La prova per presunzioni nel processo tributario

Analisi della prova per presunzioni nel processo tributario, con particolare riguardo agli accertamenti ed indagini bancarie e all’applicazione dei parametri.

 

  • Corte di cassazione, ordinanza n. 10675/2010

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10675 del 4 maggio 2010, stabilisce che la legittimità dell’accertamento fiscale basato sulle indagini bancarie anche in mancanza dell’esibizione dell’autorizzazione per procedere all’esame dei conti.

Il ricorso in Cassazione si basa sulla contestazione, da parte del contribuente, verso la legittimità dell’accertamento anche per la mancata esibizione del provvedimento di autorizzazione all’accesso ai propri dati bancari, nonché della sua adesione al condono, relativamente all’Iva.

La Cassazione rigetta il ricorso per “manifesta infondatezza”.

In particolare, si sottolinea che le verifiche svolte sui conti correnti bancari intestati al contribuente devono essere debitamente e preventivamente autorizzate senza che ci sia l’obbligo per i verificatori di esibire il provvedimento di autorizzazione stesso che, come giurisprudenza costante, non necessita di specifica motivazione.

La Corte evidenzia come “le risultanze delle indagini finanziarie danno origine ad una “presunzione legale”, in base alla quale tutti i rapporti bancari si presumono afferenti all’attività imprenditoriale, costituendo ricavi o compensi, salvo prova contraria a carico del contribuente”.

 

  • Corte di Cassazione, Sentenza n. 7813/2010

La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, sottolinea che, nel processo tributario l’onere della prova viene spostato sul contribuente nei cui confronti è in corso un accertamento fondato su conti correnti bancari.

La Corte sottolinea che

“è erroneo il convincimento della Ctr circa la illegittima sommatoria di versamenti e prelievi ai fini della ricostruzione del reddito di impresa.

Nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti (Cass. n. 4589 del 2009).

In tema di accertamento dell’Iva, l’emissione di assegni da parte dell’amministratore, non giustificata da documentazione commerciale, fa legittimamente presumere che la società abbia effettuato operazioni non fatturate di acquisto e rivendita di beni, potendosi partire dalla presunzione legale prevista dal Dpr n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, per la quale i prelevamenti annotati nei conti correnti bancari sono serviti per acquistare merci successivamente commercializzate, per poi costruire su tale prova legale i conseguenti passaggi logici, fondati sull'”id quod plerumque accidit” e sulla presunzione legale di vendita dei beni acquistati non rinvenuti nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attività e, quindi, concludere che tali merci sono state rivendute dalla società con la percentuale di ricarico normalmente applicata (Cass. n. 26312 del 2009)”.

 

 

  • Corte di Cassazione, Sentenza n. 5051/2010

La Corte di cassazione, sottolinea che la richiesta di dati e notizie al contribuente è una discrezionalità dell’ufficio, la cui mancanza non determina l’illegittimità della verifica.

La Cassazione fa leva

  • sull’art. 32 del DPR n. 600 del 1973, dove c’è l’invito al contribuente di fornire dati e notizie per gli accertamenti bancari.

Tale disposizione, non impone all’Ufficio l’obbligo di uno specifico e previo invito, ma ne attribuisce una facoltà che manifesta il potere discrezionale dell’ufficio stesso, con la conseguenza che il mancato esercizio di tale facoltà da parte dell’Ufficio non può determinare l’illegittimità della verifica;

  • sull’art. 53 del DPR n. 600 del 1973 e art. 51, comma 2, n. 2 del DPR n. 633 del 1972, che pongono presunzioni legali semplici.

Per le stesse,i versamenti su conto corrente bancario, senza la prova contraria del contribuente che attesti la loro inerenza all’imponibile dichiarato ovvero ad operazioni non imponibili, si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza di una vincolante valutazione legislativa.

Per superare la presunzione il contribuente deve fornire la prova liberatoria, dimostrando la riferibilità di ogni singola movimentazione del conto ad attività estranee all’impresa commerciale.

 

 

  • Corte di Cassazione, Ordinanza n. 24933/2009

“In tema di accertamenti in rettifica ai fini IRPEF, gli uffici competenti sono autorizzati, ai sensi degli artt. 37 e seguenti del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ad avvalersi della “prova per presunzione”, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente il quale, ove intenda contestare l’efficacia presuntiva dei fatti addotti dall’ufficio a sostegno della propria pretesa, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano; la valutazione dei mezzi di prova è comunque rimessa in via esclusiva al giudice di merito.”

 

La controversia contro l’Agenzia delle Entrate è stata definita con la decisione della CTR della Toscana recante il rigetto dell’appello proposto dal contribuente contro la sentenza della CTP di Firenze che non aveva accolto il ricorso del contribuente avverso l’ avviso di accertamento.

Il ricorso proposto si articola in tre motivi:

  • Con primo motivo il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art 32 comma1, n. 2 del dpr 600/73 n relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

Ci si chiede se sia conforme a diritto la decisione dei giudici di secondo grado di ritenere non sufficiente ad integrare la prova liberatoria richiesta dalla predetta norma l‘allegazione fattuale e probatoria della circostanza che i versamenti stessi siano stati effettuati da soggetto privo di collegamento alcuno con l’attività professionale del soggetto accertato e legato a quest’ultimo esclusivamente da rapporti solo personali, per ciò che fratello della convivente.

 

  • Con secondo motivo il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 comma 3 del dpr 600/73 e dell’art. 2697 cc. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..

Ci si chiede se sia conforme a diritto la decisione dei giudici di secondo grado di ritenere che possano assumersi per redditi di un soggetto le somme risultanti dal conto bancario di altro soggetto ancorché non si sia previamente e specificamente data, neppure in via presuntiva la prova della intestazione fittizia di tale ultimo conto.

Entrambe le censure sono considerate inammissibili.

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente il problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

ln tema di accertamenti in rettifica ai fini IRPEF, gli uffici competenti sono autorizzati ad avvalersi della “prova per presunzione”, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente il quale, ove intenda contestare l’efficacia presuntiva dei fatti addotti dall’ufficio a sostegno della propria pretesa, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano; la valutazione dei mezzi di prova è comunque rimessa in via esclusiva al giudice di merito.

 

  • Con un terzo motivo di gravame il ricorrente assume l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

La CTR non avrebbe chiarito le ragioni per le quali non avrebbe ritenuto sufficiente ad integrare la prova liberatoria di cui all’art. 32 la circostanza, attestata dalle distinte di versamento e dagli assegni bancari prodotti in giudizio, che i versamenti siano stati operati da conto di un soggetto radicalmente estraneo all’attività professionale di quello accertato e ad esso legato esclusivamente da rapporti di tipo personale.

La censura è inammissibile in quanto, nel caso in cui nel ricorso per cassazione venga prospettato come vizio di motivazione della sentenza una insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento, operato dal giudice di merito, di un fatto principale della controversia, il ricorrente non può Iimitarsi a prospettare una possibilità o anche una probabilità di una spiegazione logica alternativa, essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa del fatto appaia come l’unica possibile.

La censura è comunque infondata: la Ctr ha ritenuto non plausibili operazioni di giroconto solo per pagare lavori di ristrutturazione, stante la mancanza di fatture e di ricevute di pagamento dei lavori, la indicazione della provenienza del denaro e la destinazione del giroconto, così consentendo l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata.

Con l’ ordinanza in oggetto, la Corte di Cassazione ha dunque operato un giro di vite in merito ai conti bancari dei professionisti.

La Suprema Corte ha ritenuto inammissibili le censure dedotte con il ricorso per Cassazione. il ricorrente ha esposto che “i versamenti erano stati effettuati da un soggetto privo di collegamento alcuno con la propria attività professionale e legato al professionista solo da rapporti solo personali, in quanto fratello della convivente”: non potrebbero assumersi per redditi di un soggetto le somme risultanti dal conto bancario di un altro soggetto ancorché non si sia previamente e specificamente data, neppure in via presuntiva la prova della intestazione fittizia di tale ultimo conto.

La Corte ha ribadito che gli uffici competenti sono autorizzati a avvalersi della “prova per presunzione, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente il quale, se intende contestare l’efficacia presuntiva dei fatti addotti dall’ufficio a sostegno della propria pretesa, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, è tenuto a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano”.

Inoltre la CTR non avrebbe chiarito le ragioni per le quali non avrebbe ritenuto sufficiente a integrare la prova liberatoria la circostanza che i versamenti erano stati operati dal conto di un soggetto estraneo all’attività professionale di quello accertato e legato allo stesso solo da rapporti di tipo personale: la Corte ha ribadito che la CTR ha ritenuto non plausibili operazioni di giroconto solo per pagare lavori di ristrutturazione, stante la mancanza di fatture e di ricevute di pagamento dei lavori, l’indicazione della provenienza del denaro e la destinazione del giroconto, consentendo l’identificazione del procedimento a base della decisione adottata.

 

  • Corte di Cassazione, sentenza n. 26635/2009

Le Sezioni Unite forniscono una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni relative alla procedura di accertamento mediante “l’applicazione dei parametri che impone di attribuire a quest’ultimi una natura meramente presuntiva, in quanto gli stessi non costituiscono un fatto noto e certo capace di rivelare con rilevante probabilità il presunto reddito del contribuente, ma solo una estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali elaborati sulla base dell’analisi delle dichiarazioni di un campione di contribuenti”.

Il caso oggetto della sentenza riguarda l’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA e IRPEF, con il quale l’Ufficio, avvalendosi dei parametri del settore, rettificava in aumento i ricavi dichiarati da un contribuente.

La Commissione adita rigettava il ricorso, rilevando che l’accertamento era fondato su precise disposizioni di legge e che il contribuente non aveva dato alcuna convincente prova del fatto che i ricavi effettivamente prodotti potevano e dovevano essere inferiori a quelli accertati.

La decisione era riformata in appello, che riteneva i parametri insufficienti a sorreggere da soli la legittimità dell’accertamento.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha promosso ricorso per Cassazione, affermando che i parametri non sono presunzioni semplici, ma presunzioni legali cui deve essere opposta una precisa prova contraria e evidenziando che l’accertamento aveva fatto seguito al mancato pagamento di quanto concordato con il contribuente in sede di accertamento per adesione.

La Corte ha ribadito che “gli studi di settore, pur costituendo uno strumento più raffinato dei parametri, restano tuttavia una elaborazione statistica, il cui frutto è una ipotesi probabilistica, che, per quanto seriamente approssimata, può solo costituire una presunzione semplice”.

Nel rigettare il ricorso, la Corte ha affermato

“il principio di diritto secondo il quale la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente, esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte e condiziona la congruità della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese.

Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici e il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente”.

 

Il giudice ha accertato in fatto che “i parametri adottati non erano applicabili nel caso concreto, in relazione alla effettiva realtà dell’impresa, trattandosi di attività svolta in un piccolo paese dell’entroterra, i costi erano riferiti a minime quantità di beni e servizi e i beni strumentali utilizzati erano ormai obsoleti e acquistati in tempi remoti”.

 

18 settembre 2010

Sonia Cascarano