Rettifica delle perdite fiscali: smentita la tesi sfavorevole della Cassazione

di Danilo Sciuto

Pubblicato il 24 febbraio 2022

In presenza di perdite fiscali, il termine per la rettifica decorre da quando queste si manifestano o da quando vengono utilizzate?

rettifica perdite fiscaliIn base al disposto dell’articolo 84 del Tuir, la perdita fiscale dei soggetti IRES può essere riportata negli esercizi successivi, a compensazione dei futuri utili.

Il problema che si è posto, del quale è stata investita la giurisprudenza, è il seguente: il termine per rettificare la perdita, decorre da quando essa si forma o da quando viene utilizzata?

In altre parole, l’ufficio deve emanare l’atto entro il quinto anno (prendendo ad esempio la legge oggi vigente) successivo a quello in cui la perdita è stata dichiarata oppure a quello in cui era stata utilizzata?

 

Il problema della rettifica delle perdite fiscali dei soggetti IRES

Tale diatriba si è originata in quanto, per evidenti ragioni di cassa, l’Agenzia delle Entrate sostiene questa (seconda) tesi, ossia che il termine decorra da quando la perdita viene utilizzata.

E’ fin troppo evidente che questa tesi significa esporre il contribuente ad un rischio rettifica che va ben oltre gli ordinari termini, considerato tra l’altro che oggi la perdita IRES può essere riportata in avanti senza un limite temporale (a differenza di quanto avveniva negli anni precedenti).

 

Il parere della Cassazione e la controversa sentenza dei giudici di merito

Le sentenze della Cassazione n. 9993/2018 e n. 2899/2019 hanno affermato che una interpretazione - orientata sull’art. 24 - delle norme sulla decadenza del potere impositivo esige che si tenga conto della pronuncia della Corte costituzionale n. 280/2005, secondo cui il contribuente non può essere esposto all’azione del Fisco per termini eccessivamente dilatati.

Della questione è stata investita, anche se in riferimento all’aspetto delle spese pluriennali, la Cassazione, che a sezioni unite ha sostanzialmente aderito alla interpretazione più rigorosa.

Ultimamente, tuttavia, è intervenuta una sentenza dei Giudici di merito (CTR Lombardia, sentenza 4779/III/2021), la quale, in riferimento al tema in oggetto, ha ribaltato l’interpretazione delle Sezioni Unite (che, si ripete, era relativa al caso dei componenti di reddito pluriennali), affermando che l’ufficio può rettificare le perdite pregresse entro i termini decadenziali che decorrono dal periodo di imposta in cui sono state dichiarate e non da quello in cui sono state utilizzate.

I Giudici hanno motivato sulla considerazione che la perdita può essere (già) oggetto di accertamento da parte dell’ufficio dal momento in cui è stata quantificata, e quindi imputata nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio in cui è stata rilevata.

Nel caso posto all’esame della CTR, la perdita era stata dichiarata nel modello dichiarativo 2012 e non era stata oggetto di rettifica entro il termine decadenziale vigente (allora) di quattro anni successivi a quello di presentazione della dichiarazione (31 dicembre 2016).

Pertanto, nel 2018, anno in cui è stato emesso l’accertamento, l’ufficio non poteva rettificare tale perdita, essendo appunto decorsi i termini decadenziali di accertamento.

Molto opportunamente, poi, i giudici hanno evidenziato che, se così non fosse, si giungerebbe a una inammissibile dilatazione dei termini previsti per l’accertamento e a un evidente pregiudizio della certezza del diritto.

 

La questione delle perdite illimitatamente riportabili

Nel caso di specie, ossia di perdite illimitatamente riportabili, si arriverebbe addirittura alla conseguenza di dovere riconoscere all’ufficio un potere di accertamento di durata illimitata.

I giudici hanno poi richiamato, a conferma della loro tesi, la sentenza della Cassazione n. 147/2015, in base alla quale l’accertamento delle perdite riportate a nuovo deve essere effettuato con riguardo all’anno di imposta in cui le stesse si sono formate, e non a quello successivo in cui sono utilizzate in compensazione.

In sostanza, a fronte di un intervento restrittivo delle Sezioni Unite, relativo però ad una fattispecie diversa, siamo in presenza, oggi, di un giudicato di merito che invece è puntuale sulla fattispecie e sposa l’indirizzo più morbido, e, comunque, più aderente al dettato costituzionale dell’articolo 24.

 

Alcuni suggerimenti di lettura:

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A cura di Danilo Sciuto

Giovedì 24 febbraio 2022