Profili fiscali dei bitcoin

I bitcoin sono sempre più utilizzati ma crescono i dubbi sui profili fiscali di questa criptovaluta: l’eventuale tassazione delle plusvalenze sulla conversione in altre valute è stata oggetto di risoluzione da parte del Fisco mentre sono tanti i dubbi sugli obblighi di monitoraggio fiscale e compilazione del quadro RW.

Il Bitcoin, la moneta virtuale utilizzata per transazioni online, concepita nel 2008 ed introdotta nel 2009, non richiede intermediari e non fa uso di un ente centrale. Per questo si definisce valuta peer to peer.

profili fiscali bitcoinCome una qualsiasi moneta i Bitcoin permettono comunque l’acquisto di beni e servizi ed esistono diversi siti dove è possibile cambiare i propri Bitcoin con Dollari, Euro, Yen o altre valute.

I Bitcoin possono infine essere accantonati in un portafoglio elettronico nel proprio pc, oppure essere affidati ad una banca elettronica gestita dagli stessi ideatori di Bitcoin. Come detto, è un sistema decentralizzato, che non prevede per le transazioni l’intervento di banche o altri intermediari e con un software completamente open source. E a differenza degli acquisti con carta di credito, le transazioni avvengono in modo assolutamente anonimo.

Il vero problema, del resto, è proprio che questo genere di monete potrebbero diventare una sorta di paradiso fiscale virtuale. E le varie Amministrazioni fiscali, consapevoli di questo, si stanno cominciando a porre il problema.

Il fisco tedesco ha per esempio definito il bitcoin come units of account e quindi forma di denaro privato, con tassazione sui guadagni finanziari (capital gains) dovuti alla compravendita del denaro virtuale.

In Italia, invece, non c’è stata ancora alcuna presa di posizione ufficiale (a parte una Risoluzione su interpello all’Agenzia delle Entrate, la n. 72/E del 2 settembre 2016, di cui di seguito si dirà).

E comunque la disciplina di una materia così delicata non dovrebbe andare per ordine sparso, necessitando senz’altro di un intervento in sede comunitaria.

 

Profili fiscali dei bitcoin in Italia

Per giungere ad un corretto inquadramento della fattispecie ai fini Iva la Corte di Giustizia, in data 22 ottobre 2015, ha comunque concluso come segue.

i bitcoin sono valuta estera

L’articolo 2, paragrafo 1, lettera c, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, va interpretato nel senso che costituiscono prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.

L’articolo 135, paragrafo 1, lettera e, della direttiva 2006/112 va interpretato nel senso che prestazioni di servizi, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti, costituiscono operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto ai sensi di tale disposizione.

La sentenza della Corte ha dunque messo un punto fermo sulla vicenda, almeno ai fini imposte indirette (e con riferimento però solo ad una dei vari utilizzi di bitcoin).

Cambiare un euro con un bitcoin equivale quindi ad una prestazione di servizi ed essendo il bitcoin assimilabile ad uno strumento di pagamento, come stabilito dalla Corte di Giustizia, l’operazione è esente ai fini Iva.

 

Exchangers e miners

La soluzione data dalla sentenza riguarda però solo il caso in cui il bitcoin sia cambiato in un altro e venga richiesto un corrispettivo per detta operazione, attenendo cioè, in sostanza, solo all’attività degli exchangers, cioè di quei soggetti che cambiano bitcoin (e non essendo invece per esempio applicabile agli utilizzatori finali, né ai miners, cioè, detto in maniera estremamente sintetica, a coloro che “estraggono” i bitcoin).

Anche, lo stesso Avvocato Generale, del resto, sottolineava nelle sue conclusioni che:

 

“è chiaro che l’esenzione non è applicabile laddove siano trasferiti ovvero forniti mezzi di pagamento soltanto da parte di uno dei partecipanti alla transazione, mentre l’altra parte trasferisca ovvero fornisca beni o servizi. In un caso del genere, il trasferimento di mezzi di pagamento rappresenta, infatti, la controprestazione di una cessione di beni o di una prestazione di servizi. Se si applicasse l’esenzione ad un siffatto trasferimento unilaterale di mezzi di pagamento, tutte le operazioni – ad eccezione delle permute – sarebbero esentate dall’IVA”.

 

Sembra dunque potersi concludere che per tali tipi di operazioni lo stesso Avvocato ne affermi la soggezione all’imposta in base alle regole ordinarie.

Resta il fatto che, a maggior ragione ora che uno dei passaggi della “filiera” dei bitcoin (quello degli exchangers) ha trovato finalmente la sua disciplina, anche gli altri passaggi, non toccati dalla sentenza, dovrebbero essere disciplinati, sia ai fini Iva che imposte dirette.

Sotto quest’ultimo profilo, per esempio, per quanto riguarda il trattamento tributario in Italia potremmo già giungere, a legislazione vigente, a delle conclusioni.

Nel caso degli exchanger, chiarito il trattamento Iva, ai fini imposte dirette, la “commissione” di cambio dovrebbe essere infatti senz’altro soggetta a tassazione secondo le ordinarie regole del reddito di impresa.

L’attività del miner (se ne esistessero in Italia), che sostanzialmente crea bitcoin, dovrebbe invece essere assimilabile ad attività di produzione di beni (immateriali).

E, laddove tali operazioni vengano poste in essere con i requisiti dell’abi­tualità e della professionalità, ne dovrebbe allora discendere l’applicazione delle regole fiscali proprie del reddito d’impresa.

Quanto invece agli utilizzatori, i guadagni di tipo speculativo (se speculazione ci fosse) dovrebbero essere dichiarati come redditi diversi.

Tali redditi dovrebbero essere dunque considerati quali redditi derivanti dall’impiego di capitale e, considerato che derivano da un evento incerto (anche considerata la variabilità delle quotazioni), la disciplina applicabile dovrebbe essere quella di cui all’art. 67 del Tuir, c. 1, lettera c-ter).

In tal caso allora si applicherebbe l’art. 68, cc. 5 e 6 del Tuir e il reddito imponibile sarebbe pari alla differenza tra il costo di acquisto e il valore o corrispettivo di vendita.

Eventuali minusvalenze, se si applicasse tale disciplina, sarebbero deducibili dai redditi della stesa natura e il differenziale positivo delle plusvalenze e minusvalenze dovrebbe essere tassato in dichiarazione, con applicazione della ritenuta del 26%.

Il condizionale però è d’obbligo.

 

Il 2 settembre 2016 l’Agenzia delle Entrate ha infatti emesso una Risoluzione (la n. 72/e del 2 settembre 2016), con la quale, in via del tutto autonoma e in un contesto in cui ogni singolo attore (Governo, banca d’Italia, Consob…) sta ancora attentamente valutando come muoversi, ha affermato rilevanti considerazioni in tema di Bitcoin.

Tra le varie affermazioni (alcune senz’altro corrette ed altre che si richiamano al trattamento Iva indicato dalla Corte di Giustizia del 22.10.2015) quella che desta maggior interesse è la seguente:

 

“Le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano invece redditi imponibili, mancando la finalità speculativa per i clienti della società, da qui non si configura alcun adempimento per la società a titolo di sostituto d’imposta”.

 

Tale presa di posizione non è però del tutto chiara.

La necessità di approfondimento concerne infatti, in particolare, il significato della locuzione “finalità speculativa”, che appare essere, a giudizio dell’Agenzia, il criterio discriminante della tassazione o meno delle plusvalenze da cambio tra valute digitali e tradizionali, e si presta però, senza ulteriori indicazioni, ad un’eccessiva possibilità di interpretazione ed incertezza.

I guadagni di tipo speculativo, come detto, dovrebbero infatti essere dichiarati come redditi diversi.

Ma da come si esprime l’Agenzia nella Risoluzione sembra di capire che tali operazioni non possano essere considerate speculative.

La stessa Risoluzione (anche se, a ben vedere, in realtà, sembrerebbe più appropriato assimilare i bitcoin a titoli non rappresentativi di merce, con la conseguenza però, in tal caso, che le plusvalenze derivanti dall’utilizzo di bitcoin sarebbero redditi diversi di natura finanziaria) assimila poi le valute virtuali a valute estere.

Laddove, riguardo alla fattispecie del prelievo della valuta dai conti o depositi, l’art. 67 c. 1-ter del TUIR stabilisce che le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che, nel periodo di imposta in cui esse sono realizzate attraverso il prelievo dal deposito o dal conto, la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente presso tutti gli intermediari, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi continui.

In presenza di quest’obbligo, devono dunque essere dichiarate (quadro RT di Unico) tutte le operazioni effettuate nell’anno solare, anche se precedenti alla data di superamento della soglia.

Ciò significa che il prelievo in banconote o monete estere da un conto corrente rileva fiscalmente, mentre il successivo utilizzo come mezzo di pagamento o la successiva conversione in euro o altra valuta, virtuale o convenzionale non costituisce presupposto imponibile.

Considerato dunque che la moneta elettronica dovrebbe costituire un “surrogato” dei contanti, l’acquisto di valuta virtuale contro valute estere provenienti da conti correnti dovrebbe equivalere al prelievo della valuta estera dal conto, il che, come detto, potrebbe generare reddito imponibile in base al citato disposto normativo.

Infine non è stato ancora chiarito (come invece sarebbe opportuno) se nell’ipotesi in cui una persona fisica detenga criptovalute in deposito presso un portafoglio virtuale, equiparabile ad un conto corrente online, appoggiato su piattaforme ubicate all’estero, e nel corso del periodo di imposta avvengano trasferimenti di criptovaluta da e verso paesi stranieri, possa sorgere comunque l’obbligo di compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi mod. UNICO, con l’obbligo di indicare il totale (iniziale e finale nel corso del periodo di imposta oggetto di dichiarazione) e la natura dei valori detenuti all’estero, sia ai fini del monitoraggio (anche se qualche dubbio se tali attività debbano essere dichiarate ai fini del monitoraggio fiscale può sorgere se si considera che la mera cessione di bitcoin non genera reddito imponibile per i soggetti non imprenditori), sia ai fini impositivi per l’assoggettamento ad IVAFE (anche se, a ben vedere, la loro detenzione non dovrebbe essere soggetta ad IVAFE, in quanto non si tratta di prodotti finanziari).

Laddove poi il contribuente esegua operazione di trading valute ordinarie contro bitcoin occorre che valuti anche se la sua attività possa qualificarsi come attività di intermediazione ed essere quindi soggetta ad Ires ed Irap.

In quest’ultimo caso infatti il contribuente dovrebbe assoggettare ad imposizione i componenti di reddito derivanti dalla attività di intermediazione nell’acquisto e vendita di bitcoin, al netto dei relativi costi inerenti a detta attività.

La Risoluzione 72/e del 2016 ha precisato in merito che il guadagno (o la perdita) di competenza della società è rappresentato dalla differenza tra quanto anticipato dal cliente e quanto speso dalla società per l’acquisto o tra quanto incassato dalla società per la vendita e quanto riversato al cliente.

Tale elemento di reddito, derivante dalla differenza (positiva o negativa) tra prezzi di acquisto sostenuti dall’istante e costi di acquisto a cui si è impegnato il cliente (nel caso in cui quest’ultimo abbia affidato alla società l’incarico a comprare) o tra prezzi di vendita praticati dall’istante e ricavi di vendita garantiti al cliente (nel caso di affidamento di incarico a vendere), è ascrivibile ai ricavi (o ai costi) caratteristici di esercizio dell’attività di intermediazione esercitata e, pertanto, contribuiscono quali elementi positivi (o negativi) alla formazione della materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione ai fini Ires (ed Irap).

Insomma, un quadro ancora molto confuso, in cui la Risoluzione intervenuta, che comunque è intervenuta solo in sede di risposta ad interpello, con tutti i limiti della fattispecie, non sembra aver portato la richiesta chiarezza.

Chiarezza che non può comunque prescindere da un tema fondamentale, di competenza di altri organi (Banca d’Italia in primis), quale quello della esatta definizione giuridica dei bitcoin.

Senza sapere infatti esattamente cosa i bitcoin siano (valuta, mezzo di pagamento, bene immateriale, diritto di baratto, strumento finanziario etc.), sarà difficile capire con certezza quale sia il corretto trattamento tributario.

 

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La questione fiscale delle criptovalute nell’imposizione diretta

 

5 settembre 2017

Giovambattista Palumbo