La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 641 del 12 gennaio 2018, torna ad affrontare una questione particolarmente interessante: l’utilizzo ai fini fiscali di lavoratori in nero.
Il pensiero della Corte
I supremi giudici, prendendo le mosse dall’art. 39, primo comma, lett. b) e d) del d.P.R. n. 600 del 1973, che consente l'accertamento induttivo allorquando, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, vi siano elementi desumibili da altre verifiche che inducano a ritenere l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione, afferma che:
“il relativo onere probatorio incombe sull'Amministrazione, pur potendo essere assolto mediante la prova presuntiva”.
La stessa Corte richiama precedenti pronunce - (Cass. n. 2593 del 2011 e Cass. n. 5731 del 2012) – dove ha avuto modo di chiarire che:
“non sussiste il divieto di doppia presunzione qualora dal fatto noto costituito dalla presenza di dipendenti non regolarmente assunti (e per i quali emerga la corresponsione di una retribuzione non contabilizzata) si tragga la presunzione di maggiore redditività dell'impresa, trattandosi di una presunzione relativa ex art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, per superare la quale è onere del contribuente offrire la prova contraria”.
Nel caso di specie:
“l'unico elemento tratto dalla verifica consiste nell'assunzione di lavoro irregolare, mentre parte ricor