La tassazione delle società estere che operano in Italia senza sede fissa

Un argomento molto dibattuto a seguito della globalizzazione e dell’interesse anche da parte di soggetti italiani ad operare a livello internazionale con società estere.

Anzitutto bisogna chiarire che il soggetto residente in Italia che percepisce utili da società estera è tassabile in Italia, ai sensi del D.P.R. n. 917/86 (T.U.I.R.) fatte salve le imposte già versate all’estero e gli accordi internazionali per evitare la doppia imposizione a seconda della localizzazione del reddito all’estero.

In questo breve scritto affronteremo tuttavia, se pur sinteticamente, la tassazione della società estera che opera in Italia in maniera non stabile, ovvero che intrattiene rapporti commerciali in Italia pur non avendo una sede fissa.

Mentre infatti le attività svolte con sede fissa sono regolate alla stregua della normativa generale e, quindi, la società estera che intenda stabilirsi in Italia è soggetta alla normale tassazione, bisogna distinguere le attività svolte all’estero ma con interessi commerciali anche in Italia.

Confrontando le disposizioni di cui all’art. 162 del T.U.I.R. con l’art. 5 del modello OCSE  si desume che la normativa nazionale ricalca in pratica il dettame della convenzione tipo internazionale, anche perché se così non fosse, prevarrebbe comunque quest’ultima sul diritto interno, anche per un principio costituzionale.

Anzi, se leggiamo l’art. 162 che rinvia all’art. 169 del T.U.I.R. troviamo addirittura una deroga a favore del contribuente nel senso che, devono applicarsi le norme interne se risultano più favorevoli rispetto gli accordi internazionali per la doppia imposizione.

D’altronde il commentario OCSE del gennaio 2003 è ormai ritenuto quasi universalmente applicabile e le interpretazioni non lasciano più dubbi a distanza di più di due anni.

Ma torniamo al nostro argomento e cerchiamo di comprendere quando una società estera che agisce in Italia può essere considerata o meno operante con una stabile organizzazione e quindi soggetto attivo ai fini della tassazione fiscale.

 

La stabile organizzazione

Il controllo tra imprese non residenti non danno automaticamente origine ad una stabile organizzazione, ma viene considerata stabile organizzazione l’entità sia residente che non residente che concluda a nome dell’impresa estera contratti diversi dall’acquisto di beni; tuttavia, non può essere considerata stabile organizzazione dell’impresa estera il fatto che questa eserciti nel territorio dello Stato la propria attività a mezzo di un intermediario (esempio mediatore o commissionario)che agisca tuttavia con status indipendente e nell’ambito della propria attività.

 

Sono considerate stabile organizzazione

  • un’officina o un laboratorio;
  • una succursale, un ufficio o una sede di direzione;
  • un cantiere di montaggio, installazione o di costruzione e le attività di supervisione connesse se di durata superiore a tre mesi;
  • un giacimento, una miniera, una cava ed ogni altro luogo di estrazione di risorse naturali ove lo stato può esercitare dei diritti:

 

Non sono considerate stabile organizzazione

  • localizzazione di beni immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;
  • utilizzo di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di beni o merci appartenenti all’impresa;
  • localizzazione di beni immagazzinati ai soli fini della trasformazione ma da parte di altra impresa;
  • sede fissa di affari utilizzata esclusivamente per acquistare beni o merci e raccogliere informazioni utili, ovvero per svolgere attività con carattere preparatorio o ausiliario;
  • disporre a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici ed impianti ausiliari per la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi.

 

Da quanto pertanto si desume che la sede destinata a vendita diretta è considerata ipotesi di stabile organizzazione per la società estera e pertanto suscettibile a tassazione.

 

Una soluzione  a livello comunitario potrebbe essere quella di avvalersi di depositi fiscali, introdotti nel nostro ordinamento tributario già dal marzo 1997 (Legge n. 29/1997), ove è consentito custodire e sottoporre a lavorazione senza il pagamento dell’Iva beni nazionali e comunitari a condizione che non siano destinati alla vendita al dettaglio all’interno dei depositi stessi; nel caso di utilizzo di deposito fiscale, l’iva verrebbe assolta soltanto dall’acquirente finale al momento della immissione per il consumo dei beni in Italia ed il gestore di deposito può anche assumere la veste di rappresentante fiscale con attribuzione quindi di un numero di partita iva unico per tutti i soggetti passivi non residenti rappresentati e con l’adempimento di integrare le fatture estere, di emettere autofatture e di compilare gli elenchi intrastat per acquisti e vendite con provenienza o destinazione comunitaria.

 

giugno 2005

a cura di Fabrizio Fava

 

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