dedichiamo questo articolo al problema della riqualificazione degli atti ai fini dell’imposta di registro: la complessa disciplina antielusiva ed i possibili casi di abuso del diritto, gli obblighi di contraddittorio, la recente giurisprudenza della Cassazione
Con la sentenza n.6759 del 15 marzo 2017, la Corte di Cassazione ha affermato che l’art. 20, del D.P.R. n. 131/1986, in materia di imposta di registro, non detta una regola antielusiva, ma una regola interpretativa, volta a qualificare gli atti secondo la causa concreta dell’operazione negoziale posta in essere, la cui applicazione da parte dell’ufficio finanziario non è soggetta al contraddittorio endoprocedimentale.
Il caso della sentenza della Cassazione n. 6759/2017
Riqualificazione dell’atto come cessione d’azienda
Art.20, del D.P.R.n.131/86, secondo cui l’imposta di registro è applicata
“secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
Il rilievo
P.C. ha conferito il ramo d’azienda a P.C.G. (atto del 23 dicembre 2004), quindi ha ceduto a G.M. l’intera partecipazione in P.C.G. (atti del 23 dicembre 2004 e 5 maggio 2005): l’effetto finale vede il ramo d’azienda nella disponibilità di G.M., tramite società di cui
G.M. è ormai unica quotista
Sentenza CTR
La Commissione tributaria regionale della Liguria accoglieva l’appello di P.C.G., escludendo l’unitarietà sostanziale dei negozi e censurando l’assenza di contraddittorio endoprocedimentale.
I principi affermati dalla Corte di Cassazione
- “in tema di imposta di registro, l’art. 20 P.R. 131/1986 non detta una regola antielusiva, ma una regola interpretativa, che impone una qualificazione oggettiva degli atti secondo la causa concreta dell’operazione negoziale complessiva, a prescindere dall’eventuale disegno o intento elusivo delle parti; ne consegue che il conferimento societario di un’azienda e la cessione dal conferente a terzi delle quote della società conferitaria devono essere qualificati come cessione dell’azienda al cessionario delle quote se l’interprete riconosca nell’operazione complessiva – in base alle circostanze obiettive del caso concreto – una causa unitaria di cessione aziendale”;
- “in tema di imposta di registro, l’art. 20 P.R. 131/1986 non detta una regola antielusiva, ma una regola interpretativa, la cui applicazione da parte dell’ufficio finanziario non è soggetta al contraddittorio endoprocedimentale previsto per l’applicazione delle disposizioni antielusive (art. 37-bis d.P.R. 600/1973, poi art. 10-bis I. 212/2000), bensì alla verifica giurisdizionale circa l’osservanza dei criteri legali di interpretazione dei negozi”.
Il recente precedente della Suprema Corte
Di recente, con la sentenza n. 3562 del 10 febbraio 2017, la Corte di Cassazione aveva già affrontato la questione.
La soluzione della Cassazione Sent. n. 3562/2017
Art. 20 D.P.R. n. 131/86
“non è disposizione predisposta al recupero di imposte ‘eluse’, perchè l’istituto dell’’abuso del diritto’ ora disciplinato dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10 bis, non presuppone una mancanza di ‘causa economica’ che non è invece prevista per l’applicazione del D.P.R. n. 131 cit., art. 20. Norma che semplicemente impone, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, di qualificare l’atto o il ‘collegamento’ negoziale in ragione del loro ‘intrinseco’.
E cioè in ragione degli effetti ‘oggettivamente’ raggiunti dal negozio o dal ‘collegamento’ negoziale, come per es. può avvenire con il conferimento di beni in una Società e la cessione di quote della stessa che se ‘collegati’ potrebbero essere senz’altro idonei a realizzare ‘oggettivamente’ gli effetti della vendita e cioè il trasferimento di cose dietro corrispettivo del pagamento del prezzo.
E la fattispecie regolata dal D.P.R. n. 131 cit., art. 20, nemmeno ha a che fare con l’istituto della simulazione, atteso che la riqualificazione in parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel negozio o quel ‘collegamento’ negoziale e questo appunto perchè ciò che conta
sono gli effetti ‘oggettivamente’ prodottisi (così le sentenze n. 9582 del 11 maggio 2016; n. 10211 del 18 maggio 2016; n. 9573 del 11 maggio 2016, tutte emesse il 21 aprile 2016 ed ancora la sentenza n. 18454 del 21 settembre 2016; n. 2050 del 27 gennaio
2017)”.
Contraddittorio
Se
“la tassazione dell’imposta di registro in misura proporzionale non deriva dalla individuazione di un “abuso di diritto” non vi è ragione per estendere alle imposte indirette una disposizione dettata per le imposte dirette, e relativa alla applicazione dell’istituto della “plusvalenza” (che opera esclusivamente nelle imposte dirette): ed è irrilevante che la legge escluda, in riferimento alle imposte dirette la sussistenza dell'”abuso” in riferimento a determinate operazioni economiche”.
In senso conforme si è espressa successivamente la stessa Suprema Corte nella sentenza n. 8111 del 29 marzo 2017.
Cass. Sent.n.8111/2017
Il caso
La locazione finanziaria integra leasing traslativo (soggetto ad applicazione analogica della disciplina della vendita con riserva di proprietà) quando la funzione economica del contratto non si esaurisce sul piano del godimento temporaneo del bene, ma è volta al
trasferimento differito con rateizzazione del prezzo.
Il principio affermato
“Il criterio dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti presentati a registrazione, stabilito dall’art. 20 d.P.R. 131/1986, attribuisce rilievo preminente alla causa reale del negozio e alla regolamentazione degli interessi perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità di patti collegati (Cass. 19 febbraio 2014, n. 3932, Rv. 629963; Cass. 4 febbraio 2015, n. 1955, Rv. 634166). Il collegamento negoziale postula la sola condizione dell’unitarietà teleologica rispondente all’intento pratico delle parti, sicché la relativa qualificazione non è impedita dalla pluralità soggettiva dei singoli atti (Cass. 16 settembre 2004, n. 18655, Rv. 577138), né dalla loro diversità oggettiva (Cass. 14 febbraio 2014, n. 3481, Rv. 630075), né dalla loro scansione temporale (Cass. 19 aprile 2013, n. 9541, Rv. 626779), quest’ultima misurabile persino nell’ordine degli anni (Cass. 24 luglio 2013, n. 17965, Rv. 627610)”.
Ancora di recente, con la sentenza n. 8795 del 5 aprile 2017, gli Ermellini hanno ritenuto legittimo l’operato dell’ufficio, il quale (in presenza di vari elementi convergenti, idonei a sostenere l’interpretazione del contratto nel senso della cessione dell’intera azienda e non del singolo ramo) ha provveduto a riqualificarlo (la lettera del contratto, facente appunto riferimento all’azienda in quanto tale; la chiusura delle utenze di esercizio, da parte della società cedente, dopo la cessione; la risoluzione dei rapporti di lavoro dipendente).
L’ultimissimo pronunciamento della Cassazione
Cass. sent. nn. 9857 e 9858 del 19 aprile 2017
“Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, la qualificazione di una vendita di beni come cessione d’azienda non esige l’attualità dell’esercizio dell’impresa, né il trasferimento delle relazioni finanziarie, commerciali e personali, essendo sufficiente che i beni ceduti abbiano un’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’impresa (Cass. 25 gennaio 2002, n. 897, Rv. 551846; Cass. 19 novembre 2007, n. 23857, Rv. 601114; Cass. 16 aprile 2010, n. 9162, Rv.
612686)”.
Per la Corte, il giudice d’appello, affermando che le immobilizzazioni per la vendita, il magazzino e i crediti commerciali «rappresentano non singoli beni ceduti, ma un complesso organico», non ha violato detto principio.
Brevi note conclusive
Come è noto, l’art. 1, c. 2, del D.Lgs. n. 128/2015, ai fini reddituali, ha espressamente abrogato l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/73, prevedendo che le disposizioni che richiamano tale articolo si intendono riferite all’art. 10-bis della L. n. 212/2000, in quanto compatibili.
Pur se la dottrina più attenta si è posta l’interrogativo sulla sopravvivenza dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/861, la risposta, alla luce degli ultimi interventi giurisprudenziali, appare scontata: attraverso l’art. 20, del D.P.R. n. 131/86, si tassa l’atto secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici che presenta alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, cioè il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche in maniera frazionata, in uno o più atti (cfr. Cass. Sent. n. 21770/2014).
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18 maggio 2017
Gianfranco Antico