Autorizzazione per gli accertamenti bancari: non necessita di motivazione e non deve essere esibita al contribuente

La Cassazione ha confermato che il provvedimento autorizzativo per l’esecuzione degli accertamenti finanziari a carico del contribuente non necessita di motivazione né deve essere allegato al processo verbale di constatazione.

sentenza corte di cassazioneLa Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 15807 del 27 luglio 2015, in linea con consolidato orientamento giurisprudenziale, ha evidenziato che il provvedimento autorizzativo per l’esecuzione degli accertamenti finanziari a carico del contribuente, rilasciato dal Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate ovvero dal Comandante Regionale della Guardia di Finanza alle rispettive articolazioni territoriali, non necessita di motivazione né lo stesso deve essere allegato al processo verbale di constatazione o al conseguente avviso di accertamento.

Di conseguenza, la mancata esibizione al contribuente del prefato atto autorizzativo non può comportare l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite secondo la procedura normativa vigente.

Come è ben noto, infatti, le disposizioni in materia prevedono la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di attivare la procedura per l’acquisizione dei rapporti intrattenuti e delle operazioni effettuate dal contribuente con operatori finanziari a seguito del rilascio, da parte di un organo interno alla stessa Amministrazione, di un’autorizzazione, configurabile, secondo la più accreditata dottrina, quale “provvedimento amministrativo di natura ampliativa”.

In particolare, gli artt. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 51, comma 1, n. 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, specificano che tale autorizzazione possa essere rilasciata dal Direttore Centrale dell’Accertamento dell’Agenzia delle Entrateo dal Direttore Regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della Guardia di finanza, dal Comandante Regionale, Autorità titolari delle potestà autorizzatorie relative alla:

  • acquisizione dei rapportie delle operazioni con enti creditizi e finanziari, tramite richiesta indirizzata a questi ultimi ovvero a mezzo rilevazione diretta da parte dell’Amministrazione finanziaria allorquando non sia pervenuta nei termini la risposta degli operatori finanziari interpellati ovvero sussiste un fondato sospetto circa l’esattezza e la completezza delle informazioni fornite;

  • richiesta al contribuente di una dichiarazione contenente l’indicazione dellanatura, del numero e degli estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con operatori finanziari, ex n.6-bis delle norme sopra citate. L’autorizzazione in argomento potrà essere rilasciata, dunque, su richiesta degli Uffici delle Entrate, anche (a differenza del passato) dal Direttore centrale dell’accertamento dell’omonima Agenzia;

  • concessione agli operatori finanziari, su espressa richiesta di questi ultimi, di una proroga, per ulteriori venti giorni, del termine fissato per la comunicazione delle notizie e dei documenti richiesti.

 

Come evidenziato dall’organo giudicante, il prefato atto autorizzatorio non ha natura provvedimentale, ma meramente preparatoria nell’ambito del più ampio procedimento amministrativo di accertamento tributario.

Pertanto, lo stesso (nonostante il nomen juris adottato dal Legislatore) ha una esclusiva funzione organizzativa incidente nei rapporti tra gli Uffici e, quindi, è privo della qualifica di atto impositivo o provvedimentale, in relazione al quale, invece, il combinato disposto dell’art. 3 della Legge n. 241/1990 e dell’art. 12 della Legge n. 212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente) impongono l’obbligo di motivazione.

Tale prescrizione, d’altra parte, non è contenuta nelle norme concernente gli accertamenti finanziari, a differenza di quanto invece stabilito – ad esempio – in relazione agli accessi presso i luoghi adibiti ad esclusiva residenza del contribuente.1

Pertanto, come tra l’altro già statuito dalla medesima Corte nella sentenza n. 16874/2009, la mancata esibizione dell’autorizzazione agli accertamenti bancari all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente.

 

Ex pluribus, occorre evidenziare che nella recente sentenza n. 25770 del 5.12.2014, la Cassazione aveva chiarito che:

  • affinché l’erario possa utilizzare il risultato di accertamenti bancari effettuati nei confronti del contribuente è necessario che tali accertamenti siano stati debitamente autorizzati, ma non anche che il provvedimento di autorizzazione (la cui illegittimità può essere fatta valere dinanzi al giudice tributario soltanto quando venga ad inficiare il risultato fiscale del procedimento, e quindi l’accertamento tributario) venga esibito al contribuente (Cass. 15 giugno 2007, n. 14023, Cass. 21 luglio 2009, n. 16874);

  • la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa. L’invito al contribuente a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari, costituisce, infatti, una mera facoltà, da esercitarsi in piena discrezionalità, e non un obbligo, con la conseguenza che dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti (Cass. 16 settembre 2005, n. 18421; conforme Cass. 5 febbraio 2007, n. 2450).

 

Sulla medesima linea interpretativa si pone, tra le altre, la pronuncia n. 20420 del 26 settembre 2014, in ragione della quale

“in tema di accertamento delle imposte sia dirette che indirette (nella specie IRPEF, IVA ed IRAP), l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi che ne hanno giustificato il rilascio…

In primo luogo, perchè in relazione a detta autorizzazione la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto stabilito, invece, per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52.

Ma poi, anche perchè la medesima autorizzazione, ad onta del “nomen iuris” adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali, rispettivamente, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1, e la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, prevedono l’obbligo di motivazione (cfr. Cass. 14026/12; 5849/12)”.

 

Sulla questione degli accertamenti bancari si richiama, inoltre, la sentenza n. 7584, depositata il 15 aprile 2015, nella quale la Corte di Cassazione afferma che le presunzioni legali di ricavi o compensi (juris tantum, ai sensi dell’art.32, comma 1, n.2) del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51, comma 2, n.2) del D.P.R. n. 633/1972) scattano a prescindere dalle modalità di acquisizione dei dati bancari e, quindi, anche in relazione ai dati bancari/finanziari non acquisiti secondo la procedura disciplinata dalle medesime disposizioni normative, bensì rinvenuti nel corso delle attività di ispezione documentale2.

 

22 settembre 2015

Nicola Monfreda

 

1L’art.52 del D.P.R. nr.633/1972, in materia di imposta sul valore aggiunto, richiamato sul punto dall’art.33 del D.P.R. nr.600/1973, prevede che: “L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17957 del 19.10.2012, ha affermato che “l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, commi 1 e 2, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’amministrazione finanziaria (o della guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari a essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente o a locali diversi (cioè adibiti esclusivamente ad abitazione), è sempre necessaria. Essa rimane subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni tributarie in quest’ultimo caso, vale a dire per l’accesso in locali ‘diversi’ in quanto solo abitativi (cfr. per utili riferimenti Cass. n. 16570/2011; n. 2444/2007; n. 10664/1998). Il giudice tributario, pertanto, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti e altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ha il dovere, “oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di una motivazione – sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche e soprattutto di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento; e quindi di verificare che codesto abbia fatto riferimento a elementi cui l’ordinamento attribuisca effettiva valenza indiziaria”. Di conseguenza, “se nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguentemente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove (v. Cass. n. 21974/2009)”.

2 Cfr. MONFREDA N., Permanenza dei verificatori e corretta modalità di acquisizione dei dati bancari, Il Commercialista Telematico, edizione 26 maggio 2015.