sostanzialmente e cioè deve tenersi presente il mercato sul quale sono stati attivamente raccolti i fondi oggetto del finanziamento: un mercato che non sempre coincide con quello del Paese di residenza di chi, nel contratto che dà origine alla verifica fiscale, assume la qualifica di mutuante”.

5 Si deve anche segnalare che, avendo le due società aderito al regime del consolidato fiscale nazionale, gli effetti economici dell’operazione tra le parti vengono sostanzialmente neutralizzati e l’onere che grava sul reddito del consolidato è concretamente solo quello degli interessi corrisposti per il finanziamento erogato dalla controllante

  • In particolare in detti campi devono essere indicati, cumulativamente, gli importi corrispondenti ai componenti positivi e negativi di reddito derivanti da operazioni relativamente alle quali trova applicazione la disciplina prevista dall’art. 110, comma 7, del
  • Le imposte sono l’IRES (Imposta sul reddito delle società) e l’IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive), anche se per l’IRAP vi è più di un dubbio. Infatti, a seguito dell’introduzione del principio della diretta derivazione della base imponibile dai dati contabili e dello sganciamento dalle regole IRES, non dovrebbe potersi applicare a tale tributo il disposto dell’articolo 110, comma 7, del Tuir. Sulla questione l’Amministrazione finanziaria appare, però, orientata in senso opposto, ossia di effettuare l’eventuale recupero a tassazione pure ai fini IRAP.

6 A titolo esemplificativo i comportamenti “fraudolenti” potrebbero consistere nella simulazione di negozi giuridici, oppure nell’interposizione fittizia di persone. Cfr. “Manuale del transfer pricing” di Piergiorgio Valente, Ipsoa 2009, 1556.

7 In particolare il ruling internazionale può riguardare anche:

8 l’applicazione ad un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l’erogazione o la percezione di dividendi, interessi o royalties e altri componenti reddituali a o da soggetti non residenti;

9 l’applicazione ad un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l’attribuzione di utili o perdite alla stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente ovvero alla stabile organizzazione in un altro Stato di un’impresa residente.

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