Royalties e valore doganale: si apre lo scenario dei rimborsi?

Secondo il recente indirizzo espresso dalla Corte di Cassazione, non vi sono i presupposti per la tassazione doganale delle royalties se il “controllo” è sul prodotto importato e non sul produttore.
Tornando su un tema di grande interesse per gli operatori doganali, la Suprema Corte ha ribadito che il “controllo di qualità” non comporta la daziabilità delle royalties in dogana.
Il nuovo indirizzo apre lo scenario dei rimborsi?

La normativa doganale in materia di royalties

royalties valore doganale Secondo la normativa doganale europea (artt. 61 e 72 Cdu, Reg. UE 952/2013 e artt. 136 e 127 RE, Reg. UE 2447/2015), i diritti di licenza devono essere aggiunti al valore doganale della merce soltanto al ricorrere delle seguenti condizioni:

  • se i diritti di licenza non sono già compresi nel prezzo di acquisto dei prodotti;
     
  • quando si riferiscono ai beni importati da valutare;
     
  • se il pagamento del corrispettivo della licenza costituisce una “condizione di vendita dei beni”.

Le royalties concorrono, pertanto, alla determinazione del valore doganale delle merci soltanto se il compratore è tenuto a pagarle, direttamente o indirettamente, come “condizione della vendita”, purché non siano già incluse nel valore e si riferiscano alle merci oggetto di valutazione.

Il requisito della “condizione di vendita” si realizza quando il titolare del diritto di licenza esercita un controllo sul produttore, ossia quando il licenziante è in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un “potere di costrizione o di orientamento” sul fornitore.

 

Daziabilità delle royalties: due indirizzi opposti

Il tema della daziabilità delle royalties si inserisce in un contesto giurisprudenziale, europeo e nazionale, molto complesso.

Negli ultimi anni, la Corte di Cassazione si è pronunciata più volte sulla questione, delineando due distinti orientamenti sulla definizione del “controllo sul produttore”, da cui deriva la daziabilità delle royalties.

Secondo un primo indirizzo, il controllo sul fornitore estero si realizzerebbe anche nelle situazioni in cui la licenziante impone ai fabbricanti alcune regole di produzione al solo fine di tutelare la qualità dei prodotti contraddistinti dal marchio oggetto di licenza o di garantire il rispetto dei codici etici.

Questo primo orientamento accoglie un’accezione particolarmente ampia e indefinita del requisito del “controllo sul produttore”, ricomprendendovi alcune condizioni che, di per sé, sono legate unicamente alla tutela del marchio commerciale.

Tali regole, infatti, normalmente hanno l’obiettivo di verificare che il fornitore rispetti gli standard di sicurezza o, per esempio, che non incorra in una violazione dei diritti dei lavoratori o di sfruttamento del lavoro minorile.

Un secondo indirizzo interpretativo, che pare prevalere nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, individua, invece una linea di confine tra il “controllo sul produttore” e il “controllo sul prodotto”.

La distinzione non è vaga e indeterminata, ma si fonda sulla presenza di una serie di indici oggettivi, rivelatori di un concreto potere di “controllo” e di orientamento del licenziante sui fornitori esteri.

 

Gli indicatori del “controllo”

Con le recenti sentenze 21 gennaio 2021, n. 1041, 9 ottobre 2020, n. 21775 e 16 ottobre 2020, n. 22480, la Corte di Cassazione ha precisato che, per affermare la presenza di un “controllo sul produttore”, occorre avere riguardo ai criteri interpretativi individuati dalla Commissione europea nel Commento n. 11 della “Raccolta dei testi approvati dal Comitato del codice doganale” (Taxud/800/2002).

Tale Commento rappresenta una vera e propria fonte di soft law dell’Unione europea, che individua una serie di situazioni di fatto da prendere in considerazione per stabilire se i diritti di licenza assumono rilievo o meno ai fini della tassazione doganale.

L’elenco prevede una serie di concrete ipotesi di restrizione dei diritti del produttore, rappresentate, per esempio, dall’interdizione alla vendita nei confronti di potenziali acquirenti, dal potere di imporre il prezzo di vendita o di limitare le quantità di prodotti che il produttore può realizzare.

Occorre rilevare che, come confermato anche dalla Corte di Giustizia (sentenza 9 luglio 2020, causa C-76/19, Curtis Balkan), un solo indice non è sufficiente per configurare una “condizione di vendita”, essendo invece necessaria una combinazione di più fattori.

 

Controllo sul produttore o controllo di qualità?

Secondo il recente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, occorre distinguere il “controllo sul produttore”, che si identifica attraverso gli indici elencati dalla Commissione europea, dal “controllo di qualità”, la cui presenza non determina la daziabilità delle royalties, in quanto normalmente rientrante tra le facoltà previste dal contratto di licenza.

A differenza degli indici da cui rilevare il controllo sul produttore, che consistono in interventi reali e concreti del licenziante sull’attività del fornitore, sulla sua libertà di operare anche con soggetti concorrenti del licenziante e sull’attività svolta all’interno della fabbrica, il controllo di qualità dei prodotti è, invece, legato unicamente alla tutela del marchio.

L’obiettivo, infatti, è di verificare che il fornitore rispetti gli standard di sicurezza dei prodotti e altre regole c.d. etiche a tutela dei diritti dei lavoratori.

 

Il nuovo indirizzo apre lo scenario dei rimborsi?

Alla luce delle recenti pronunce della Corte di Cassazione è fondamentale per le imprese che operano nell’import-export effettuare un’attenta analisi delle singole clausole dei contratti di licenza conclusi tra i licenzianti e la licenziataria.

Come chiarito dalla Suprema Corte, infatti, se il controllo del licenziante riguarda unicamente la qualità del prodotto, senza alcuna imposizione alla licenziataria circa la scelta dei produttori, le royalties devono essere escluse dal valore di transazione della merce, non essendo dimostrato un legame, tra il licenziante e i fornitori extra-europei, idoneo a configurare il requisito del “controllo sul produttore”.

Per consentire tale necessaria analisi contrattuale, i licenziatari sono tenuti a fornire alla Dogana i contratti di licenza e quelli di fornitura.

Se, solitamente, i contratti di licenza sono testi negoziali molto puntuali e articolati, i rapporti contrattuali conclusi con i fornitori, spesso cinesi o asiatici, sono invece raramente documentati in forma scritta.

Per questa ragione, al fine di definire in maniera puntuale il contenuto dei diritti e degli obblighi tra l’impresa italiana che importa e il fornitore estero, è certamente consigliabile un inquadramento scritto, condiviso da entrambe le parti, da produrre in caso di accertamento doganale.

Normalmente le aziende non tengono in considerazione il rischio di una contestazione sulle royalties e delle rilevanti conseguenze economiche di un eventuale accertamento sul valore, che può retroagire di tre anni e dar luogo anche all’irrogazione di pesanti sanzioni.

È pertanto certamente consigliabile un’attenta revisione dei contratti in essere, con i fornitori e con i licenziatari, anche per prevenzione il rischio di contestazioni da parte dell’Agenzia delle dogane.

Si segnala, infine, la possibilità di avviare azioni di rimborso dei maggiori diritti versati al momento dell’importazione ove, a seguito di un’attenta analisi e alla luce del recente indirizzo della Corte di Cassazione, si ritenga di aver incluso erroneamente le royalties nel valore doganale.

 

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