Patto di famiglia: cenni sulla disciplina civilistica
L’ art. 768-bis del codice civile [1] contempla la figura del cosiddetto patto di famiglia, chiaramente ispirata alla finalità di agevolare le vicende circolatorie dei beni donativi, in funzione di certezza e stabilità dei futuri acquisti, attenendo al delicato profilo del passaggio generazionale dell'impresa, nel rapporto tra le obiettive istanze di continuità ed efficienza nella gestione del bene produttivo, da un lato, e le esigenze di tutela delle ragioni dei legittimari, coinvolte nella vicenda traslativa dell'azienda familiare, per altro verso.
L'introduzione dell'istituto, peraltro, rappresenta l'attuazione di precisi indirizzi di politica legislativa elaborati dagli organismi comunitari, sul tema specifico della trasmissione endofamiliare delle imprese produttive [2].
Si tratta indubbiamente di un negozio a carattere "familiare", visto che al- successivo art. 768-quater si desume agevolmente che alla pattuizione in questione debbano (necessariamente) prendere parte, oltre al disponente (vale a dire, il soggetto titolare che trasferisce il bene produttivo), ed ai discendenti (o, all'unico discendente) che il disponente intende beneficiare con l'attribuzione del complesso aziendale, anche tutti gli altri soggetti che rivestirebbero la qualità di eredi legittimari, se, al momento dell'atto, si aprisse la successione del soggetto disponente.
Per espressa volontà del legislatore il negozio de quo ha natura contrattuale (art. 768-bis) e si tratta, più precisamente, di un contratto "solenne" (o formale) poiché l’art. 768-ter dispone, infatti, che il patto di famiglia debba rivestire la forma dell'atto pubblico, a pena di nullità. Si tratta, dunque, di forma richiesta ad substantiam.
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I confronti con la donazione modale
In dottrina, alcuni studiosi hanno ritenuto l’istituto somigliante ad una donazione modale [3];