1) i proventi derivanti da fatti illeciti sono da considerare, in via residuale, come redditi diversi;
2) non occorre che il delitto presupposto (nel caso di specie, appropriazione indebita) sia accertato da sentenza penale definitiva, bastando che il fatto costitutivo di tale reato non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza.
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Proventi da fatti illeciti: il caso di Cassazione
La vicenda prendeva le mosse da un avviso di accertamento, emesso da un ufficio siciliano dell’Agenzia delle entrate, con cui, sulla base di un Pvc della Guardia di finanza - innescato a sua volta da un procedimento penale a carico del contribuente – era stata recuperata a tassazione un’ingente somma, che, come acclarato in sede di indagini penali, il contribuente, già direttore di una Cassa Edile, ponendo in essere condotte con abuso d'ufficio in concorso con altri, avrebbe distratto in suo favore, a titolo di c.d. incentivo all'esodo per la cessazione volontaria del rapporto di lavoro, in modo difforme da quanto deliberato dal Comitato di Gestione, in sede di approvazione dell'incentivo, dando luogo a maggior reddito (inquadrabile nella categoria dei "redditi diversi") quale provento illecito, ai sensi dell'art. 14 legge 537/1993 e successive modificazioni.
Il contribuente proponeva ricorso avanti alla CTP di Agrigento, che lo accoglieva.
Pertanto, l’Amministrazione Finanziaria interponeva appello, che veniva rigettato dalla CTR sicula.
Il Collegio regionale, in particolare, statuiva che, in base a quanto verbalizzato in sede di Pvc dai militari, non emergeva l’esatta individuazione della somma sospettata di costituire "provento illecito" suscettibile di essere recuperata a tassazione.
Inoltre, i giudici d’appello sottolineavano che, a prescindere dalla