La retribuzione in contanti si somma al lavoro nero: sanzione raddoppiata

L’INL ha fornito un utile chiarimento in merito ai casi nei quali il datore di lavoro impiega in azienda un lavoratore in nero e lo retribuisce in contanti, e quindi in contrasto con le recenti norme introdotte. In tale fattispecie, oltre a violare le disposizioni legislative che obbligano i datori di lavoro a utilizzare uno dei mezzi tracciati, si configurerebbe l’ipotesi di irrogazione del provvedimento di maxi-sanzione per lavoro nero. Vediamo quindi nel dettaglio gli aspetti salienti dell’intervento dell’Ispettorato del lavoro==>

La retribuzione in contanti si somma al lavoro nero: sanzione raddoppiataCon la Nota protocollo n. 9294 del 9 novembre 2018, l’INL ha fornito un utile chiarimento in merito ai casi nei quali il datore di lavoro impiega in azienda un lavoratore “in nero” e la retribuzione è in contanti, e quindi in contrasto con le recenti norme introdotte all’art. 1, co. 910 e ss. della L. n. 205/2017. In tale fattispecie, oltre a violare le disposizioni legislative che obbligano i datori di lavoro a utilizzare uno dei mezzi tracciati contenuti al comma 910 della predetta legge, si configurerebbe l’ipotesi di irrogazione del provvedimento di maxi-sanzione per lavoro “nero”, ai sensi dell’art. 3, co. 3, del D.L. n. 12/2002. Vediamo quindi nel dettaglio gli aspetti salienti dell’intervento dell’Ispettorato del lavoro.

Premessa

Come noto, l’art. 1, co. da 910 a 914 della L. 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di Bilancio 2018) ha introdotto l’obbligo, a decorrere dal 1° luglio 2018, di non poter più retribuire il lavoratore/collaboratore con denaro contante, pena l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge. A tal fine, infatti, i datori di lavoro potranno servirsi esclusivamente di mezzi tracciati, in quanto la transazione dovrà essere registrata obbligatoriamente da una banca o un ufficio postale.

Dunque, la pratica tanto diffusa delle aziende di retribuire i propri dipendenti senza traccia alcuna, non è più ammessa dalla legge. Infatti, lo scopo immediato della norma è quello di tracciare i pagamenti di stipendi ed anticipazioni di essa, al fine di verificare che la retribuzione corrisposta non sia inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva.

 

Campo di applicazione

I diretti interessati della norma, come stabilito dal comma 911, sono:

  • i datori di lavoro o committenti che non possono più retribuire per mezzo di denaro contante direttamente il lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.

A tal proposito, il Legislatore fornisce anche una puntuale definizione della locuzione “rapporto di lavoro”, intendendo come tale “[…] ogni rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto, nonché ogni rapporto di lavoro originato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142” (co. 912).

Per quanto riguarda invece i rapporti di lavoro esclusi dalla disposizione normativa in commento, il comma 913 afferma che le nuove regole non si applicano:

  • nei rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
  • nei rapporti di lavoro nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici (comunemente chiamati “colf e badanti”), stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

 

Modalità di pagamento

In merito alle modalità di pagamento, i datori di lavoro o i committenti dovranno corrispondere ai lavoratori la retribuzione esclusivamente attraverso una banca o un ufficio postale, con una delle modalità stabilite dal comma 910, ossia:

  • bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
  • strumenti di pagamento elettronico;
  • pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
  • emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.

 

Apparato sanzionatorio

Venendo più specificatamente al regime sanzionatorio adottato dal Legislatore in caso di violazione degli obblighi di tracciabilità della retribuzione, il co. 913 prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro.

A tal proposito, in caso di contestazione dell’illecito al trasgressore, non è possibile ricorrere all’istituto della diffida di cui all’art. 13, co. 2 del D.Lgs. n. 124/2004, ciò in considerazione del fatto che l’illecito non è materialmente sanabile. Ragion per cui la sanzione sarà determinata nella misura ridotta (ex art. 16 Legge n. 689/1981) di un terzo, pari a 1.667 euro e, in caso di mancato versamento, sul codice tributo “741T”, l’autorità competente a ricevere il rapporto, è l’Ispettorato territoriale del lavoro.

È bene ricordare, inoltre, che avverso il verbale di contestazione e notificazione adottato dagli organi di vigilanza è possibile presentare ricorso amministrativo al Direttore della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. n. 124/2004 entro 30 giorni dalla sua notifica. Entro il medesimo termine è altresì possibile presentare scritti difensivi all’Autorità che riceve il rapporto ai sensi dell’art. 18 della L. n. 689/1981.

Sul punto, l’INL ha chiarito che la sanzione non si applica in relazione al numero dei lavoratori interessati dalla violazione, bensì ai mesi violati. Per esempio, se un datore di lavoro viola le norme per 2 mesi, in relazione a 3 lavoratori, dovrà scontare una sanzione pari 3.333,32 euro (1.666,66 * 2). Lo stesso importo sarebbe stato pagato anche per un numero maggiore o minore di lavoratori oggetto di violazione.

 

Violazione obblighi di tracciabilità più “lavoro nero”

Ma quale sanzione si applica se il datore di lavoro impiega “in nero” un lavoratore e viola di conseguenza anche gli obblighi di tracciabilità della retribuzione? L’INL non ha dubbi. In tali casi, si applicano entrambe le sanzioni:

    • una riguardante il mancato versamento della retribuzione con strumenti tracciabili;
    • e l’altra per “lavoro nero” (art. 3, co. 3 del D.L. n. 12/2002).

È chiaro che l’illecito si configura solo laddove sia accertata l’effettiva erogazione della retribuzione in contanti; peraltro, atteso che nelle ipotesi di lavoro “nero” la periodicità della erogazione della retribuzione può non seguire l’ordinaria corresponsione mensile, in ipotesi di accertata corresponsione giornaliera della retribuzione si potrebbero configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro in “nero” sono state effettuate.

Resta ferma, infine, l’adozione della diffida accertativa per il caso in cui, accertata la corresponsione della retribuzione, quantunque in contanti, la stessa risulti inferiore all’importo dovuto in ragione del CCNL applicato dal datore di lavoro.

 

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Antonella Madia

17 novembre 2018