Contraddittorio preventivo: ultimi sviluppi normativi e giurisprudenziali

Dall’1 Luglio scorso è scattato l’obbligo di contraddittorio preventivo per i procedimenti tributari.
In questo intervento analizziamo la novità normativa, anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali disponibili in tema di contraddittorio.

contraddittorio preventivoIl D.L. 34/2019 ha introdotto il nuovo articolo 5 ter D.Lgs. 218/1997, il quale prevede l’obbligo di invito a comparire per l’avvio del procedimento di accertamento con adesione a partire dagli avvisi emessi dal prossimo 1 luglio.

 

Il nuovo invito al contraddittorio preventivo

L’invito di cui al citato articolo 5-ter è applicabile esclusivamente per la definizione degli accertamenti in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, Irap, Ivie, Ivafe e Iva.

La mancata attivazione di tale fase comporta l’invalidità dell’atto impositivo, «qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato», salvo i casi di particolare urgenza o di fondato pericolo per la riscossione, nonché di partecipazione già prevista.

L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che il contribuente è chiamato ad offrire la c.d. prova di resistenza tesa ad evidenziare gli elementi o le circostanze che avrebbero potuto indurre l’Amministrazione finanziaria a valutare diversamente le risultanze dell’attività istruttoria (SS.UU. sent. n. 24823/2015).

Restano esclusi dal campo di applicazione della disposizione in esame i «casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo».

Tale previsione tiene conto del fatto che in simili ipotesi il contribuente già beneficia della specifica garanzia di cui all’articolo 12, comma 7, Legge 212/2000.

Ciononostante, la circolare esorta gli Uffici ad attivare il confronto anche in tali casi, onde pervenire ad una quanto più corretta determinazione della pretesa tributaria.

Inoltre, l’applicazione di tale istituto è esclusa nei casi degli avvisi di accertamento o di rettifica parziale di cui agli articoli 41-bis D.P.R. 600/1973 e 54, commi 3 e 4, D.P.R. 633/1972.

Quanto alla deroga dall’obbligo di invito a comparire, l’Agenzia delle Entrate ha osservato che costituisce motivo di particolare urgenza, a titolo esemplificativo, il pericolo derivante da reiterate violazioni che comportino l’obbligo di denuncia per reati tributari (Cassazione sent. n. 1289/2020) o la circostanza imprevedibile e sopravvenuta che impone una stretta tempistica per gli adempimenti dell’Amministrazione finanziaria).

In caso di mancata adesione, l’avviso di accertamento è specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente.

Sul punto, l’Agenzia delle Entrate con circolare 17/E/2020 ha sottolineato l’importanza dell’obbligo di “motivazione rafforzata”, precisando che «non è sufficiente che gli uffici si limitino a valutare gli elementi forniti dal contribuente, ma dovranno essere argomentate in motivazione le ragioni del relativo mancato accoglimento».

In altri termini, l’Ufficio è tenuto ad assolvere l’obbligo motivazionale in considerazione delle giustificazioni e dei chiarimenti offerti dal contribuente, argomentando in modo specifico sulla loro fondatezza o meno, in modo da rendere comprensibile l’iter seguito nella determinazione della pretesa tributaria.

Con ordinanza del 18 gennaio 2016 la Commissione tributaria regionale della Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale del comma 7 dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117, primo comma, della Costituzione.

Il giudizio principale attiene all’appello interposto da una srl avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Pistoia con la quale è stato solo parzialmente accolto il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti di un accertamento, inerente redditi relativi all’anno 2008 e che, tra i motivi di impugnazione, vi è quello della asserita invalidità dell’accertamento per la mancata instaurazione del contraddittorio anticipato, in violazione del disposto di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, laddove stabilisce che «nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.

 

L’emissione dell’avviso di accertamento

L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

Ad avviso della Commissione tributaria remittente,

tale disposizione – in linea con l’interpretazione offerta da ultimo dalla Corte di Cassazione, sezioni unite, con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, cui viene ascritto il portato proprio del «diritto vivente» sul tema in oggetto garantisce il relativo modulo procedimentale a pena di invalidità del conseguente accertamento, limitatamente, tuttavia, ai soli controlli effettuati tramite accessi, ispezioni o verifiche sui luoghi di riferimento del contribuente, meglio descritti dal comma 1 dello stesso art. 12; per i controlli fiscali realizzati in ufficio dai verificatori, in assenza di una specifica previsione normativa in tal senso, deve invece escludersi la presenza di un principio generale, immanente nel sistema, destinato ad imporre l’obbligo del contraddittorio preventivo all’atto impositivo, salvo che per i tributi armonizzati, in relazione ai quali detto obbligo è desumibile dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e sempre che, come più volte ribadito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, l’interessato abbia dato prova dell’incidenza effettiva della violazione sulla formazione dell’atto che ha recato pregiudizio allo stesso” .

La Corte Costituzionale, ordinanza n. 187/2017, sorvola sul riconoscimento generalizzato del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000, n. 212, censurato per violazione degli artt. 3, 24, 53, 111 e 117, comma 1, Costituzione, nella parte in cui — secondo la Corte di cassazione — garantisce al contribuente, a pena di invalidità dell’atto di accertamento, l’instaurazione del contraddittorio anticipato nei procedimenti

Limitatamente ai soli controlli effettuati mediante accessi, ispezioni o verifiche nei luoghi di riferimento del contribuente, e non anche per i controlli fiscali realizzati in ufficio dai verificatori.

La descrizione della fattispecie non consente di identificare le caratteristiche del procedimento che ha portato all’accertamento contestato e neppure l’effettiva natura di quest’ultimo, impedendo la necessaria verifica sulla rilevanza della questione.

Siffatta carenza descrittiva preclude alla Corte costituzionale — cui non è consentita la lettura degli atti di causa in ragione del principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione — la possibilità di verificare se si verta o meno in una delle ipotesi per le quali il contraddittorio è comunque imposto ex lege (non potendosi eventualmente escludere, ad esempio, che l’accertamento risulti fondato anche su parametri standardizzati, quali gli studi di settore, per i quali l’obbligo di contraddittorio preventivo è imposto dal relativo dato normativo di riferimento).

Sicché, secondo una ricostruzione dottrinale, “il contraddittorio di cui si discute in questo contesto non è quello che comporta un onere di collaborazione del contribuente (che, se richiesto, è tenuto a produrre documenti a pena di inutilizzabilità degli stessi), ma è quello che comporta una sua partecipazione alla fase dell’accertamento, mediante la possibilità di formulare osservazioni, deduzioni e richieste.

 

Lo Statuto del contribuente e il suo vero valore

Il legislatore, nel disciplinare, con l’art. 12, comma 7, legge 27.7.2000, n. 212, i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove questi esercita attività imprenditoriale o professionale, ha previsto al comma 7 un procedimento dell’attività accertativa (formazione di un verbale di chiusura delle operazioni; rilascio di copia del medesimo al contribuente; facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste e corrispondente dovere dell’Ufficio di valutarle; divieto per l’Ufficio di emettere avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata urgenza) che si basa, da un lato, sul dovere dell’Amministrazione di informare tempestivamente il contribuente dei risultati della verifica fiscale, ove non ricorrano motivate ragioni di urgenza; dall’altro, sulla facoltà di interlocuzione da parte del contribuente, da esercitarsi entro il termine dilatorio predeterminato (sessanta giorni), preliminare all’emissione dell’atto impositivo.

Sul piano normativo, la valorizzazione del dato testuale dell’art. 12, co. 7, della legge n. 212/2000 si accompagna alla considerazione che la legge n. 241/1990 esclude espressamente la propria applicabilità ai «procedimenti tributari, per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano» e che a tale previsione corrisponde una normativa tributaria nel cui ambito non si rinviene alcuna disposizione che sancisca in via generale l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale e ne possa essere considerata la fonte.

Vi sono invece svariate disposizioni che tale contraddittorio prescrivono, a condizioni e con modalità ed effetti differenti ed in rapporto a specifiche fattispecie: tra le altre, l’obbligo del contraddittorio in tema di accertamento sintetico, introdotto dal d.l. 31.5.2010, n. 78, art. 22 in materia doganale, l’obbligo del contraddittorio anche per l’ipotesi di revisione eseguita in ufficio, e quindi, di accertamento cd. a tavolino, introdotto al fine di adeguare la disciplina nazionale in materia doganale a quella europea.

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, nell’uno e nell’altro caso, il principio opera nella misura in cui, in mancanza di violazione dell’obbligo, il procedimento «avrebbe potuto comportare un risultato diverso», in senso sostanziale e non formale.

In proposito, ha precisato che la limitazione della rilevanza della violazione dell’obbligo del contraddittorio va intesa nel senso che la nullità dell’accertamento si verifica quando, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in un puro simulacro, fondato su elementi fittizi o strumentali.

Ne trae, quindi, la conseguenza che il contribuente che intende far valere il difetto di contraddittorio non può limitarsi ad una eccezione formalistica, ma ha l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, dimostrando la non pretestuosità dell’eccezione.

Questi obiettivi apparivano, inoltre, in stretta correlazione con la finalità di assicurare la coerenza e la tendenziale uniformità dei poteri in materia tributaria e delle forme e modalità del loro esercizio, attraverso «la definizione di una disciplina unitaria della struttura, efficacia ed invalidità degli atti dell’amministrazione finanziaria e dei contribuenti»

Con l’art. 1, d.lgs. 5.8.2015, n. 128 è stato introdotto nella legge n. 212/2000 l’art.10 bis, che ha ridisciplinato l’abuso del diritto.

Per quanto di interesse, nel disegnare il procedimento accertativo dell’abuso, il citato art.10 bis, commi da 6 a 8, della legge n. 212/2000, prevede che l’atto impositivo sia preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, nella quale devono essere indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto; l’ordinario termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è prorogato sino a sessanta giorni successivi alla ricezione dei chiarimenti o all’inutile decorso del termine per fornirli.

Va rimarcato che è comminata la nullità per l’atto impositivo non specificamente motivato in relazione sia agli elementi costitutivi della condotta abusiva sia ai chiarimenti forniti dal contribuente.

In tal modo, la novella supera la diversità prima esistente tra le modalità di accertamento previste per le ipotesi di abuso, a seconda che fossero state o no tipizzate (sulla quale era stata interpellata la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 132/2015, aveva dichiarato non fondata la questione), e recepisce la più recente pronuncia della corte di legittimità, che ha ritenuto sempre necessario il contraddittorio anticipato in caso di contestazione di condotte elusive (Cassazione Sent. n. 406/2015).

Sul piano normativo, la valorizzazione del dato testuale dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 è stata accompagnata dalla considerazione che la legge n. 241/1990 esclude espressamente la propria applicabilità ai «procedimenti tributari, per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano» e che a tale previsione corrisponde una normativa tributaria nel cui ambito non si rinviene alcuna disposizione che sancisca in via generale l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale e ne possa essere considerata la fonte.

Il contraddittorio preventivo è obbligatorio solo se espressamente previsto dalla legge per i tributi non armonizzati: nel nostro ordinamento ciò avviene solo in caso di accessi, ispezioni o verifiche presso la sede del contribuente.

Per i tributi armonizzati, come l’Iva, l’assenza del contraddittorio endoprocedimentale comporta invece la nullità del conseguente atto impositivo, semprechè il contribuente fornisca elementi idonei a superare la c.d. “prova di resistenza”.

Questi i principi contenuti nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9496, depositata il 22 maggio 2020.

L’Ufficio notificava ad un contribuente, di professione geometra, un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette ed Iva, a seguito di una verifica “a tavolino”. La contestazione fondamentalmente riguardava dei compensi percepiti quale amministratore di una società che secondo l’Agenzia dovevano essere considerati redditi da lavoro autonomo, quindi assoggettati ad Iva.

L’atto impositivo veniva impugnato, eccependo, tra l’altro, che lo stesso era illegittimo in quanto emesso senza l’instaurazione del contraddittorio preventivo, senza la redazione di un Pvc ed il rispetto del termine dei 60 giorni di cui all’art. 12 L. 212/2000.

La CTP accoglieva il ricorso ma la sentenza era riformata in appello.

La CTR infatti riteneva che trattandosi di accertamento a tavolino non era necessaria alcuna formalità preventiva alla redazione dell’avviso di accertamento; nel merito, poi, i giudici ritenevano corretta la pretesa erariale.

Il contribuente proponeva ricorso, ribadendo le eccezioni già formulate in primo grado, anche in relazione all’errata qualificazione delle somme percepite quale legale rappresentante di una società.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9496, depositata il 22 maggio 2020, ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza di appello.

 

Statuto del Contrbuente e Sezioni Unite: note giuriprudenziali

Le Sezioni Unite sent. n. 24823/2015 hanno chiarito come l’ambito di applicazione dell’art. 12, comma 7 L. 212/2000 è circoscritto agli accertamenti con accessi, ispezioni o verifiche presso i locali del contribuente: al di fuori di tali ipotesi l’Ufficio non ha alcun obbligo di contraddittorio o redazione di Pvc.

Stabilita inoltre una precisa distinzione tra tributi armonizzati e non armonizzati: per questi ultimi l’obbligo dell’Agenzia di esperire il contraddittorio endoprocedimentale, a pena d’invalidità del successivo atto impositivo, sussiste solo ove tale obbligo sia espressamente previsto dalla legge.

Al contrario, in base al diritto unionale, per i tributi armonizzati la violazione del dovuto contraddittorio preventivo comporta, anche in ambito tributario, un vizio del conseguente avviso di accertamento, ammesso che il contribuente superi la c.d. “prova di resistenza”.

In sintesi è necessario dimostrare che le ragioni che si sarebbero potute far valere nel contraddittorio non erano puramente pretestuose e pertanto si sia effettivamente violato il diritto di difesa.

Nella specie, se è vero che era stato svolto un accertamento “a tavolino”, lo stesso aveva riguardato anche l’Iva (tributo armonizzato), ma la CTR non aveva in alcun modo verificato il superamento della prova di resistenza, ritenendo erroneamente che il contraddittorio preventivo non fosse comunque obbligatorio.

Fondata era infine anche la doglianza del contribuente in relazione alla qualificazione del reddito derivante dalla carica di amministratore ricoperta dal contribuente.

La CTR non si era infatti avveduta che sono assimilate ai redditi di lavoro dipendente le somme percepite per gli uffici di legali rappresentanti delle imprese (art. 50, comma 1 Tuir, lettera c-bis), salvo che gli stessi non rientrino nell’oggetto della professione di cui all’art. 53 comma 1 Tuir, concernente redditi di lavoro autonomo.

Il diritto al contraddittorio endoprocedimentale tributario è stato ricostruito da una parte della dottrina italiana come un diritto immanente nel nostro sistema, ricavabile da numerose anche se circoscritte disposizioni che lo disciplinano, un’interpretazione che ha avuto limitati seguiti nella giurisprudenza di legittimità sino ad ora.

 

Il diritto al contraddittorio preventivo prima della riforma 2020

La giurisprudenza consolidata è nel senso contrario, ossia che esso opera solo ove la legge espressamente lo preveda.

Almeno sino al 1° luglio 2020 e al dispiegarsi dell’efficacia dell’obbligo di invito al contraddittorio preventivo nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione, su cui si opererà una riflessione infra.

All’ultimo paragrafo del presente scritto, la previsione più “generale” contenuta nel nostro ordinamento è certamente quella dall’art.12 dello Statuto del contribuente, la quale trova applicazione ogni qual volta occorra il caso di accesso, ispezione o verifica nei locali aziendali finalizzato all’emissione di un avviso di accertamenti.

Il cuore della tutela contenuta nella previsione da ultimo citata è racchiusa nel settimo comma, che ha passato indenne ben tre volte il vaglio di costituzionalità, censurato da questioni sempre dichiarate inammissibili il quale fissa in 60 giorni il termine dilatorio per consentire al contribuente di eventualmente contraddire.

Il contribuente può così sottoporre «osservazioni e richieste» all’Amministrazione tempestivamente e la violazione del termine – salvo casi di particolare e motivata urgenze- determina la nullità del provvedimento dell’Amministrazione finanziaria, con cui è stato disposto ante tempus il recupero ad imposta.

Diversa è la posizione espressa da altre pronunce, tra le quali si distingue l’ordinanza Cass. 17 gennaio 2017 n. 1007, secondo cui in caso di «accesso, ancorché finalizzato ad un’acquisizione documentale immediata, comunque la c.d. “prova di non resistenza” non può trovare ingresso in virtù della obbligatorietà generalizzata del contraddittorio preventivo sancito per legge dall’art. 12, comma 7, I. 212/2000».

Più di recente, la Corte ha valorizzato il fatto che non vi è alcun contrasto tra le due decisioni delle Sezioni unite, in particolare in merito all’operatività della prova di resistenza, pienamente compatibili con il diritto eurounitario, in quanto nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali aziendali, opera una valutazione ex ante in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso ante tempus, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”.

Non vi è dunque alcuna necessità di prova di “resistenza”, la quale invece deve essere compiuta dal giudice, per i tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa, come nel caso di accertamenti cd. a tavolino.

Tale orientamento, frutto di un confronto nomofilattico interno al gruppo IVA e dogane della Sezione Tributaria della Corte, ha ricevuto significativi consensi in dottrina ed appare in via di consolidamento

L’art.47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione tutela espressamente il diritto al contraddittorio in modo ampio, non solo in sede di processo giurisdizionale, all’art. 47 nel contesto del rispetto del diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale, ma anche nella fase anteriore del procedimento amministrativo.

Infatti, l’art. 41 della Carta, rubricato “diritto ad una buona amministrazione”, lettera a), consacra «il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio».

La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha applicato il diritto al contraddittorio, coerentemente con la sua natura di diritto fondamentale, affrontando anche il caso in cui il diritto comunitario non disciplini espressamente le modalità di esercizio di tale fondamentale diritto di difesa

Infatti, la violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa «comporta l’annullamento della decisione di cui trattasi soltanto quando, senza tale violazione, il procedimento avrebbe potuto condurre ad un risultato differente».

Tuttavia, il principio del rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti.

Tra i recenti sviluppi giurisprudenziali in materia di rispetto del principio di parità delle armi in fase procedimentale, particolare attenzione merita la sentenza della Corte di Giustizia Glencore.

La società lamentava che l’amministrazione finanziaria avesse violato il suo diritto a un processo equo garantito dall’articolo 47  della Carta, il principio della parità delle armi e il rispetto dei diritti della difesa ad un duplice titolo.

Da un lato, solamente l’amministrazione avrebbe avuto accesso all’intero fascicolo relativo ad un processo penale in cui erano implicati determinati fornitori e cui la società non aveva accesso non essendo parte processuale, nel quale elementi di prova sarebbero stati raccolti e utilizzati contro la contribuente.

D’altro canto, l’amministrazione non avrebbe messo a disposizione della stessa il fascicolo relativo ai controlli effettuati presso i fornitori, in particolare i documenti fondanti le contestazioni, né il processo verbale, e neppure le decisioni amministrative da essa adottate, limitandosi a comunicargliene una parte secondo un criterio discrezionale.

I giudici del Lussemburgo hanno osservato che il destinatario di una decisione che arreca pregiudizio deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata, affinché l’autorità competente sia messa nelle condizioni di tenere utilmente conto di tutti gli elementi pertinenti e che, eventualmente, tale destinatario possa correggere un errore e far valere utilmente gli elementi rilevanti per la propria posizione, l’accesso al fascicolo deve essere autorizzato nel corso della fase endoprocedimentale.

Quindi, una violazione del diritto di accesso al fascicolo intervenuta durante tale fase non si sana col semplice fatto che l’accesso a quest’ultimo è poi stato reso possibile nel corso del procedimento giurisdizionale in forza di un eventuale ricorso diretto ad impugnare il provvedimento adottato.[36]

Da ultimo, il 4 giugno 2020 è intervenuta in materia di rispetto dei diritti della difesa (right to be heard) e di accesso al fascicolo amministrativo un’altra importante pronuncia, la SCCF la quale in misura considerevole richiama i principi giurisprudenziali fissati dalla Glencore.

Orbene, la previsione dell’art. 5-ter ha introdotto, in determinate ipotesi, l’obbligo di notificare al contribuente, prima dell’emissione di un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’imposta sul valore aggiunto, un invito di cui all’articolo 5, comma 1, del medesimo decreto al fine di avviare il procedimento di accertamento con adesione, a scopo deflattivo.

L’art. 5-ter è applicabile esclusivamente in relazione alle imposte sui redditi, contributi previdenziali ritenute e sostitutive, imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE), imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero (IVAF), IVA.

Non trova perciò applicazione per i tributi indiretti residuali e per i tributi locali.

La sanzione per il mancato rispetto dell’invito obbligatorio è l’invalidità dell’atto impositivo, ma non automatica, bensì previa dimostrazione avanti al giudice della “prova di resistenza”, come elaborata dalla giurisprudenza comnunitaria e dalla giurisprudenza della citata Corte di Cassazione.

L’introduzione dell’invito obbligatorio non comporta in ogni caso l’affermazione di un generale obbligo di contraddittorio endoprocedimentale nel nostro ordinamento,come si evince sin dalla lettura delle prime righe della disposizione, che esclude dalla propria applicazione i «casi in cui sia  stata  rilasciata  copia del processo verbale di chiusura  delle  operazioni», con evidente riferimento alla previsione dell’art.12 settimo comma dello Statuto. Inoltre, sono esclusi dal campo di applicazione i casi degli accertamenti parziali per le imposte dirette e per l’IVA basati su elementi “certi e diretti”, situazioni che in concreto occorrono sovente.

 

A cura di Luca Labano

Lunedì 7 Settembre 2020

 

VIDEO-CORSO ACCREDITATO IN DIRETTA il 24/09/2020
ORE: 15:30 – 18:30 
RELATORE: Carlo Nocera

 In questa videoconferenza in diretta parleremo di:

  • Ripresa delle attività di accertamento, riscossione e contenzioso fiscale
  • Note operative per il difensore tributario
  • Analisi di casi controversi in tema di sospensione di termini e pagamenti, rateazioni, accertamenti con adesione

Nel corso della diretta, inoltre, sarà possibile interagire con il relatore per commentare o porre quesiti sull’argomento.

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